domenica 7 agosto 2011

Profumo di porcino.





Quando il tempo gira al brutto e i temporali si mutano in pioggerella uggiosa ed insistente, la montagna si intristisce. Il grigio del cielo scende a poco a poco sui fianchi della valle attenuando il verde forte dei pini, quasi a confonderlo con il verde più chiaro dei larici. Il malumore serpeggia nella compagnia orbata di gite programmate e non compiute, infastidita dalle cime la cui conquista va rimandata a chissà quando; non parliamo poi delle uscite di più giorni il cui rinvio ha già il sapore amaro dell’abbandono, della sconfitta. E’ tutta questa pioggia, questa umidità nell’aria che conduce a guardar sfiduciati il cielo e a pronunciare le frasi di rito. La stagione è bella e andata; con tutta quest’acqua marcisce tutto; è proprio un tempo da funghi. Eccola lì, la parola è ormai stata pronunciata, non si può fare finta di non averla udita. Qualche sopracciglio comincia ad alzarsi e le occhiate dei più avveduti si incrociano. Sì, forse c’è modo di aver un parziale compenso per i programmi andati all’aria. Al correre nel vento del magico verbo, gli animi come per magia si riscaldano, gli sguardi si accendono, nella compagnia corre un fremito. Ai funghi, ai funghi! Detto fatto. Di buon mattino la brigata è già pronta e attrezzata di tutto punto. Pedule antiscivolo, bastoncini in carbonio da nordic walk, mantelle da pioggia e soprattutto ceste, cestini e cestoni da fungo. 

Un brivido percorre la valle, il punto topico è già stato individuato grazie a segnalazioni sicure di parentele e amicizie fraterne, che altro servirebbe solo a mettere sulla cattiva strada. La gelosia sui giacimenti fungheschi è proverbiale. Si percorrerà in salita una erta boscosa poco più a monte del piccolo borgo di Selvaggio, il nome è già assolutamente programmatico. Eccolo lì davanti ad una radura nascosta dove lasciare le macchine ben protette, il bosco, oscuro e minaccioso, fitto e pieno di mistero come la foresta di Potter. Appena entrati tra gli enormi castagni la compagnia è quasi inghiottita da una forza misteriosa e segreta, il silenzio che avvolge i grandi tronchi è rotto soltanto dal lieve crepitare dei rametti che si spezzano al calpestio e dal frusciare delle foglie marce del sottobosco, uno spesso mantello dove i piedi sembrano un poco affondare in un incerto sostegno, molle e viscido a nascondere trappole o altro più terribile. Il fogliame buio avvolge tutto di una penombra cupa, dove l’umidore dell’aria rende tutto bagnato e infracidito. Par quasi di udire il sospiro terribile dei Dissennatori in agguato. 

La ripa sale erta e scoscesa; la brigata dei fungaioli si è sparsa a raggiera per coprire più terreno possibile  al fine che nessuno dei doni del bosco sfugga agli attenti cercatori. Ed ecco ogni tanto una piccola esclamazione, un gridolino soddisfatto, è il segno che qualcuno tra la coltre delle foglie gialle e la corteccia marrone, ha scorto un piccolo avvallamento, una variazione di stato e come mirabilmente l’archeologo attento, sotto un innocente monticello di terra avverte il celarsi di un segreto antico e subito si lancia a scavare per portare alla luce il suo ricercato tesoro, ugualmente il cercatore, sposta con cura studiata il manto ed ecco scoprirsi la magia del cappello ammiccante, in tutte le variazioni del marrone, del porcino sodo e gioioso che ti grida “Coglimi, son qui”. Lo si stacca con cura dal terreno, attenti a non rovinarlo, che mai si spezzi il gambo  ed eccolo già nella cesta a far compagnia agli altri amici che paiono aspettarlo fieri. E allora attenzione a guardarsi attorno, che il malandrino raramente sta lì solitario, ma qualche sodale, qualche compagno fedele sarà lì attorno, poco distante, magari in compagnia  nell’attesa di essere colto. Così, quando dopo ore di dura fatica si è guadagnata la cima del bosco, che soddisfazione ammirare il frutto della raccolta, tutti lì dalle ceste ad occhieggiare, a reclamar “io sono il più bello”. 

I più piccoli duri e sodi come pietre dalla testolina chiara, i medi magari a coppie attaccati per il gambo, quasi non si vogliano lasciare mai e quelli grandi, scuri e quasi rossicci con il cappello gonfio e deformato per la crescita, che lascia indovinare la spugnosità sottostante. Qualcuno è sano e pieno da sembrar quasi finto, altri poverini mostrano già il segno del tempo trascorso ad aspettar di essere colti, un po’ slabbrati, un po’ rosi dagli altri abitanti del bosco, ma ancora pronti a dare qualcosa di sé. La soddisfazione cancella la fatica ed anche i ponfi che due maligni nidi di vespe di terra, maldestramente calpestati, hanno provocato. Roba da non scherzarci molto per la verità, ma sono i pericoli del mestiere. Certo non tutti hanno potuto godere del piacere della cerca. La nostra società è infame ma efficiente ed ha trovato maggiori risultati da una studiata suddivisione dei compiti. Così accanto alla maggioranza che ha potuto bearsi della gioia della raccolta, io ho dovuto sobbarcarmi tutta la parte logistica attendendo il gruppo al bar Rosa Rossa di cui ho già parlato. La sera poi è stata ancor più dura perché i quattro chili di porcini trovati, è toccato mangiarli, nella loro espressione migliore: tagliatelle ai porcini e porcini fritti e impanati. Per i finferli, pochi in verità, ci penserà il risotto domani a festeggiarli. Mio malgrado ho dovuto dare una mano, il divertimento lasciamolo pure, ma non è corretto far sobbarcare  tutta la parte più faticosa agli altri.


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Chapatti, piadine, gofri.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Enrico,

ieri sera un po' depresso per il ritorno nella terra dei
gorghi e dei nodi ho cercato un anestetico lenimento
approfittando di un acceso privilegiato alle celestiali
armonie de l'Orchestre Philarmonique Dauphinoise dite " La
Fromagerie ".
E' un complesso che Tu ben conosci e che hai sempre
apprezzato anche per la tua decennale personale
consuetudine con i migliori orchestrali che lo compongono.
Devo riconoscere che il potere della sinfonia è sempre
miracoloso e sa dissipare quasi magicamente gli odori
deprimenti delle città ferragostane.
Ho apprezzato con gusto particolare la Symphonie Mineur
dite "de la Chèvre" che mi ha ricordato la celebre Pavane
des pieds pas-lavés" . Eccellente anche il Rondo de les
Deux Saints con quel tanto di mistico che ti fa sentire
migliore anche quando sei un po' giù.
Stasera ho in programma di gustare la seconda parte con
una certa curiosità per il pezzo del Brin, che non
conosco, e che conferma come nella scelta degli
orchestrali, anche nei gruppi ad impronta locale, non si
debba mai essere troppo legati al territorio.
Questa esperienza insegna, se mai ce ne fosse ancora
bisogno , che le terapie alternative al male di vivere
talora si mimetizzano in forme e soluzioni differenti da
compresse , fleboclisi , iniezioni , suffumigi et alia .
Un caro saluto ( e grazie)
beppe

Enrico Bo ha detto...

@beppe - Grazie , tu sai quanto la musica e questa musica in particolare conti per me e mio sommo piacere è averti fatto parte delle mie preferenze. Goditi le delicate note del brin de paille, ne sarai contento di certo.

da Bangkok ha detto...

Che nostalgia i porcini... qui in Thailandia si possono mangiare raramente funghi dal sapore vero e intenso.... ora provo nostalgia per le passeggiate nei boschi delle colline e montagne della mia Umbria!

Grazie

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