martedì 9 giugno 2020

I pesci del Tanaro (i strìcc ad Tàni)

Argini del Tanaro (1936) - Mio papà è quello in piedi a destra con l'aria da strappamutande.


Nel '57 avevo 11 anni, ma l'asiatica non me la sono beccata. Pure ne ho ancora il ricordo, tutti avevano una certa paura e mia mamma, quando andavo a scuola mi diceva di non toccare niente. Non se la presero neanche loro e poi fu tutto come prima, questo un po' mi rincuora anche oggi. Ma la vita negli anni '50 era tutta in discesa, la ricostruzione, il boom, forse tutti, io ero troppo piccolo per ricordarlo, avevano la sensazione che ogni anno sarebbe stato migliore del precedente, per lo meno fino ai primi anni '60 quando arrivò quella che fu chiamata la Congiuntura, Scola ci fece anche un film nel '65 che ricordo benissimo. Ma quelli erano già anni convulsi in cui molti avevano la sensazione di perdere il treno per il benessere ed il salto di classe. Invece appena dopo il '50, credo che tutto scivolasse via più tranquillo, su quel mare di biciclette sulle quali la gente si spostava, stava arrivandola Topolino, ma era ancora un sogno di pochi, tuttalpiù la Lambretta era una cosa nell'arco di quelle possibili. Mio papà aveva messo un sellino sulla canna della sua bicicletta, una Bianchi nera coi freni a bacchetta, piuttosto robusta e pesantissima che utilizzò per i successivi sessanta anni. Mi ci metteva sopra e mi portava in giro mentre io tenevo le mani strette sul manubrio nichelato. "Tienti forte" è la frase che mi ricordo assieme a poco altro. Ma un'altra cosa me l'ha richiamata alla mente un bell'articolo sulla Stampa dell'altro giorno sui pescatori del Tanaro. 

In quegli anni ce n'erano diversi, vicino al vecchio ponte, quello che è stato tirato giù in quell'agosto deserto con la scusa delle alluvioni. Avevano i barcé, le lunghe barche metalliche a fondo piatto che si usavano sul fiume, ormeggiate a valle del ponte e ne vedevi sempre due o tre che stazionavano nella parte larga dopo il piccolo salto d'acqua dove la corrente era più vivace, a buttare una piccola rete che di tanto in tanto tiravano su. Noi guardavamo dal ponte quella rete che emergeva a fatica, carica d'acqua che sembrava sempre piena di pesce, io ne ero quasi ipnotizzato, invece quando la massa liquida colava via e la rete emergeva completamente con un piccolo strappo, come liberandosi da una forza superiore che la teneva aggiogata al fondo, vedevi solo quattro o cinque guizzi argentati che saltellavano negli spasmi della ricerca di sopravvivenza. Solo arborelle, difficilmente i famosi quajaster o le cippie, pesci grassocci e pesanti. A monte del ponte prima di quello della ferrovia, c'erano i barconi che dragavano la sabbia del fiume, di cui la fame della ricostruzione aveva grande necessità. L'alveo così era sempre pulito e non c'erano esondazioni. Poi vennero i verdi e dissero che bisognava lasciar fare alla natura e il dragaggio fu proibito. Noi rimanevamo a lungo sul ponte appoggiati alla nera ringhiera di ferro. 

Prima di tornare, mio papà guidava la bici lungo il giardino fino al punto di approdo dei barcé. Qui se era già ritornato qualche pescatore, mio papà comprava per poche lire un cartoccio di quei pesci, generalmente erano i cosiddetti strìcc, pesci lunghi e stretti, che gli piacevano tanto, poi di corsa a casa. Mia mamma, li puliva e li metteva subito in carpione, che il giorno dopo compariva sulla tavola a mezzogiorno, mentre alla sera era di rigore il caffelatte coi cruccioni, poi vennero i finocchini Maggiora, ma era già benessere. Erano tremendi, spinosissimi e sapevano di fango, ma i miei ne parevano entusiasti e così io cercavo di farmeli piacere, ma a cinque o sei anni è facile convincerti. Mia mamma me li puliva attentamente prima di mettermeli nel piatto, ma una volta mi rimase una lisca nel palato e piantai una grana che fu raccontata a lungo. Poi per decenni non ho più apprezzato il pesce, tanto meno il merluzzo, altro must per i miei, ma questa è un'altra storia. Allora era certo un cibo di basso costo che faceva comodo al bilancio familiare. Tuttavia, se ci penso, mi sembra di avere ancora in bocca quel sentore di fango, solo a malapena ingentilito dall'acidità del carpione. Poi i barcé con i loro pescatori sono spariti dal fiume assieme ai miei anni di bambino.


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