giovedì 11 giugno 2020

Luoghi del cuore 12: Panini di aringa a Copenhagen



Sirenetta - Copenhagen - giugno 1970



La prima volta era addirittura il '70, viaggio di laurea coi compagni di facoltà, ragazzotti per le prime volte col naso fuori del nido, assatanati dalla vista di cose da noi ancora sconosciute, le vie coi negozi del sesso esibito e le nudità sconosciute, insomma una scoperta, assieme a quella di cibi incogniti e misteriosi. Ricordo sul traghetto un sontuoso buffet per la colazione con al centro un gigantesco piatto colmo di materia bianchissima, scambiata per panna che poi si rivelò strutto, facendo quasi vomitare un compagno ingordo che ne aveva trangugiato un bel boccone, timoroso di perdersi l'occasione del tutto compreso. Poi nel '79 di passaggio per l'ultima Thule, a ripercorrere a lungo le stradine del centro e il misurato cambio della guardia a al palazzo reale. Infine nell'83, tappa intermedia sul lungo cammino per Capo nord, a ritrovare i luoghi già noti ma rivissuti con il piacere del reduce che ritrova i posti dove è stato bene. La sirenetta, statuetta certo sopravvalutata, ma comunque tappa obbligata del turista sfaccendato, che guardava mestamente i grandi serbato i di carburante al di là della baia. Di fronte i canali di quel mare grigio che che si insinuano nel Baltico ad avvolgere la Scandinavia tutta in un abbraccio gelido. Tuttavia il luogo che mi aveva affascinato maggiormente era il parco del Tivoli, una specie di luna park con tutte le attrazioni simili ai nostri baracconi, in cui passare la serata con in mano un bel boccale di birra spumeggiante. Alla fine fuochi artificiali per tutti e poi a nanna anche se era ancora chiaro. Sentori di aringhe e salmone affumicato, merluzzo e mari del nord. In ogni posto insomma vale la pena ritornare. 

Copenhagen è un'altra di quelle città speciali che ti riconciliano con la voglia di girare per il mondo a scoprire come è piacevole vivere in una atmosfera, apparentemente eh, non sono proprio appeso al pero, tranquilla e priva di stress emotivo. Ci sono stato tre volte, sempre brevi toccate e fuga, ma sufficienti per consolidare  questa idea di fondo. Vero è che questa caratteristica è propria di tutte le città del nord, ancor più le piccole cittadine, ma sarà il clima, sarà quella alternanza stagionale per noi anomala, che mescola quel sempre buio di inverno, al sempre chiaro d'estate, cosa che probabilmente altera i nostri cicli circadiani, a rendere il tutto così speciale per noi mediterranei, più inclini alle passionalità fumantine ed al calore del sud, ma morbosamente attirati dalle tenue atmosfere cariche di torbido mistero che cova sotto la cenere di quel capelli biondi chiari chiari e quegli occhi azzurri che sembrano sempre sorridere. Fatto sta che ogni volta, il solo piacere di girare per quelle strade luminose (ci sono stato sempre nel periodo estivo) ha contribuito a corroborare questa impressione. Il porto coi gabbiani, le casette con le grandi finestre, la severità temperata dei palazzi del regno, maestosi ma più misurati degli analoghi dei paesi vicini, i parchi popolati da gente in cerca di aria pura. Insomma si sta bene anche solo a passeggiare. Ricordo di avere perso ore a cercare sulle bancarelle i famosi piatti azzurri di Natale della Bing&Grondal, con le annate più rare, nascoste sotto le pile di quelli più recenti, per aggiudicarsi poi a soli 5 euro quello di cui evidentemente era rimasto un grosso quantitativo di invenduto, come il commemorativo delle olimpiadi di Monaco. 



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