Gerrido |
Lasciatemi uno sfogo, un piccolo sfogo da anziano in disarmo. Non ne posso più di questa situazione. Voi mi direte, pensa a quelli sotto le bombe e non rompere gli zebedei. Per carità avete mille ragioni, però io avrei voglia di stare qui a parlare solamente di viaggi o altre cazzate del genere, se volete anche di libri o di mostre d'arte, di cucina e ristoranti, di come si stava bene quando si stava peggio o di qualunque altra cosa sulla quale abbiate voglia di ingaggiarmi e invece, se apro la TV, su tutti i canali vedo solo case sventrate, bombe che esplodono e teste di minchia che fanno dichiarazioni deliranti che inneggiano allo scannamento nei modi più vari. Se apro googles le uniche notizie che mi vengono suggerite sono quelle che riguardano gli avanzamenti dei carri armati e le analisi geopolitiche sulla futura spartizione del pianeta. Se parlo con un amico finisce che ci si guarda in faccia e si concorda in un risolutivo "ce l'abbiamo nell'organo". Insomma siete d'accordo con me che non se ne può più? Ho voglia di primavera, di profumo di iodio scaricato nell'aria dallo sbriciolarsi delle onde sugli scogli, sentore di aghi di pino calpestati nel sotto bosco secco, già perché oltretutto non piove più da tempo immemore, raggi aranciati mentre il sole scende dietro la collina tra due cipressi lontani, raggi verdi di una aurora boreale che sfoglia il cielo in onde sfumate, odore metallico di neve appena caduta, bramir di cervi in amore, cocchi che si spaccano cadendo su pietre di granito bagnate da onde leggere che si perdono nella sabbia, tartarughini che riguadagnano l'acqua, aquile che volano altissime senza muovere le ali.
Scendevo a valle oggi, di fronte le aspre salite del forte sul fianco della montagna a sinistra, a destra, il dirupo dell'Andour e tra gli alberi lontani neppure uno dei tanti mufloni che solo un paio di decenni fa popolavano a centinaia quella balza solitaria. Tutti morti anche loro, senza la voglia di vedere questo nuovo millennio, carico di promesse. La cheratocongiuntivite se li è portati via tutti, poco alla volta, senza bisogno dei lupi che ancora erano rari e timidi nell'alta valle, carcasse abbandonate ai corvi tra i dirupi più alti, utili a nutrir bestie men belle ma più adattabili, meno lamentose. E' così quando sei anziano, cerchi notizie dei vecchi amici e non ne trovi più, se ne sono andati quasi tutti. Invece tu hai voglia di partire, di andare via, di sederti sotto le piante, al fresco ad ascoltare il vento, ma leggero che se no dà fastidio anche quello. Voglia di una trattoria di paese che ti porta un piatto di agnolotti che fumano e devi aspettare un po' ad assaggiarli per non scottarti la lingua, mentre ne annusi il profumo dolce e speziato. E raccontarsi di quella volta che, ma era con te che eravamo andati a sentire i Lou Delfin e tutti cantavano Se chanto e ballavano la courenta? E in quel parco a Torino quando suonavano i Buena Vista Social Club e i piedi si muovevano da soli e Ruben Gonzales non smetteva più di suonare mentre la gente lo incitava e Omara Portuondo cantava Veinte anos, mentre Compay Segundo toccava le cinque corde della sua chitarra con quelle ditone incongrue e sembrava impossibile ne potesse cavare un suono così accattivante.
Scendevano dal palco le note di Chan Chan e ti sembrava di essere su una spiaggia di Cuba con un daiquirì in mano. L'aria profumava di viole e non sembrava neanche che ci fossero zanzare. E invece quando si andava con Lauro in bici a pescare arborelle nel canale e faceva un caldo soffocante e mi ricordo ancora quei ragni d'acqua immobili sulla superficie a specchio con le zampine in equilibrio per la tensione superficiale che scivolavano qua e là come pattinatrici su un lago gelato. O leggere, quasi immobili, tremolanti in equilibrio apparentemente precario come le ballerine di fila nel Lago dei cigni, sulle tavole scure del Bolshoi, in una sera nella mia amata Mosca, prima di uscire e andare a piedi fino alla piazza Rossa, calpestando la neve scesa da poco, ancora bianca e non ancora stuprata da piedi frettolosi. La grande stella rossa della torre Spaskaya, guardava dall'alto delle mura del Kremlino, un ammonimento, un meme, guarda che sono qui, ti sorveglio. Luci fioche di lampioni gialli, odore di benzina mal combusta, due divise lontane davanti al mausoleo di Lenin, ibernate dal gelo. Alla fine l'onda del ricordo mi porta sempre laggiù a quelle terre segnate da un destino perverso, condannate a patire, a non trovare mai pace. Per aiutarmi mentre continuo a battere inutilmente sui tasti, per rallegrarmi l'onda del ricordo, che fa sempre un po' di malinconia, ho messo Mozart, random compilation. Naturalmente mi è capitata la messa da Requiem. Si vede che è destino così.
2 commenti:
Corre fluente il tuo racconto/sfogo e malinconia. leggerti è sempre un piacere. Oramai dovresti sapere che noi over tanti veniamo sopraffatti da nostalgici ricordi, che ci sembrano ieri ma sono ormai lontani e forse non più ripetibili. Ti auguro una felice serata e tanta salute.
Grazie caro Pierangelo, il fatto è che comincio davvero ad essere stufo!
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