martedì 19 luglio 2011

Ma Jong.

Immagine da Wikipedia
Sono passati tanti anni. Lo storico Bar Baleta di Alessandria ha chiuso da tempo. Quando se ne parla chiedendosi come fosse possibile l'esistenza di un luogo di quel genere, allo stesso tempo club, bar, centro di vita sociale e studentesca, chi è giovane ti guarda con stupore perché neanche ne ha più sentito parlare e si chiede cosa ci fosse di così speciale in un locale per ricordarlo ancora così dopo tanti anni dalla sua chiusura. E' un mistero, specialmente per una città come la nostra, così poco disposta a lasciarsi andare agli entusiasmi. Ma non è di questo che volevo parlare. In quel posto venivano praticate anche attività inconsuete e quando arrivava una novità, veniva subito accolta ed esplorata per carpirne i meccanismi. Così negli anni 60, non si sa come, forse Gino, l'anziano proprietario, potrebbe spiegarcelo se ne avesse voglia, comparve inopinatamente il Ma Jong, un gioco, famosissimo e molto praticato in Cina, ma che con la nostra città proprio non c'entrava per nulla. Si creò subito un gruppo di appassionati che si radunavano in fondo alla saletta dietro il bancone in interminabili partite. 

Si tratta di un gioco da tavolo per quattro giocatori costituito da 144 tessere che si usano come quelle del domino, ma con regole che si avvicinano a quelle della scala quaranta, con in più una serie perversa di un sistema di raddoppi dei punti che moltiplica vincite e perdite, tipico della passione per l'azzardo dei cinesi. Anche il suo nome 麻将 o 麻雀, mah jong, è di difficile interpretazione. Significa "l'uccello della canapa", forse motivato dal picchiettio delle tessere scartate che vengono gettate su tavolo velocemente dai giocatori. Ti sentivi come in un club esclusivo a discutere e parlare, di venti, di stagioni, di fiori e di draghi, caratteri e bambù, mentre intorno calavano i tarocchi e la briscola in cinque, mentre i più dandy si cimentavano nel bridge. Qualcuno favoleggiava che si giocasse anche in Romagna, ma nessuno ce lo confermò a quel tempo, oggi lo trovi facilmente globalizzato sul web. Poi, nel '74 quando andai per la prima volta ad Hong Kong, passeggiando per i mercati e le strette vie di Weng Chai o sulle banchine di Aberdeen dove ancora c'erano solo una distesa infinita di piccole giunche e grandi cappelli rotondi da pescatore, mentre la selva di grattacieli non era ancora nell'immaginario, subito riconobbi il ticchettio delle tessere che, sbattendo sui tavolini di plastica, usciva dai piccoli locali mescolato alle esclamazioni di decine di giocatori di tutte le età che si affannavano, scommettendo, perdendo o vincendo il guadagno della giornata. 

Stesse espressioni imbronciate o grida di giubilo. Giocatori che si alzavano sghignazzando, andandosene via coi soldi guadagnati ed altri che, perdenti rimanevano lì seduti a rimuginate le mosse e gli scarti che avrebbero dovuto fare per vincere, guardando con odio le tessere di plastica sparse sul tavolo che avevano decretato la loro sconfitta. Un contesto così esotico per situazioni così universali, che ritrovi a Las Vegas o in una qualunque sala bingo nostrana. Non seppi resistere alla tentazione e mi portai a casa un set di gioco, scelto con cura in un piccolo negozio dietro il mercato degli uccelli. Il venditore mi distolse subito dai volgari mucchi di tessere di plasticaccia da poco prezzo e con sapienza orientale mi propose un cofanetto di tessere di osso col dorso di bambù dipinte a mano, che seppe subito magnificare con sguardo eloquente. "This is garbage - mi disse indicando la robaccia ordinaria - this is for life". Me ne andai con la mia scatoletta nera sotto il braccio conquistato da una sensazione, da una magia esotica, quella di portarmi a casa un pezzo di un mondo lontano che però già mi apparteneva. Anni dopo il mio amico Ping si stupì che avessi un Ma Jong e apprezzò le tessere dai caratteri eleganti, ma la versione di gioco che lui conosceva era molto più semplificata e rapida. "Giochi come faceva mio nonno" mi disse ridendo. La Cina moderna corre veloce e non vuole regole troppo complicate da seguire. Anche per l'impero di mezzo ormai sono un anziano.


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6 commenti:

Adriano Maini ha detto...

Devo parlarne al più presto con un mio amico che abita ad Alessandria ...

Enrico Bo ha detto...

@Adri - Fatti raccontare del Bar Baleta.

Nidia ha detto...

Molto interessante. Ricordo soprattutto a Chengdu le sale da tè gremite di gente che sorseggiava la tipica bevanda giocando o facendosi intrattenere da attori e musicisti più o meno improvvisati. Ma anche negli hutong della vecchia Pechino ho visto tavoli affollati e gente concentratissima nel gioco.
Rimpiango di non aver mai imparato

Anonimo ha detto...

un bar cosi' c'era anche nel mio paesino. quanti ricordi.
ma mai visto un ma jong dalle mie parti. conosciuto solo grazie a san-windows xp! ;)

Anonimo ha detto...

La cosa piu' triste non è mica la tua anzianita', è che modificando le regole di un gioco d'altri tempi alla fine se ne perde quella che era l'essenza...
Non ho mai sentito parlare di questo gioco, ma immagino che la versione originale richiedesse la necessita' di dover fermare il tempo per potersi concentrare sulle mosse...e oggi il concetto di tempo è completamente mutato, presi come si è dalla frenesia della vita moderna...e quindi si semplifica cio' che altrimenti sarebbe inconcepibile...
Un caro saluto.
Dony

Enrico Bo ha detto...

@Nidia - Sì anch'io ho visto che si gioca dappertutto come anche gli scacchi cinesi.

@Maal - Infatti credo che fossimo una anomalia spaziotemporale

@dony - In effetti l'anzianità è la cosa meno triste che ci sia, basta saperla prendere per il suo verso, soprattutto per il tempo che finalmente si è conquistato.

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