Che caldo! Davvero un gran caldo. La pioggerella fine poi che di tanto in tanto era scesa per tutto il giorno saliva subito in vapore ad aumentare un'umidità spessa e pesante che ammorbava l'aria. Gli equiseti e le felci, enormi, in quel punto erano molto fitti e la luce ormai scarsa, mentre il sole scendeva dietro le nuvole gonfie e violacee, faceva fatica a penetrare tra le foglie larghe che continuavano a gocciolare. Al di là della grande palude cominciavano a sentirsi i primi rumori della notte che stava arrivando. Qualche ruggito sordo, grida stridule, gorgoglii che arrivavano alle orecchie di Tennavannaah che stava immobile nascosto dietro un grande cespo di Licopsidae, smorzati e quasi contraffatti dal vento. Non aveva paura. La fame invece, quella sì, gli rodeva il ventre. Non aveva altro pensiero se non quello fisso di lacerare con i denti la carne sanguinante della preda, di spaccare le ossa più lunghe per succhiare il dolce interno. Un lieve sorriso gli increspò le labbra a quel pensiero. Stava immobile, con i grossi piedi piantati nel fango molle e viscido della palude; aspettava, stringendo tra le mani il tozzo bastone con la pietra aguzza legata sopra coi tendini di un voobi. Da quando l'aveva scheggiata con cura per farne risaltare meglio i bordi quasi taglienti, riusciva a uccidere molto meglio. Bastava anche un colpo solo se colpiva bene. Tra poco sarebbe stato completamente buio. All'improvviso sentì il rumore.
All'inizio sembrava un fruscio, poi qualche ramo spezzato proveniente da punti diversi, nel fitto tra i fusti. Tese le grandi orecchie per ascoltare meglio, sembravano molti, poi subito capì che non era una mandria di voobi al pascolo. Pericolo. Paura. Una banda di Northeen in caccia. Correre, scappare, scappare in fretta. Ora correva veloce tra le felci facendosi largo con grandi colpi di braccia. Un ramo spinato lo ferì, un altro gli sferzò le guance protette dalla lunga barba. Li sentiva, dapprima dietro poi ai fianchi che correvano con lui. Correre più forte; gli arbusti bassi gli sfregiavano i polpacci; resistere ancora, anche se il fiato gli moriva in gola ed il cuore batteva all'impazzata. Arrivò fino alla radura dei quattro alberi di pietra allineati. Li contemplò ancora per un attimo, così lisci, così regolari. Ormai aveva capito che la corsa era finita, erano già anche davanti a lui. Lo circondarono urlando. Si buttò verso la parte che sembrava più debole del cerchio per tentare l'ultima fuga, ma in un istante gli furono tutti addosso. Le pietre ed i bastoni calarono su di lui con metodo prima di colpirlo a morte e proprio in quell'istante, in cui la vita se ne stava andando, tutto gli tornò alla mente di colpo, come era stato prima, persino i dieci Euro che doveva al De Vincenzi, il suo collega della banca, quando avevano scommesso che la guerra non sarebbe scoppiata prima di agosto.
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6 commenti:
molto bello e scritto bene. Complimenti e buona giornata.
Massimo
Grazie Max.
L'angoscia è terminata quando sono arrivato alla fine di questo tuo racconto.
Che ne dici genere horror?
Sai come tenere avvinghiati occhi e cuore allo scritto. Bravo.
Macca
@Monty - Fantahorror sociologico?!?!
@Sandra - Avvinghiati è una parola che mi intrippa, la userò.
E' il futuro che ci aspetta dopo che avremo distrutto il nostro pianeta rendendolo una landa percorsa da alberi giganteschi e paludi desolate?
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