La mia nonna paterna è stata l'ultima ad andarsene ed è anche l'unica di cui conservo qualche ricordo, pur se la dimestichezza era comunque poca. Ne rammento solo un carattere burbero ed imbronciato, molto alessandrino in verità. Chissà se avesse avuto anche lei sogni di gioventù e aspirazioni di ragazza che guarda il mondo a venire con occhi carichi di attese. La vita in fondo non le assegnò gravi prove, pur avendo passato due guerre che fortunatamente non lasciarono nella famiglia lutti o strazi penosi come in tante altre. Non mi passò neppure i racconti tipici che i nonni lasciano ai nipoti come dote della famiglia da tramandare alle generazioni a venire. D'accordo ero piccolo e forse me ne sono dimenticato. Ho salvato soltanto una cosa che pur doveva esser stata importante per la nostra città, che in quell'inizio secolo era arrivata ad essere la quinta provincia italiana per sviluppo industriale.
Se non sbaglio fu nel 1911 che, in piazza Garibaldi, la grande sala per gli ospiti della città, già circondata dalle quinte uniformi che una saggia amministrazione aveva obbligato con un disegno urbanistico lungimirante, giunse, atteso come uno dei massimi eventi possibili, il famoso Circo di Buffalo Bill, direttamente dalle lontane Americhe, terre di favola e di esotismo. Lei aveva poco più di 20 anni e la Belle epoque era nel suo massimo splendore, un periodo ricco di grande spensieratezza che non poteva di certo far presagire gli orrori in agguato che il secolo ancora bambino stava per generare. Me lo raccontava con occhi sognanti, per una volta dismesso il borbottio corrucciato e mi sapeva far apparire quella grande tenda colorata che andava mostrando una serie di meraviglie arrivata da mondi lontani e sconosciuti.
Gli indiani con i grandi copricapi piumati che a rotta di collo invadevano la pista sui cavalli selvaggi, l'inseguimento alla diligenza, gli spari delle carabine e i personaggi di quell'universo di fiaba che forse aveva generato desideri incoffessati, deliqui e trasporti proibiti al vedere quei baffi a manubrio, quelle cavalcate impetuose, quegli uomini dai profili scolpiti giunti dalle praterie sconfiinate popolate di bisonti e di pericoli. E soprattutto lui, l'eroe dai lunghi capelli che arrivava al galoppo su un grande cavallo bianco, con la giacca gialla sfrangiata, che girava per la pista salutando col grande cappello a raccogliere gli applausi e le grida estatiche degli spettatori entusiasti. Buffalo Bill dal cuore gentil lasciò il segno anche qui, certo non era come quei burattini che mostravano dentro quel piccolo mobile nuovo che da poco era comparso al bar. Non credette mai che gli omarini che si vedevano un po' tremolanti nel bianco e nero delle prime trasmissioni televisive, fossere uomini reali in carne ed ossa. Buffalo Bill, quello sì che era un uomo vero.
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3 commenti:
Mica un ricordo da poco quello che ti ha regalato la tua nonnina... Ma se non ti ha raccontato lei le favole e le storie, qualcun altro l'avrà pur fatto!
O è stato quell'unico, fantasmagorico ricordo, con tanto di effetti speciali e soprattutto rievocato con occhi sognanti dalla solitamente burbera antenata a far nascere in te il desiderio di incantare a tua volta con la forza delle parole?
Un saluto riverente
Nina
Secondo mio nonno, che l'aveva visto, è stato in Piazza d'Armi.
Buffalo Bill non era mica intelligente come il nostro apprezzatissimo (secondo lui) signor Sindaco, che invece per farsi bello (si fa per dire) fa correre i cavalli proprio in Piazza Garibaldi, lei sì bellissima, ma che diventa un catino rovente anche per la sabbia che prima vi viene stesa a tonnellate e dopo pochi giorni portata via, sempre a spese nostre, naturalmente!
@Nina - Ma no, neanche i miei, nessuno mi ha raccontato favole. Non so da dove nasce questa ansia di raccontare storie che è cominciata quando è arrivata la mia bambina.
Un abbraccio riverito.
@Barni - Forse hai ragione , il racconto in piazza Garibaldi era in occasione di un acrobata che la attraversò su un filo teso da un lato all'altro dei palazzi della piazza.
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