Villaggio Bodi |
La pista che scende dalla montagna su cui era nascosto il villaggio dei Mursi, è piuttosto malandata e scoscesa ed in caso di piogge forti, probabilmente anche pericolosa, quindi bisogna percorrerla con una certa prudenza, a bassa velocità, anche per non essere troppo sballottati, quando l'auto sobbalza sui solchi profondi del terreno. Così procedendo a velocità minima, hai tutto il tempo per guardarti attorno, anche se lo sguardo si ferma alla prima barriera di cespugli spinosi tra i quali sporgono grandi alberi di acacie ad ombrello. Di tanto in tanto vedi un pastore appollaiato su qualche monticello di terra rossa dalla quale sorveglia il gregge o il gruppetto di vacche magre dalle lunghe corna che strappano erba ancora secca cresciuta a fatica tra le rocce. Quella verde, nuova, deve ancora crescere, aspetta l'acqua del cielo. Su una curva stretta che apre la vista sulla valle sottostante, da cui parte un bivio verso il basso, la macchina sui ferma improvvisamente e Lalo salta giù facendo grandi segni ad un uomo apparentemente addormentato all'ombra di un arbusto dalle foglie larghe. Scopriamo che si tratta di Kala, un suo amico della tribù Bodi, un tipo che evidentemente non vedeva da tempo, viste le grandi manifestazioni di giubilo, gli abbracci e i tocchi di spalla. Sembra che un piccolo gruppo di questa etnia, quasi estinta che conta soltanto più qualche migliaio di individui, abbia formato un minuscolo villaggio poco lontano da qui e l'occasione imprevista si presenta ghiotta.
L'amico lascia le sue capre, tanto le ritroverà al ritorno, salta sul predellino della nostra Toyota e scendiamo la scarpata sul fianco del monte, anche se con una certa circospezione. Dopo qualche curva si apre un pezzo di terreno abbastanza pianeggiante. Una radura di terra rossa con radi cespugli dietro i quali si ergono una dozzina di capanne di paglia, molto diverse da quelle dei Mursi che erano delle semplicissime calotte di frasche, con una piccola apertura per accedervi strisciando e dentro le quali non era neppure possibile stare in piedi. Questi invece sono classici tukul circolari, con le pareti verticali, fatte di paletti rivestiti di paglia con tetti conici, piuttosto alti e sicuramente più spaziosi. Tutto ciò anche se in realtà i Body sono soltanto uno dei sedici sottogruppi in cui si suddivide l'etnia Mursi. Arriviamo al villaggio inattesi e gli uomini presenti non sembrano molto ben disposti, anche se sono armati solamente dei lunghi bastoni da pastore con la punta fallica arrotondata che serve per darsele di santa ragione nei combattimenti rituali. Ci squadrano da lontano, ma la presenza del nostro accompagnatore li tranquillizza e possiamo così scendere e cercare un contatto più diretto. I Bodi, hanno costumi simili alle etnie vicine, anche se ne sono stati sempre nemici accaniti, in particolar modo dei Nyangatom, loro rivali storici di cui vi ho già parlato qui, che vivono più a nord e a causa di ciò sono stati decimati proprio a causa di infinite guerre e faide per questioni di pascoli invasi e furti di bestiame, forse anche di donne.
Pastore Bodi |
Naturalmente li disprezzano moltissimo e usano per loro un nomignolo molto offensivo, chiamandoli Bumi o Bume, che, volendo potremmo tradurre come i Puzzoni, tanto per dire che c'è sempre qualcuno che è peggio di noi da insultare. Questo ostracismo e le continue scaramucce li ha costretti a ritirarsi sempre di più nei territori meno raggiungibili e semidesertici, in una vita sempre più misera e priva di opportunità, fino a ridursi ad un piccolo numero di persone ai margini del mondo conosciuto. I Bodi invece sono rimasti nella zona forestale della montagna in parte più ricca di pascoli. Tra le capanne però, non c'è traccia di alcuno strumento o altri oggetti e all'interno delle capanne ci trovi solo qualche zucca vuota e pelli di animali stese a terra. Le poche ragazze che si vedono, sono però grandi e robuste, ognuna col suo bimbo al collo, con pochi ornamenti e senza particolari acconciature tra i capelli, cosa abbastanza inusuale nell'Omo valley, dove questa parte del corpo è sempre oggetto di particolari e barocche lavorazioni. Nessun monile, evidentemente sono così poveri da non potersi permettere neppure qualche collana di perline colorate. Esibiscono invece scarificazioni particolarmente grandi e rigonfie che formano disegni geometrici complessi che ricoprono braccia e fianchi, certo questi non costano nulla, al di là del dolore brutale che provocheranno, ma tutto questo fa parte dell'orgoglio da mostrare a tutto il villaggio, quella capacità di sopportazione del dolore, così comune alle genti d'Africa, che gratifica chi riesce a dimostrarlo, evidenziando a tutti, le sue medaglie duramente conquistate. A vedere la dimensione di queste ferite, alcune non ancora completamente guarite, viene da immaginare quante infezioni, spesso mortali, abbiano decimato questa gente.
Giocando |
Eppure il coraggio va dimostrato in qualche modo, i ragazzi a mazzate coi bastoni, le ragazze facendosi scarnificare con le lamette e le spine di acacia. Ma qui niente piattelli. Gli uomini invece sembrano un poco più sensibili all'arte di agghindarsi, alcuni hanno sul viso e sul corpo i segni di pittura bianca che li fanno apparire come spiriti del bosco quando emergono all'improvviso tra i cespugli e i più si sformano le orecchie con grandi orecchini. Qualcuno porta grandi piercing sul mento e collanine di perline sui capelli. Unico vestito un mantello sdrucito, da usare come coperta durante la notte quando si è fuori col gregge. Sembra che, in questa tribù, ammirino le persone diciamo così in carne, infatti noto che mi hanno guardato subito con un certo rispetto. Nel loro grande festival annuale, il Ka'el, che è anche un altro dei nomi con cui sono conosciuti, si presentano un gran numero di uomini molto corpulenti che esibiscono la loro ciccia, completamente nudi, avvolti vezzosamente soltanto da qualche filo di conchiglie o perline colorate, in una gara all'ultimo chilo ed alla fine viene eletto il più grasso dell'anno, a cui sono destinati grandi onori per tutto il resto della vita. Ogni famiglia può presentare un solo concorrente alla gara, che si svolge in giugno ed il prescelto, non sposato, viene alimentato per sei mesi seduto nella sua capanna a solo latte e sangue, spillato direttamente dalla giugulare delle sue vacche; periodo in cui non si può muovere né fare sesso. Questo pastone da ingrasso, tra l'altro deve essere ingurgitato piuttosto rapidamente in quanto a queste temperature, coagula con facilità. Alcuni arrivano all'agone neppure più in grado di camminare, ma si devono sottoporre a prove impegnative come percorrere alcuni chilometri magari sorretti dai famigliari, poi seguendo una dieta più regolare gradualmente perdono questo peso mostruoso. Qui potete vedere un filmato al riguardo nel quale potrete anche fare conoscenza del vincitore del 2016. E proprio il caso di dire che grassezza fa bellezza e in queste terre posso dire di avere un certo vantaggio di posizione.
Intanto un gruppetto di uomini all'ombra di un grande albero, sta giocando al gioco africano comune in tutti i paesi del continente pur con innumerevoli varianti. Hanno scavato una serie di piccole buche nel terreno, due file uguali ed ognuno dei quattro ha in mano un mucchietto di sassolini che aggiunge o toglie dalle buche seguendo una strategia volta a conquistarle tutte. Uno dei quattro le ha quasi finite e ha lo sguardo un po' incagnito, gli altri lo prendono evidentemente in giro, forse infierendo sulle sue capacità logiche, Intorno il gruppo degli astanti commenta, come sempre pensando di conoscere quali sarebbero le mosse corrette per conquistare la vittoria, stupendosi di come i giocatori non le vedano. Qualcuno a lato, come isolato, evidentemente perdente ed estromesso dalla partita, sembra riandare col pensiero alle mosse fatte, agli errori commessi, che gli hanno procurato il disastro, sicuro che in caso di ripetizione non sarebbe più caduto negli errori commessi, rodendosi l'anima come tutti i giocatori che hanno perso tutto e vorrebbero soltanto ritornare a giocare. Per la verità, non mi sono sembrati così selvatici questi Bodi, forse perché eravamo accompagnati da amici, al contrario sono stati piuttosto cordiali, mostrando orgogliosamente le loro ferite e salutandoci distrattamente alla nostra partenza, tranne che un piccolo gruppo che non si è trovato d'accordo sulla distribuzione dei birr (consueta tassa per fotografare) e quella che si stava accendendo non appariva troppo tranquillizzante.
Ragazze Bodi con scarificazioni |
Per fortuna, l'intervento del nostro Lalo, ha calmato gli animi e la partenza non ha lasciato strascichi antipatici, forse anche dicendo loro che non avevamo affatto apprezzato una nostra precedente visita presso quei puzzoni dei Bumi. Insomma bisogna cercare di mantenere buone relazioni con una saggia diplomazia e in questo mi sembra che il nostro Lalo sia maestro. Il ritorno a Jinka costa ancora un paio d'ore e ancora riusciamo ad evitare la pioggia. Si arriva in tempo per vedere il piccolo museo etnografico della città, messo in piedi da etnologi tedeschi, che racconta in una serie di pannelli abbastanza esaustivi, tutte le abitudini delle varie tribù della valle e ai quali mi sono ispirato per raccontarvi queste note. Oltre a questi molte foto in bianco e nero del secolo scorso dalle quali emerge che quasi nulla è cambiato quaggiù negli ultimi cento anni e di certo anche prima, al di là dell'unica vera novità, la presenza incongrua ma decisa del telefonino. Le nostre foto girate in seppia e appese qui sarebbero indistinguibili da quelle originali. Molti gli strumenti tradizionali esposti, attinenti all'agricoltura, alla pesca, alla pastorizia, anche questi non dissimili da quelli che vedi nei mercati, cosi come i vestiti di pelli e gli ornamenti. Davvero un riassunto complessivo che conviene vedere per raccogliere le idee e per cercare di capirci qualcosa, orientandosi tra le tante denominazioni diverse e i molteplici gruppi tribali della regione.
Il gregge di Kala |
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