giovedì 12 luglio 2018

Etiopia 23 - Un caffè dai Banna

Nella capanna di Ravena


Villaggio Banna
Questa mattina l'aria è meno calda, forse perché la strada si inerpica tra le montagne in un paesaggio maestoso, che tuttavia manifesta sempre apertamente la sua natura selvatica e poco favorevole all'uomo ed al suo insediarsi. A parte il fatto che quasi non se ne vede traccia, se non qualche gregge sparuto e misero in distanza, è una sensazione di ostilità alla sopravvivenza, che senti bene, arrancando su piste sassose, con le carrerecce profonde dalle quali indovini la possibile presenza ostile di masse imponenti di fango in altra stagione. Saranno anche i tanti alberi ed arbusti spinosi che, da soli sono un vero e proprio simbolo di respingimento, una minaccia palese a non entrare in un terreno vietato, un no trepassing neanche troppo velato, rivolto a chi non è di qua ed è palesemente estraneo a questo mondo. Eppure questa è la culla della vita dell'uomo; da qui la nostra genia si è alzata stentatamente in piedi sollevando il capoccione e lo sguardo ebete e continuando a poggiare di tanto in tanto le nocche sul terreno ineguale, è partita alla conquista del pianeta. Chissà, tempi diversi, magari allora non c'era bisogno di barconi, bastava andare a piedi. La pista invece diventa sempre più contorta; quando superi una serie di collinette spelacchiate, ecco comparire su quella più alta, un gruppetto di tre o quattro capanne malandate, di bastoni e paglia intrecciati, che quasi si confondono col terreno, congiunte alla pista da un viottolo in salita. 

Aspettando il caffè
Davanti alla prima una figura esile e scura, sta ritta osservandoci arrivare, mentre un paio di ragazzini scappano dietro le frasche. Ravena è una donna di circa venti anni, nessuno, da queste parti, conosce bene la sua età esatta, e vive qui con la sua famiglia. Il marito è al pascolo con il gregge e i suoi tre bambini, quelli viventi, razzolano intorno. Appartiene alla tribù dei Banna (o Benna), affine ai vicini Arboré o Hamer, pastori seminomadi che popolano queste montagne. Anche se è così giovane, i seni le pendono infiacchiti, giù fino alla vita, certo per le molte gravidanze e da una certa rotondità del ventre, già se ne indovina la prossima. Oltre alla bandoliera di pelle dove sono cucite le quattro file di cipree bianche che ha ereditato dalla nonna, ha soltanto una gonna sdrucita a strisce colorate verticali; poi il caschetto di treccioline impastate di terra rossa ed un grande sorriso, che sottolinea quanto fosse una gran bella ragazza, anche se l'Africa invecchia in fretta. Ravena è sveglia, anche se il luogo più lontano dove è stata nella sua vita, è il mercato di Key Afer, e avendo visto che, di tanto in tanto, qualche auto carica di faranji passava sulla pista davanti alla sua capanna, ha pensato bene di iniziare un suo piccolo business. Offre il caffè ai turisti di passaggio e così facendo introita qualche birr, da spendere poi al mercato. Le poche capanne sono tutte della sua famiglia, quella più grande dove cucina e dorme, al fianco quella con le pareti aperte dove proteggersi dall'ombra nei mesi più caldi.

Poi le tre o quattro issate su alti bastoni, che non ci arrivino i topi, sono i magazzini dove mettere il sorgo e il tef che la sua famiglia coltiva in piccoli appezzamenti nelle vallette alle spalle della collina. Ci sono poi i recinti di arbusti spinosi per il gregge e altre due o tre capanne più piccole per arnesi e  per qualche altro componente della famiglia, anche se non è ben chiaro chi siano. I bimbi intanto sono saltati fuori ad osservare da vicino la novità della giornata e dal sentiero arrivano anche dei ragazzotti piuttosto prestanti con tanto di fascetta di perline intesta e capelli rasati in modo creativo e trattenuti dalle modernissime mollette colorate, già viste al mercato, che vanno tanto di moda. Entriamo nella capanna con una certa fatica, per lo meno i più rotondi, seguendo Ravena che ci sguscia dentro con destrezza anche se con la pancetta incipiente della nuova gravidanza. Subito entrano tutti, siamo una decina e sulle pelli stese a terra e sulle pietre che fungono da sedili, si sta abbastanza stretti. In un angolo tra alcune pietre, già si sta ravvivando il fuoco e in un recipiente di terra sta bollendo il caffè, che veramente sarebbe di gusci di caffè,se proprio vogliamo essere precisi. Dopo la bollitura Ravena ce lo versa nelle ciotole ricavate dalle mezze zucche secche, nell'aria odore di fumo e di tostatura. Il gusto è più ruvido, legnoso ma non proprio amaro, anzi con un suo aroma particolare quasi piacevole. Lei ci guarda ridendo, al di là del business, ha l'aria di divertirsi a ricevere quegli alieni nel suo mondo, così bardati, così attenti a non sporcarsi o a non toccare più di tanto. 

Ravena
Gente strana, chissà come sarà casa loro e se mi inviterebbero a prendere il caffè se passeremo di lì io e mio marito Afar. Lo aveva conosciuto alla grande festa, quando lui era diventato uomo e aveva saltato i tori. Era bellissimo e poi al villaggio, quando erano cominciato i balli, lei aveva fatto la sfacciata e si era messa proprio in fila davanti a lui ed ai suoi compari, assieme alla sua amica Kara, che l'aveva trascinata quasi a forza. Lui allora, aveva saltato proprio davanti a lei, che neanche se lo aspettava, lui così bello e forte e lei ancora così piccola e giovane. Avevano ballato tutta la notte , facendosi scherzi e ridendo, prima di appartarsi dietro gli alberi fitti che stavano alle spalle del villaggio. Comunque ha un aspetto felice, Ravena, o almeno così si vuole mostrare, mentre esibisce il suo profilo all'obiettivo. I ragazzi, che risultano parenti abbastanza stretti, fratelli e cugini del marito, intanto cazzeggiano intorno, maneggiando i corti machete che hanno appesi al fianco. Muscoli lucidi e spalle larghe, alla sera, dopo le libagioni di birra di sorgo, meglio averli amici ed evitare le discussioni, insomma. I bambini, a cui si è aggiunta una ragazzotta sui dieci anni, stanno dritti su un monticello ad osservare la nostra partenza. Un altro saluto poi giù per la discesa in una valle verdissima dove per chilometri non si vede più anima viva salvo un bushbuck che solleva il testone cornuto dall'erba alta mostrando un palco imponente ed un gran vello di peli sotto il gargarozzo. Qualche faraona scorrazza via al nostro passaggio. La nuvola di polvere si solleva alta, come una scia malevola di un animale estraneo capitato lì per sbaglio e che tutti non aspettano altro che se ne vada via. 

Giovane Banna




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