Flamingo in volo |
Pescatore |
Le rive del lago Chamo, come quelle della maggior parte dei laghi africani sono completamente deserte; la presenza umana non si avverte; nessuna costruzione è visibile, neppure qualche sparsa capanna. Di norma l'uomo quaggiù non costituisce gruppi abitativi vicino all'acqua. E' troppo pericoloso. La superficie liquida, seppure così ammiccante e tranquilla rappresenta sempre una sorta di trappola, sovente mortale. Animali pericolosi di ogni genere popolano le rive di fitti canneti e nascondono ogni genere di insidie, che si celano sopra o sotto la superficie e quando questi non sono presenti, altre minacce esistono anche quasi invisibili, zanzare, moscerini, altri minuscoli esseri viventi a loro volta portatori di parassiti quasi sempre mortali. Ecco perché i centri abitati, anche piccolissimi, sorgono sulle alture collinari, nel tentativo di avere quantomeno la protezione della distanza dalle grane più grosse. Questo rende i laghi africani particolarmente affascinanti e li avvolge di un'aria di mistero che la presenza umana intensiva rovinerebbe senza rimedio. Invece questo senso di estraneità, di pianeta disabitato, di eden primordiale li carica di una malia avvincente che attira in maniera morbosa. Il Chamo non fa eccezione. Ci vuole almeno una mezz'oretta di macchina per scendere da Arba Minch e raggiungere un piccolo imbarcadero nascosto tra le erbe alte.
Segnali stradali |
Un cartello arrugginito, issato su un palo che sta per cadere, recita: Nech Sar National Park ed è il solo segnale che ti lascia capire di essere ormai all'interno di questa area piuttosto selvatica su cui sopravvivono alcuni insediamenti di Oromo e di Kore, piccoli agricoltori e pescatori che da circa mezzo secolo, vengono alternativamente cacciati dal parco per proteggerlo, quando era stato creato o riammessi perché lo proteggano meglio essi stessi, avendo un qualche interesse economico a gestirne il pur scarsissimo flusso turistico. In ogni caso le rive del lago, completamente ricoperte di fitta vegetazione acquatica sono diventate un rifugio per un gran numero di specie avicole. Nel fitto del bosco che cresce sull'istmo (il cosiddetto ponte di Dio) che lo separa dal suo vicino e gemello Abaya, vivono, poco visibili, gruppi di antilopi, kudu, gazzelle di Grant e dik-dik e qualche mandria di zebre delle steppe, anche piuttosto numerose, vista la scarsità di nemici naturali. Vicino alla riva, dove le acque non sono ancora profonde passano quasi l'intera giornata gruppi di ippopotami, in attesa del calar della notte e della temperatura, per risalire nelle erbose radure retrostanti a foraggiare la gran quantità di materia verde che è necessaria ogni giorno al loro sostentamento. Ma la cosa più notevole del luogo è il grande numero di coccodrilli del Nilo, di grandissime dimensioni anche oltre i cinque metri, che passano la giornata nel fango delle sponde, tra canneti e massa verde marcescente o rimanendo col gigantesco corpo seminascosto sotto il pelo dell'acqua da cui emergono solo narici ed i globi dei gialli occhi sporgenti, in attesa della possibilità che qualche vittima passi incautamente nelle vicinanze.
Airone maggiore |
La nostra barca prende il largo con calma, muovendosi leggera sulla superficie liscia sulla quale la completa assenza di vento non provoca la minima increspatura. Saliamo verso nord, scorrendo la costa sulla quale la vegetazione diventa sempre più impenetrabile. Al di là del leggero scoppiettare del nostro piccolo motore, non si sente il minimo rumore. Poi, dietro una ansa appena accennata avverti uno sguazzar di ali e zampe. E' un folto gruppo di pellicani bianchi che litigano per uno spazio sul microscopico spazio di terraferma lasciato libero dalla vegetazione. Alzano al cielo i grandi becchi gialli mostrando la membrana del collo gonfia e ciondolante, Il loro gragra riempie l'aria tutto attorno e quasi non fai caso a quella specie di tronco la cui ruvida corteccia galleggia appena sul pelo dell'acqua blu scura. Poi, mentre la barca compie un piccolo spostamento per passargli ad una certa distanza, capisci che non si trattava di un albero marcio alla deriva, caduto per caso nelle acque, ma di un grande coccodrillo, di certo più lungo del nostro guscio, che, pur essendo di metallo, non sarebbe certo contento di ricevere una bella scodata di fianco. Si muove lentamente, quasi non scorgi le iridi gialle degli occhi semichiusi. Quella che avevi scambiato per ruvida corteccia sono le scaglie grandi del dorso, di un mimetico color verde marrone che lo confonde nell'acqua bassa. Procede molto lentamente tanto da sembrare immobile, eppure si sposta adagio a poco a poco allontanandosi da noi e procedendo verso riva come davvero fosse un tronco spinto dalla corrente.
Il pasto dell'aquila |
Lontano, quasi in mezzo al lago, una sagoma piccina manovra una lunga canna infilandola nelle acque per spingere una sorta di zattera fatta di tronchetti e fasci di canne. E' l'imbarcazione di un pescatore che va a gettare un corta rete nelle acque più profonde. Sembra che i coccodrilli ne rovescino una decina all'anno di questi barchini, divorandosi allegramente il pescatore che sta in bilico su di essi. Tra le erbe della riva emergono grandi alberi morti con i rami rinsecchiti che si levano al cielo come dita scheletriche in cerca di salvezza, su cui si appoggiano enormi aquile pescatrici dalla testa bianca, qualcuna intenta a divorarsi un pesce che ancora guizza, trattenuto tra gli artigli, mentre di tanto in tanto con il rostro ne stacca un brano quasi con rabbia, prima di inghiottirlo con un rapido movimento verticale del collo che scompiglia le penne. Intanto con l'occhio severo continuano a controllare il territorio circostante, quasi a sorvegliare chi passa. Più in basso aironi bianchi altissimi allungano il collo verso il cielo e piccole egrette stanno immobili tra i canneti. Un picchio marrone saltella tra le rocce in cerca di qualche tronco da scavare. La barca procede lenta fino ad arrivare ad una lingua di terra scura che emerge dall'acqua scendendo da una proda ripida e come scavata da qualche pioggia battente che ha tolto il terreno anche tra le radici dei tronchi più vicini all'acqua, come per cercare di scalzarli via e richiamarli a sé in un abbraccio mortale.
Airone cinerino e coccodrilli |
La lingua nera è coperta di corpi giganteschi immobili. Sono coccodrilli grigi, almeno una decina che giacciono immobili al sole. Paiono come imbalsamati, uno con la bocca spalancata verso l'alto, addossati gli uni sugli altri, con le lunghe code rostrate che si incrociano. In mezzo, altrettanto immobile, un airone cinerino rimane con lo sguardo fisso al cielo, come se, capitato in quella compagnia per caso, non volesse farsi notare, mostrandosi come un oggetto inerte e non degno di attenzione. Non si sente il minimo rumore. Anche la nostra barca, a motore spento rimane immobile a far parte del quadro, in una situazione irreale. Dopo un tempo che appare lunghissimo, uno dei rettili ha un leggero movimento della cosa e continuando a mantenere gli occhi chiusi, si muove dapprima impercettibilmente poi con uno scarto più lesto e scivola verso il fango un poco più liquido come lasciandosi andare verso l'acqua. Dopo un attimo scompare sotto la superficie, forse è sotto di noi. Ci allontaniamo allora a bassa velocità quasi di soppiatto senza farci notare. Tutto il resto del quadro rimane identico, immobile. Procediamo verso riva. In una grande ansa si sentono movimenti scomposti. Un branco di ippopotami, sta immerso nelle acque circostanti, occupando completamente un largo spazio. Ce ne sono almeno una ventina visibili. Anche questi mostrano soltanto occhi e narici sulla superficie, ma di tanto in tanto qualcuno emerge con il testone girandosi intorno per far notare a tutti che ci tiene a non essere disturbato.
Ippopotami |
Poi se qualche suo compare è sconsideratamente troppo vicino, allarga la bocca mostruosa mostrando i dentoni al malcapitato. Ruggisce (non so come si dica il suo rauco berciare, ma fa un chiasso infernale), guadandosi intorno con occhio cattivo. E' una minaccia inequivocabile, vattene fuori dai piedi che questo è il mio territorio, poi si alza ancor di più fuori dalle acque, porge con sussiego le terga alla comunità ed emette una nuvola di sterco semiliquido che ruotando velocemente il corto codino come una pala di girandola, spruzza tutto intorno per dare chiara dimostrazione di essere l'unico accreditato ad occupare quella porzione di territorio. Poi chiarita la posizione di chi comanda, si riimmerge, offeso e con disdoro nelle acque del lago. Le madri con il piccino, che poi piccino non è proprio, ma grosso come un vitellone della coscia, stanno alla larga, inutile cercarsi grane coi maschi prepotenti o, soprattutto per proteggere la prole. Stiamo alla larga anche noi, anche se staresti a guardarli per ore, d'altra parte sembra che gli ippopotami, assieme ai bufali siano gli animali africani più pericolosi in assoluto. Sfiliamo ancora lungo la riva, dove altri coccodrilli si infrattano, nascondendosi tra il fango e tra i tronchi marcescenti. Poi è ora di risalire sulla terraferma. In alto all'orizzonte una lunga fila di flamingos ruotano incerti sul luogo dove ammarare. Il lago, dietro, adesso sembra davvero deserto.
Picchio |
SURVIVAL KIT
Lago Chamo e il suo parco - A pochi chilometri da Arba Minch, occupa tutto l'istmo tra i due laghi. L'escursione più semplice è quella di un paio d'ore che si svolge con dei barchini di metallo abbastanza sicuri. Vengono organizzate senza problemi dai vari alberghi. Più complicato girare sulle piste interne del parco molto fangose e selvatiche. Merita assolutamente per questa sua caratteristica di luogo spopolato e solitario.
Aquila pescatrice in volo |
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