venerdì 10 aprile 2020

Primi passi a Sana'a


Nel suk di Sana'a. Venditori di jambiah -  Agosto 1977

Sulla porta
Così arrivammo a Sana'a, ancora agitati per il pericolo corso di rimanere incastrati a Jeddah, situazione che sarebbe stata difficilmente gestibile. L'aeroporto di Sana'a sembrava la stazione di Valenza Po. Uno stanzone cadente, attraverso il quale i passeggeri, scesi dai vari voli, pochi per la verità, uscivano verso un piazzale semideserto e circondato da palme sparute. Andammo un po' in giro a chiedere dove potessero essere le nostre valige, arrivate presumibilmente col volo che noi avevamo perso. Dopo lunga ricerca, un addetto ci accompagnò in un altro ampio locale dove ammonticchiate in un angolo, c'era una vera e propria montagna di valige, zaini, casse di verdura e frutta e colli di ogni genere, buttati disordinatamente uno sull'altro, dicendoci: Guardate lì. Scalai la montagna di masserizie, cercando di individuare se in mezzo ci fossero i nostri bagagli, che non davano nessuna evidenza, quantomeno nell'area superficiale. Ne spostai un po' per cercare di vedere se non fossero finite sotto il mucchio, ma non ci fu niente da fare, l'operazione era troppo complicata e non c'era neppure un addetto che potesse venirmi in aiuto. Facemmo un ultimo tentativo, andando all'ufficio della compagnia aerea, del volo perso, per chiedere notizie, ma la porta era sbarrata a doppia mandata e non c'era nessuno in vista, per cui demmo per perse le valige, almeno per il momento, e ci dirigemmo verso la città sotto un cielo arroventato. Ci eravamo scordati che ad agosto lo Yemen è probabilmente uno dei posti più caldi del pianeta. 

Dalla finestra
Trovammo subito un taxista, dirigendoci verso il centro alla ricerca dell'alberghetto che avevo in lista, grazie alle informazioni degli amici e durante il tragitto capitò la seconda avventura, di cui magari vi parlerò un'altra volta ed infine trovammo il nostro hotel, di cui non ricordo più neppure il nome, ragionevolmente vicino al centro e decisamente basico, tanto per cominciare ad abituarmi a ragionare in termini di prezzo/qualità, via che mi sarebbe stata di insegnamento per ogni viaggio futuro. Per la verità constatammo subito che i costi del paese, complice il cambio sicuramente svantaggioso, erano abbastanza salati e che con i 500 dollari a disposizione non avremmo fatto moltissima strada, per cui bisognava cominciare a razionare le spese. Iniziammo dalla cena con un chicken in the basket comunque soddisfacente, anche se non proprio abbondante e poi cademmo nel letto stroncati dalle fatiche del viaggio, che comunque era stato piuttosto impegnativo. Il giorno dopo affrontammo finalmente la città che ci accolse con il caldo abbraccio delle meravigliose case di Sana'a, che apparivano come una trina di merletti, fatti di facciate con infinite serie di piccole finestre bordate di bianco e sormontate di aperture a lunetta chiuse da vetri colorati. La casa yemenita ha sempre un andamento verticale con una serie di ambienti sovrapposti e collegati da strette scale interne. Al piano terra uno spazio per cucina ed animali, poi un ambiente di servizio al primo piano, al secondo la zona per le donne di casa ed i bambini (l'harem) e all'ultimo piano una grande sala comune per gli uomini, infine la terrazza dove spesso di dorme, data la temperatura.

In centro
Tutto il centro antico della città è formato da una rete inestricabile di vie tortuose e vicoli stretti circondati da queste case torri le cui facciate formano un seguito di quinte successive dall'apparenza fiabesca, che appaiono uscite pari pari dai racconti di Sherazade delle Mille e una notte. Le strade erano ancora in terra battuta e da un lato, si procedeva con la testa in su per non perdere lo spettacolo che ci circondava mentre dall'altro bisognava continuamente buttare un occhio a dove si mettevano i piedi per non inciampare nei residui di ogni tipo e dimensione che ingombravano il cammino,badando naturalmente ai motorini che ti sgusciavano intorno. Certo questo era e sarebbe diventato uno dei problemi cardine del terzo mondo. Abituati a buttare i pochi scarti di una vita frugale, parti di cibo e materiali generalmente organici, che una temperatura torrida provvedeva a distruggere in breve tempo, seccandoli o riducendoli a minime marcescenze, le genti di questi paesi non sono riusciti a rendersi conto della differenza tecnica che c'è tra una lattina di soft drink o un tetrapack di succo e la buccia delle arance e delle banane. Mentre queste scompaiono in due giorni, cotte dai 50°C del sole, quelle rimangono calpestate ed appiattite a formare una nuova e permanente pavimentazione. Obbiettivamente in alcuni punti più frequentati, pareva di camminare su uno spesso strato di lattine di alluminio appiattito perfettamente dal passaggio continuo degli abitanti della città fatata. 

Vicoli di Sana'a
E pensate che ancora non erano comparse le bottigliette di plastica. In ogni caso arrivammo al mercato nei pressi della Bab el Yemen, la porta che affaccia su una piazzetta con un vertiginoso suk affollatissimo di gente. Attorno una selva di case torri finemente decorate, alte fino a sette piani, praticamente un set cinematografico naturale, dove Pasolini ambientò molte scene del Fiore delle mille e una notte. Ci siamo persi inn questo suk attratti dalla bellezza, dalla confusione e dalla eccitazione di queste immagini che per noi erano decisamente inconsuete, tra donne completamente ricoperte di un ampio velo fino ai piedi e uomini coi turbanti rossi a pié de poule, accoccolati dietro ai banchi o a passeggiare per la strada con il tradizionale pugnale ricco di decorazioni d'argento, la jambiah, portata alla cintura davanti all'addome. Visto che temevamo di non rivedere mai più le nostre valige, l'intento era quello di comprare qualche mutanda e un paio di magliette, e qui, come si dice, cascò l'asino perché di mutande non c'era l'ombra, tanto che ci venne il sospetto che questo indumento fosse all'epoca sconosciuto in zona. Accantonammo momentaneamente  il problema anche perché la comunicazione al mercato non era semplice e l'argomento difficile da introdurre. Ma questa prima immersione in un mondo così diverso, ci mostrò decisamente quanta differenza ci può essere e quali variabilità esistono tra gli uomini. Erano le prime lezioni a cui ci sottoponeva il viaggiare, un rimescolamento di odori, colori e rumori che comincia a entrarti nel sangue come un virus da cui non riesci più a guarire. Un'occhiata ad un negozio che vendeva jambieh, con gli straordinari foderi ricurvi e preziosi ed il manico, si dice ricavato da corni di rinoceronte, ci ricordò, sentiti i prezzi, che bisognava risolvere il problema dei soldi e quindi ci dirigemmo verso una delle piazze del centro dove c'era l'insegna di una banca.

Dietro le mura



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