martedì 14 aprile 2020

Relatività

La Jambija 



Considerate che allora correvano quelli che poi vennero chiamati gli anni di piombo. In Italia si sparava per ideologia, ma in effetti ce ne accorgevamo solo dalla televisione e leggendo le pagine di giornali. A Sana'a, la capitale dello Yemen, invece avevano appena ucciso in un attentato il capo dello stato ed il paese era sull'orlo della guerra civile, una delle tante che si succedevano di tanto in tanto in quel paese evidentemente poco incline alle discussioni ed alle trattative, e che dopo poco avrebbe portato alla riunificazione con lo Yemen del Sud. Questo è sempre stato un paese in guerra o sull'orlo della guerra, contro nemici esterni, principalmente gli odiatissimi vicini Sauditi, che nell'area sembra non piacciano in realtà a nessuno. Oppure si scannano tra fazioni interne, tanto che allora il paese era diviso tra nord e sud, ma al nord estremo non ci potevi andare ugualmente perché una fazione di irredentisti (forse erano proprio gli Houthi anche se non ne sono sicuro), ti sparava a vista se cercavi di raggiungere Sadha e quindi la quantità di armi che si vedevano in giro era notevole e tutt'oggi credo che tutto questo continui. Per tradizione gli yemeniti vanno in giro armati e se non hanno armi da fuoco, il minimo che serve a dimostrare la loro mascolinità è la jambya, un grande pugnale ricurvo che viene donato al maschio appena raggiunge la maggiore età e che si porta trionfalmente sul petto pronto alla bisogna. 

Se non hai armi con te non sei proprio nessuno, che poi anche allora si usassero davvero è un altro paio di maniche, certamente faceva il suo effetto vedere continuamente gente con la pistola alla fondina o che brandiva un mitra o nel caso più disperato con un vecchio fucile a tracolla. Intanto noi continuavamo ad esplorare la città delle favole con gli occhi rivolti in su. Verso le cinque, eravamo nella piazzetta centrale di Sana'a di fronte alla libreria internazionale che esponeva qualche giornale straniero e quasi senza che ce ne accorgessimo fummo circondati da una gruppo di uomini, chi più chi meno, tanto per cambiare tutti armati come si dice fino ai denti. Chi esibiva una leggera, ma minacciosa Tokarov, chi un kalashnikov appeso alla spalla con nonchallance, le armi russe sono sempre le più presenti da queste parti, fino ad un alto vecchio con una lunga barba bianca che portava con fierezza un lungo moschetto. Mentre ci guardavamo attorno capimmo che si stavano commentando i titoli delle testate delle riviste esposte all'esterno della libreria. 


Al centro, faceva bella mostra quella famosa copertina del settimanale tedesco (Stern credo) che esibiva la pistola sul piatto di spaghetti e sotto le foto del brigatista mascherato che dalla Vespa sparava al sindacalista genovese. Con grande cortesia, che subito dissolse le nostre perplessità, chi parlava inglese iniziò a dibattere con me (naturalmente nessuno si permise di interpellare Tiziana, bionda ed oltretutto neppure velata, come le rare figure oscure che scivolavano via senza apparire rasentando i muri). Saputo che eravamo italiani, il più ardito, brandendo il mitra per avvalorare meglio il suo concetto, concluse la discussione dicendo: "Ma come potete vivere in un paese così pericoloso!". Era un ingegnere e mi raccontò che qualche anno prima era passato dall'Italia per andare a Vienna in treno e mi assicurò che le tre ore passate alla stazione Centrale di Roma erano state per lui una esperienza di terrore e paura che ancora ricordava. - Never in my life in Italy! - Concluse con decisione. La compagnia si sciolse, era ormai sera. Tornammo al funduk che ci ospitava mentre le ombre che a quelle latitudini cadono improvvise come un sipario indaco, ci mettevano meno inquietudine del consueto.

Comprare i datteri



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1 commento:

Anonimo ha detto...

la percezione del rischio è una cosa strana.
Devio argomento ma mi fanno un misto di paura/tenerezza i cinesi ai quali piace il punteggio sociale, e son tanti.

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