lunedì 27 aprile 2020

Una pista nel deserto


Tra le rovine di Marib

Tra le case
Un'altra notte a Marib, trascorsa in un silenzio irreale nella casa dirupata della città morta. Tutta la giornata era stata senza vento e nel buio più completo, avevamo soltanto una piccola torcia le cui pile si stavano esaurendo, trovammo la scaletta che permetteva di raggiungere la terrazza superiore della casa. Le altre costruzioni intorno erano sagome indistinte di mattoni crudi sbriciolati dal tempo e dalla violenza degli uomini, nel cielo già alta, una falce di luna che comunque rischiarava un poco le cime delle rovine circostanti; la stellata sopra di noi, mirabile trapunta di diamanti sul mantello di velluto nero. Accidenti che sbrodolata, scusatemi pure, ma ci sono occasioni in cui altre parole ti sembrano brodini senza sale. Quella era la sensazione esatta che mi porto dietro ancora adesso dopo 43 anni. Non è tanto la bellezza incondizionata del luogo, ma essere soli davanti a tutto quello e poterlo apprezzare, che te lo rende speciale e te lo scolpisce nella memoria. Dopo non è più necessario chiedersi perché si continua a voler partire a vedere il mondo e si capisce bene che a chi ti fa questa domanda non è necessario dare risposte. Dormimmo nei sacchi a pelo leggeri, appagati anche se il nostro giro era prossimo alla fine, come i soldi del resto. La mattina dopo salutammo il nostro Ascaro che mi strinse la mano con forza, ricordandomi l'invito a far conoscere questo posto ad altri italiani che lui avrebbe accolto tanto volentieri. Di certo oggi non ci sarà più, chissà se qualcun altro ha raccolto il suo business.

Un negozio a Marib
Già perché bisogna segnalare un fatto assolutamente strano che ho scoperto dando n'occhiata in giro sul web, quando ho cercato informazioni sullo stato attuale della città di Marib, che credevo scomparsa ormai per sempre. Avevamo ancora la mattinata libera dovendo arrivare alla pista nel deserto dove sarebbe arrivato il nostro aereo, verso mezzogiorno. Il nostro amico che ci aveva condotto alla diga il giorno avanti la prese quindi alla larga e ci condusse  fino alla cosiddetta Nuova Marib, una cittadina che sorgeva alle spalle delle rovine, solo qualche chilometro addietro seminascosta dalle dune basse e sabbiose. Non so quante persone abitassero lì, non più di qualche centinaio, in casette e baracche di nuova costruzione, salvo qualche casa più vecchia che al mattino evidentemente mettevano il naso fuori con una certa lentezza, così era facile chiedersi cosa facesse quella poca gente in mezzo al deserto e quale attività svolgesse, visto che le pratiche agricole non sembravano essere troppo semplici da quelle parti e sulla pastorizia non crescono le città. Al limite della case c'era una specie di locale, diciamo un baretto. Sulla soglia, tre sedie scalcagnate erano occupate da anziani che già masticavano qat, mostrando il caratteristico bolo a palla su lato sinistro della guancia. Ci guardarono con occhio stanco invitandoci a sedere per un caffè, rigorosamente Nescafè, curioso eh, nel paese che lo aveva inventato, ma la conversazione fu difficile. Fuori, un bambino in camiciola correva disperatamente verso il deserto, forse dietro una capra che si era perduta. Scomparve anche lui tra le dune basse che alla luce del mattino erano grigie e tristi. Dove stava andando?

Sana'a
Pensai davvero ad luogo senza vita destinato a spegnersi nel nulla di quella terra di morti. E invece, a quanto ho letto, risulterebbe che oggi, dopo quarant'anni, la città di Mareb è fiorita, mutandosi in una metropoli di quasi un milione di abitanti in continua crescita. In pratica la guerra che si è sviluppata soprattutto nella zona costiera, ha spinto quaggiù una marea di profughi dalla capitale e da tutta la Tihama, forse la parte filo saudita, sempre che io abbia capito qualche cosa di questa diatriba complicatissima che oppone fazioni tribali dai credi diversi, nemiche mortali da secoli. La città gode fin dal 2015, anno in cui gli Houti sciiti ribelli sono stati respinti fino a Sana'a, di una economia basata sui traffici di guerra, contrabbando e movimento di armi e generi alimentari che arrivano dal sud e sembra che gli affari non siano mai andati così bene, le nuove costruzioni crescono come i funghi e gli affari prosperano. Pare che le macerie che ci sono in giro non siano causate dalle bombe ma dalla frenetica costruzione di nuovi edifici, negozi, centri commerciali, banche in cui arrivano i proventi della vendita di gas e petrolio, mentre la città è assediata da almeno dodici campi profughi. Vedete come la guerra vada sempre a braccetto con gli affari comunque e sembra che la voce comune sia: questo è il momento di investire. Se siete curiosi al riguardo, date un'occhiata qui, a questo articolo che mi sembra illustri bene la situazione attuale. Noi invece lasciammo la città di casupole sonnolenta e grigia per prendere la via del deserto ed arrivare ad una lunga striscia che qualche lavoro aveva resa liscia e piana per almeno un chilometro. 

Greggi
C'era una tenda militare al bordo, dove il nostro conducente ci lasciò col valigino al fianco ed i due zainetti in spalla. All'interno tre o quattro soldati ed una grande radio che gracchiava. Ci salutarono con un cenno della mano e ci dissero di accomodarci lì vicino su delle latte vuote. Intanto arrivò anche qualche altro aspirante passeggero. Dopo un tempo indeterminato, ma che senso ha parlare di tempo nel deserto? cominciò una certa agitazione dentro la tenda. Tipo: pronto pronti, qui torre di controllo, passo, ecc. si sgolava il soldato davanti ad un vecchio microfono di bachelite. L'altro era uscito fuori e guardava in alto in direzione di Sana'a, facendosi schermo con la mano tesa sugli occhi. Ogni tanto diceva qualcosa rivolto al compare all'interno. Quando scorse un puntino nero lontano, alto nel cielo, con voce concitata diede indicazioni più precise, facendo segni con la mano, più a destra, più a sinistra o che so io. Il tizio dentro continuava a dare indicazioni facendo procedere il velivolo verso la nostra direzione, evidentemente poco riconoscibile dall'alto, essendo tra le altre cose la tenda, appunto, mimetica. Ad ogni buon conto, come a Dio piacque, alla fine il DC4 atterrò e il nostro vecchio amico in camicia hawaiana, sempre la stessa mi parve, ci fece ampi saluti dal finestrino aperto invitandoci a salire. Eravamo meno di una decina stavolta e dopo un'oretta l'aeroporto di Sana'a che ci accolse, sembrava quello di New York. Un'ultima notte per sentire l'odore di montone arrosto della capitale e poi, finiti i soldi ed i formaggini Tigre che ci eravamo portati come viveri di emergenza, tornammo a casa dopo quel viaggio memorabile che ci rimase nella testa per sempre.

Fattorie torre


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3 commenti:

Pierangelo Martinengo ha detto...

Il piacere di leggerti è sempre grande, noto che oltre alle fotografie (magari diapositive, molto in voga a quei tempi) devi avere una documentazione notevole. Ti auguro una buona serata.

Anonimo ha detto...

Excellent!Quel voyage..Nous etions dans ces mêmes régions 20 ans aprés toi et le ressenti n' est pas aussi fort ,aspect médiéval en moins.Mais c'était l'époque où les quelques touristes que nous étions devaient traverser l Hadramaout et le Rub Al Khali sous escorte d hommes armés jusqu'aux dents et chèrement payés afin de ne pas être pris en otages .
Le confinement sert au moins à remuer les souvenirs et à mettre de l ordre dans les photos
Jac.

Enrico Bo ha detto...

@Pier- Grazie della considerazione. In effetti ho un bell'archivio e ho digitalizzato la maggior parete delle vecchie diapo, certo che la qualità dopo 50 anni è quella che è.

@Jac - Il y a beaucoup de mondes disparus, domnage, mais tout à fait, maintenant on a beaucoup de temps pour le raconter!

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