domenica 19 aprile 2020

La Tihama


Zabid - Moschea e mura- agosto 1977


Suq di Bait el Faqih
In un alberghetto della città vecchia di Taiz, passammo la sera a fare un po' di conti e anche calcolato l'annullamento della settimana che avevamo previsto nello Yemen del sud e andata in vacca, vedemmo subito che dati i costi molto superiori al previsto che stavamo incontrando lungo il percorso, bisognava ridurre drasticamente le pretese e le comodità, quindi niente ricerca di auto privata per il giorno dopo, troppo costosa e quindi rinuncia definitiva, optammo per il solito taxi collettivo anche per le tratte più lunghe come quella del giorno dopo. Viaggiavamo leggerissimi, solo con uno zainetto a testa, avendo lasciato le valige a Sana'a, quindi di buon mattino ci dirigemmo a passo veloce verso la piazza di periferia dove partivano le macchine verso est. Ci caricò un tizio già pieno di qat al mattino presto, che parlava con un tono di voce piuttosto alto. Ci mettemmo un po' a salire sull'auto, una giapponese station wagon, che reputavamo già piena zeppa, oltre l'autista c'erano infatti sui sedili già nove persone ammassate alla meglio, ma il tizio insistette dicendo che non c'era altro verso Zabid per tutta la mattina. Così ci mise dietro nel bagagliaio, ma non contento, prima di chiudere il portellone, fece salire ancora una coppia, lui allampanato con pistola nella cintura e lei minuscola, sarà stata una di quelle spose bambine di cui tanto si dice, indecifrabile, avvolta completamente com'era da uno spesso velo nero, con un sottile bordo d'argento. 

Zabid
Si infilò immediatamente nell'angolo opposto al mio, facendosi piccolissima timorosa anche soltanto di sfiorarmi, riducendosi ad un fagottino microscopico. Lui attaccò subito un bel bottone su chi eravamo e da dove venivamo e perché e percome. Intanto partimmo, una strada bianca tutta curve di recente costruzione da parte dei sovietici, che volevano ingraziarsi il governo prima della guerra civile, che scivolava con costante discesa verso il mare. Dopo un paio d'ore ed un'ottantina di km arrivammo al bivio con la pista che conduceva a Mokha, che eravamo costretti a saltare a meno di non scendere e cercare un passaggio aleatorio, fino al porto che ha mantenuto questo nome famoso in tutto il mondo grazie al caffè. Mi dicono che era una città semiabbandonata, molto affascinante con una magnifica pista lungo la spiaggia deserta e sinceramente è una perdita che rimpiango ancora, ma a quei tempi, tanto mi sembrava già di avere raggiunto. E' interessante notare che ormai di coltivazioni di caffè, che tra l'altro sarebbe stato scoperto proprio qui, secondo una antica storia, dopo che un pastore ne aveva raccolto le bacche da un cespuglio semibruciato che le aveva per così dire tostate e avendone sentito lo straordinario aroma, provò a farle bollire nell'acqua, non ce n'era più neppure l'ombra. Leggende certo, sta di fatto che già da tempo la coltivazione del caffè era completamente scomparsa per dare spazio alla cultura del qat molto più redditizio. 

Case di Zabid
Già allora era tutto importato dalla vicina Etiopia. Intanto la nuova strada asfaltata proseguiva verso nord lungo la fascia costiera denominata Tihama, probabilmente il luogo abitato più torrido della terra. Nel bagagliaio della macchina anche con tutti i finestrini aperti, si cominciava a bollire e anche le ginocchia rattrappite facevano male, ma, con un altro centinaio di chilometri,  passata Hais, famosa per la produzione di terracotte, arrivammo prima di mezzogiorno a Zabid, la ex capitale dal glorioso passato. Lasciammo la macchina ed i nostri compagni di viaggio che proseguivano verso Hodeida, con un senso di sollievo distendendo finalmente le gambe e cominciammo a traversare la città che poi era poco più di un grosso villaggio. La poca gente gente per strada camminava rasente i muri per intercettare i ristrettissimi spazi di ombra che il sole allo zenit formava, picchiando senza pietà su quelle che apparivano dappertutto come pareti bianche calcinate da una temperatura impossibile e di certo superiore ai 50°C. Ragazzi non andate nella Tihama ad agosto, è un consiglio da amico. Tuttavia anche forse per questo motivo la città appariva ancora più affascinante, con le sue mura basse e le antiche porte che immettevano nella cittadella. L'architettura è qui completamente diversa dalle case torre della montagna yemenita, ma gli edifici piuttosto bassi e preceduti da un  giardino recintato, sono di mattone crudo imbiancato di calce, con raffinati motivi geometrici prodotti dalle sporgenze dei mattoni stessi, mentre una scala esterna immette nel piano principale. 

Il suq di Zabid
I vicoli tra le case sono un dedalo infinito quasi un labirinto dal quale è difficile uscire, mentre l'arsura di un calore implacabile ti schiaccia al suolo come un artiglio di fuoco. Ogni tanto quando le case si allargano, in un grande spazio davanti alla famosa moschea, che innalza il suo orgoglioso minareto verso un cielo a cui il calore ha dato la sfumatura del piombo, arriva dal mare un soffio talmente rovente da dare la sensazione di avere appena aperto un forno. Il suk, quello famoso illustrato da Pasolini nel Fiore delle mille e una notte, è quasi deserto, forse la gente è andata al grande mercato del venerdì della vicina Bait el Faqih. Qui, nello spazio aperto oltre il suq, dove c'erano alcuni negozi moderni, mi pare anche una farmacia, che esponeva un termometro digitale che segnava 53°C, trovammo una macchina ragionevolmente non troppo affollata che andava proprio al mercato settimanale di Bait. Ci arrivammo dopo l'una, buttandoci subito nella via, stavolta davvero gremita di gente, piena di negozietti e bancarelle, sulla quale erano stati tesi dei grandi teli ombreggianti ne ne facevano un budello da percorrere, torrido sì, ma mai come gli spazi aperti sotto il sole. A tratti quando attraversavi la strada, sentivi proprio i raggi bollenti che ti mordevano la nuca e, ad un tratto, accelerando il passo per mettermi al riparo, ebbi quasi un mancamento. Mi sedetti un attimo a prendere fiato, su una specie di letto di corde mezzo sfondato, messo di traverso fuori di una locanda, mentre il proprietario del funduk, ridacchiava simpaticamente. Poi riprendemmo la marcia nel girone infernale.
Il funduk di Zabid

Datteri
Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:



1 commento:

Anonimo ha detto...

Fascinant !
Jac.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 114 (a seconda dei calcoli) su 250!