Corfù - agosto 1976 |
Avevamo trent'anni, giovani e belli. Il sole caldo delle isole del Mediterraneo, l'aria piena di profumi, di essenze di origano e di mirto. Era l'alba ed il sole sorgeva prepotente dietro le montagne della costa albanese che stava lì di fronte a noi, così vicina che pareva potersi toccare solo allungando la mano. Seduto sulla roccia coperta di rovi la guardavamo come il luogo misterioso ed inarrivabile che era in quel momento, almanaccando come si potesse in qualche modo raggiungerla. Cosa è questa smania irresistibile che si agita dentro le persone, quando sei in un posto già di per se stesso bellissimo e che hai guadagnato a fatica, ma ti fa desiderare di andare più in là, oltre, di superare una barriera immaginaria o reale per andare a vedere cosa c'è, a scoprire scenari che immagini ancora più stupendi ed imperdibili? Perché quella certezza che se c'è un luogo proibito o irraggiungibile, di certo questo nasconde la bellezza assoluta e quindi diventa oggetto di desiderio irrealizzato e frustrante? Eppure quanti di questi momenti nella vita di chi ha questo malessere impiantato nel DNA, o forse semplicemente costruitosi nel tempo per casuale affastellarsi di avvenimenti, letture, conoscenze. Avrei dovuto aspettare 38 anni per scavalcare quella barriera e percorrere le montagne selvagge del paese delle Aquile e guardare finalmente proprio da quelle creste, l'isola finalmente di fronte a me; ma allora seduto su quella scogliera, mentre la brezza del mattino me ne portava i profumi lontani, ho sognato a lungo cosa si nascondesse dietro quella quinta scura di montagne segrete e misteriose, prima di scendere alla spiaggia di sabbia fine dove crescevano i gigli bianchi e delicati della nostra gioventù.
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