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Yemen - agosto 1977 |
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Ai margini del deserto |
Dopo aver comprato il biglietto per il volo verso il deserto, il soldo cominciava decisamente a scarseggiare. I costi erano stati decisamente superiori al previsto per un paese dove tutti i servizi erano di uno standard decisamente basico, ma evidentemente il problema è sempre lo stesso: i rapporti di cambio sballati che,quando arrivi da un altro paese, possono farti diventare un ricco epulone o un miserabile a parità di necessità. Questo accade soprattutto dove questi livelli di proporzioni sono dettati da situazioni indipendenti da normali rapporti commerciali e sono spesso frutti dell'isolamento o di situazioni particolari, potenti svalutazioni o sfruttamento di materie prime in posizione dominante. Si tratta comunque sempre di economie alterate da fattori di interna instabilità e qui le guerre e gli altri movimenti interni sono sempre stati fondamentali. Dunque stavamo tanto per cambiare, raschiando il fondo del barile e chiacchierando col tizio dell'hotel di quanto costasse vivere a Sana'a, finché non lo inducemmo ad un qualche movimento di pietà, tanto che ci trovò un passaggio gratuito per l'aeroporto dove arrivammo di prima mattina. Comunque anche se era uno scalo internazionale di una capitale, gli aerei in partenza ed in arrivo ogni giorno erano davvero pochi, tanto che l'aerostazione era quasi deserta, per non parlare della parte dei voli domestici.
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In volo |
Non ricordo neppure come si svolse il check-in ma di certo furono operazioni semplici. Quando chiamarono il nostro volo, questa volta dopo l'esperienza di Jeddah, stavamo attentissimi, in agguato ad ogni annuncio, andando a controllare più volte la zona di partenza, uscimmo da un gate che altro non era che una porticina nella sala partenze nazionali, uno stanzone piuttosto malandato dove la ventina di persone, evidentemente nostri compagni di viaggio, si ammassava in attesa, ma senza le classiche formalità da aeroporto. Ci incamminammo a piedi lungo la pista, verso l'aereo che aspettava con la piccola scaletta appoggiata sul fianco, senza nessun controllo bagagli, evidentemente la sicurezza era giudicata più che sufficiente. Si trattava di un vecchio DC4, che avevo visto soltanto nei film di guerra, un trimotore ad elica, appoggiato obliquamente sul ruotino di coda. Quando ci arrivammo sotto, la gente salì ordinatamente in fila indiana. Un tipo con la camicia a colori sgargianti aperta sul petto villoso, che dava un'occhiata all'ala sinistra, appena ci vide, venne verso di noi, che da bravi occidentali spiccavamo nel gruppo di turbanti e gonnelloni bianchi marezzati dalla fatica di vivere. Ci salutò con entusiasmo e ci disse distare assolutamente tranquilli, che lui era il miglior pilota che potevamo augurarci di avere e che ci avrebbe portato a destinazione senza nessun problema. Aveva pilotato aerei simili in guerra ed era sempre sfuggito a qualunque tentativo di abbattimento, dunque dovevamo avere in lui la massima fiducia.
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Deserto di pietra |
Decisamente tranquillizzati salimmo a bordo cercando di non calpestare il mucchio di pugnali che erano stati ammucchiati in fondo all'aere, nel piccolo spazio davanti al bagno e raggiungemmo i nostri due sedili, davanti. Tiziana era l'unica donna, ma i nostri compagni di volo non ci facevano assolutamente caso impegnati com'erano a sistemarsi le cinture e a preoccuparsi per l'esperienza in corso. Gli altri passeggeri erano già tutti seduti e allacciati, con le facce smorte ed impaurite di chi non aduso a volare e interpreta questo momento come una prova di crescita interiore e di coraggio a cui il destino lo ha sottoposto. Il tizio in camicia salì per ultimo e sparì dietro la porticina che però non chiudeva bene e pertanto rimase spalancata per tutto il tempo, non prima di averci fatto un ultimo cenno di rassicurazione. Poi l'uccello d'argento rollò traballando sulla pista e prese una lunga rincorsa prima di alzarsi con grande fatica, quasi ansimando mentre le eliche giravano all'impazzata cercando di avvitarsi nell'aria spessa della calura mattutina, poi, presa un po' di quota calmarono un poco il loro ruggito e l'aereo virò definitivamente verso il sole già alto che rifletteva sulle ali un bagliore accecante. Sotto di noi, superate le ultime montagne, si allargò subito il colore monocorde del deserto di pietra, un'ocra scura, che uniformava la superficie rendendone indistinguibili asperità e avvallamenti. Marib delle sabbie era ancora lontana con la sua fama di mistero e di abbandono, un avamposto nel deserto alle porte del Rub al Khali, lo spazio vuoto che occupa la maggior parte della penisola arabica.
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L'aeroporto di Marib |
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