sabato 4 aprile 2020

Il tempio di Bilkis

Marib - Yemen del nord - Agosto 1977
Ricordo solo un caldo insopportabile. L'aereo, un DC4 residuato bellico, si era posato su una pista nel deserto dove la torre di controllo era costituita da una tenda militare malandata con due soldati attrezzati con due vecchi kalashnikov col manico sbrecciato. Il pilota in camicia hawaiana a fiori ci aveva salutato dal finestrino mentre ci allontanavamo a piedi nella sabbia trascinando la valigiotta di sussistenza, con lo stomaco in tumulto, dove ancora ballava il piatto di fagioli che, essendo stati serviti solo a noi, col titolo di stranieri privilegiati, andavano più su che giù, ancora lasciandoci in bocca il gusto del sale, come si diceva allora. Il tizio che si qualificava come steward, aveva appena finito di distribuire i pugnali, le ricurve djambie, ai legittimi proprietari, che in ottemperanza alla legge erano state ammucchiate per terra in fondo all'aereo, anche se avevo notato che al mio vicino era stato curiosamente lasciato il mitra, che teneva abbandonato sulle ginocchia mentre vomitava nell'apposito sacchettino. Un viaggio tranquillo. 

Un beduino allampanato con una grossa Luger alla cintola, aspettava con una vecchia Land Rover al di là della tenda. Ci accordammo per un passaggio alla città morta e per un giro l'indomani, ci disse che con lui potevamo stare tranquilli, d'altra parte la guerra coi vicini Sauditi era finita da un paio d'anni e adesso in zona, il confine qui è piuttosto vicino, ci si poteva muovere in sicurezza. La città morta di Marib, un antico abitato di case in mattone crudo in rovina, era al centro dell'area dove sorse millenni addietro, l'Arabia Felix della regina di Saba, il centro di smistamento delle spezie di Oriente e del passaggio della via dell'incenso, che dall'Oman risaliva la strada costiera del mar Rosso ai tempi dell'impero Romano, arrivando fino a Petra per raggiungere il Mediterraneo. Il giorno dopo raggiungemmo i contrafforti, almeno gli spuntoni rimasti della imponente diga sul wadi Adhana cominciata dai Sabei nel 750 a.C. e crollata per incuria oltre mille anni dopo. Un lavoro di ingegneria incredibile per i tempi che assicurò il fiorire di quella civiltà creando una situazione di fiorente agricoltura in tutta l'area. 

Poco più lontano in mezzo alle sabbie, che tentavano di seppellire nuovamente il lavoro di una missione archeologica che lo aveva portato alla luce  negli anni '50, le colonne quadrate del tempio cosiddetto della regina di Saba, che risale alla notte dei tempi, quando la città aveva oltre 50.000 abitanti ed era il centro del regno della leggendaria Bilkis. Pestavo sabbia dorata cercando invano riparo tra le ombre corte delle colonne abbandonate al vento del deserto. Altre guerre, altre bombe dovevano arrivare su questa terra martoriata e senza pace. Il contrafforte più elevato della diga, alto quasi venti metri è stato distrutto dai bombardamenti sauditi nel 2015, non ho notizie delle colonne del tempio. Quando alle rovine della città di fango, che aveva addirittura resistito senza danni all'assedio di Elio Gallo nel 24 a.C., che dovette ritirarsi ignominiosamente, credo si mescolino oggi, tra mura sbriciolate e soffitti crollati, corrosi dagli insulti successivi che una storia malvagia l'ha colpita come una maledizione antica, che Bilkis deve avere lanciato a suo tempo.



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