martedì 30 novembre 2021

Luoghi del cuore 117: I tagliatori del Nagaland

Alla corte dell'Angh (al centro) di Hong Phoi

Ma è lecito aspettarsi ancora di vedere un re, nel pieno dei suoi poteri, che li eserciti per il bene della sua comunità di sudditi fedeli? Se lo vuoi devi girare, muoverti, guardarti intorno. E allora andiamo, venite con me ancora di villaggio in villaggio attraverso colline arrabbiate che conquisti con il faticoso borbottare del motore che ansima ad ogni curva. Tang Nyu è più nascosto tra il verde, con capanne basse e deserte, gli adulti nella foresta ed i bambini che corrono incontro alla novità della giornata. Poi il cammino ti riporta a Mon, questo agglomerato incongruo allo spirito di queste terre, fatte e predisposte ad una vita di lotta alternata tra uomo e foresta. Qui la crescita inarrestabile della specie ha costituito un formicaio di baracche che hanno azzannato il monte corrodendone i fianchi e le vallette circostanti, popolandole completamente di strade contorte, di case, di muri e di folla bramosa di vivere. Una esigenza di vita simile a quella che ormai si conosce, giacché le telenovele di Bolliwood portano anche negli angoli più nascosti e reconditi, vestiti leggeri che svolazzano e auto lussuose, case con bagni immacolati e banchetti di gente felice che balla e viaggia per il mondo, in paesi così lontani da non poter neppure essere immaginati e allora tutto questo si deve applicare anche a luride stamberghe di assi sbrecciate, ricolme di merci povere che scimmiottano quell'abbondanza sognata, un mercato che vive dello scambio di quei prodotti che comunque riescono ad essere a disposizione. 

Donne al lavoro
Gli angoli liberi si riempiono di motorette che sparacchiano fumi puzzolenti schizzando liquame di colature che escono da casupole cresciute senza merito. Le immondizie del mondo moderno non sono come quelle dei nonni. Anche i residui delle teste tagliate scomparivano velocemente al sole del tropico e l'acqua del monsone lavava facilmente sangue e bucce di banana che tornando alla terra si consumavano. Oggi lattine, sacchetti, cartoni e ogni altra invenzione che ha mosso il mondo, si accumulano negli angoli a a poco a poco invadono con la loro presenza molesta tutti gli spazi, poiché non si era in grado di prevederne la vita e la necessità, di come queste cose utilissime ed indispensabili, necessitino di un progetto che vada oltre il semplice uso, di una visione completa che conduca dalla nascita fino al loro smaltimento. Così Mon, mostro assetato ed alla perenne ricerca di materiale che lo alimenti, di energia che lo mantenga in vita e che arriva comunque a singhiozzo, quasi a mantenere una sorta di stato agonizzante e precario, continua a crescere come una ciste molle in un corpo un tempo sano anche se anoressico. Giovani inurbati dalle zazzere moderne, popolano gli angoli delle strade e gli anfratti del mercato. Hanno sguardi che la conoscenza dei fatti rende avidi ed al contempo spenti per la frustrazione, mentre attorno a loro le scorie di un mondo estraneo si ammucchiano. 

Anziani konyak
Anziani konyak
Frotte di ragazzini nella divisa delle diverse scuole, forse concorrenti tra di loro, stanno tornando a casa dopo la fine delle lezioni, lanciandosi i lazzi tipici dell'età. Tra i diversi collegi ci deve essere rivalità, quasi senti aleggiare lo spirito bellicoso dei nonni. Eppure queste ordinate gonnelline plissettate tutte uguali, le camicette bianche, i pantaloncini e le cravatte incongrue al luogo con lo stemma della scuola, raccontano di un marchio inglese ormai indelebilmente impresso in tutta l'India che unifica questa terra dai mille popoli anche al di là della loro stessa volontà e di certo molto più profondamente di quanto loro stessi credano. Mon non è una città piacevole da vivere, ma ci leggi la volontà inarrestabile di sopravvivere. Però c'è un altro paese perso nel bosco a una quindicina di chilometri verso nord, nel fitto della jungla, Hong Phoi, che bisogna vedere assolutamente. Poche case raggruppate attorno a tre morong, antichi, dalle travi scolpite con figure inquietanti, che raccontano di sacrifici di animali e di battaglie tra uomini. Qui forse c'è la più alta concentrazione di anziani, che rappresentano un passato che sta per scomparire definitivamente. Se ne stanno radunati nel morong principale, quello in cui quando erano ragazzi avrà visto i loro raduni prima delle incursioni ai villaggi nemici e le feste barbare al ritorno di quelli che, ancora vivi potevano esibire il loro macabro bottino a testimoniare il loro valore. Teste tagliate da appendere sulle picche sull'altare della piazza del villaggio, prima di farsi tatuare dalla regina la prova imperitura del loro valore sui volti e renderli ancora più truci, più spaventosi.

Lavori artigianali
Adesso pare il salone di un nostro circolo della boccia, con una decina di vecchi attorno al fuoco al centro che parlano del passato; forse l'unica differenza è che qui non possono lamentarsi delle pensioni che non hanno. L'angh del villaggio, il re, se ne sta al centro, muto, come chiuso nei suoi pensieri, col cappellino di pelliccia coronato da zanne di cinghiale, le pesanti collane coi teschi di ottone stilizzati e attorno ai polpacci i bracciali di turchesi, segno del comando. Gli altri che lo circondano, di certo vecchi compagni di battaglia, sono decisamente più loquaci e accolgono gli ospiti con evidente piacere, forse già pensando al dono di prammatica che i visitatori devono portare al re per omaggiarne l'importanza. Tutti stanno intrecciando cesti, con gesti attenti che seguono consuetudini antiche. Tutto appare quasi una di quelle sale di casa di riposo dove i vecchi devono fare attività diverse che li tengano occupati socializzando tra di loro e finendo inevitabilmente per litigare. Qui probabilmente no, anche grazie alla presenza dei lunghi ed affilati coltellacci che ognuno brandisce per svolgere il suo compito. I più gioviali ci vogliono comunque offrire un thé, che sta ribollendo sul fuoco ed altri generi di ristoro. Qualcuno esibisce pesanti bracciali di avorio, altri hanno le orecchie trapassate da nere corna di ungulati stanati e uccisi un tempo nel fitto della foresta. 

Il re (angh) di Hong Phoi
Uno, forse il più vecchio ha i lobi sformati da due grossi oggetti di plastica rotondi, un'aggressione del nuovo che avanza piegandosi all'antico. Le domande vengono spontanee. Cosa ne pensa questa gente del mondo nuovo che avanza, di tutto quello hanno visto stravolto come mai avrebbero potuto credere, unica generazione ad aver avuto questo privilegio o questa maledizione. I volti completamente tatuati di nero, si fanno immobili e pensosi, sculture di ebano scavate da sgorbie decise che ne hanno segnato incavature profonde, disegni barocchi nella carne viva. L'angh pensa a lungo prima di parlare, forse passano nei suoi pensieri, ricordi lontani, battaglie sanguinose, vendette di generazioni, canti di vittoria attorno al falò dei sacrifici, quando le notti erano illuminate dai fuochi delle torce e le ragazze ballavano tenendosi per mano lanciando occhiate ai guerrieri appena tornati ancora carichi di adrenalina e di violenza ancora inappagata che forse avrebbe trovato pace nell'abbraccio notturno. Poi sembra scrollare un po' la testa quasi per allontanare ricordi che possono generare solo rimpianti. "No, adesso in fondo si sta meglio di un tempo". La voce vuole mostrare la saggezza che lo ha portato a diventare re, ma nel fondo degli occhi scuri, circondati dai segni neri che il tempo a poco a poco ha sbiadito, leggi una scintilla, un moto di orgoglio non sopito di chi ha vissuto una storia diversa. Il sole, rosso antico, intanto, scende tra gli alberi in attesa della prossima notte.
 

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