domenica 7 marzo 2021

Luoghi del cuore 107: Alba a N'Goro N'Goro

Ngoro Ngoro crater - Tanzania - febbraio 2013

Non era un alba come le altre. Era un chiarore, poco a poco diffuso nel cielo, consapevole di illuminare una condizione di unicità assoluta. La luce aveva illuminato la cresta occidentale dei monti dapprima, poi era scesa con lentezza fino ad allargarsi nella conca vastissima e ad accendere i colori, il verde pallido dell'erba bassa, quello più scuro dei  boschi, la serpentina azzurra che conduceva allo specchio blu centrale. Come piccole formiche quasi immobili, mandrie di animali si spostavano dove gli alberi erano più fitti. Da quella terrazza naturale potevi abbracciare con lo sguardo tutto il cratere, un mondo a parte, uno spezzone di pianeta appartenente ad ere trapassate, quando l'uomo non era ancora arrivato. Eppure, poco lontano da qui, qualche milione di anni fa i primi ominidi si erano levati in piedi cominciando una lunga marcia che li avrebbe portati lontano. Qui invece tutto pareva essere rimasto immobile nel tempo, un Eden non ancora sporcato dal peccato originale della voglia di andare avanti, di dominare, di progredire. La discesa lungo le balze della montagna dura una mezzoretta, su di uno sterrato reso sconnesso dalle piogge che dilavano le balze ripide di terra rossa, poi sei sul fondo su di un terreno ondulato che segue l'andamento di sedimenti di milioni di anni. All'interno del cratere, che avrà visto nel suo lontano passato, alla sua nascita, l'inferno della furia della terra che non riusciva più a contenere le proprie pulsioni esplodendo con una furia incontenibile, è subentrata una calma immobile e serena, uno stato di perfezione assoluta, di bellezza intangibile. 

Ne percorri sentieri e stradine, col timore di sporcare anche soltanto l'idea con la tua ingombrante presenza, di disturbarne l'equilibrio perfetto con una introduzione improvvida e aliena, la tua curiosità malevola che vuole appropriarsi anche solo guardandolo, di uno status che appartiene ad un altro mondo, iperuranico. Poi, quando sei tra gli animali che brucano, camminano, cercano di raggiungere l'acqua, attenti ad ogni eventuale pericolo, ai predatori a loro volta in cerca di cibo per mantenere questo complicato equilibrio nelle forme a cui si è adattato, sei preso da una frenesia bulimica di vedere sempre di più di girarti intorno come un insaziabile guardone alla ricerca di emozioni sempre più forti. C'è tanto da osservare quaggiù e di certo la sensazione che prevale è che non te ne vorresti più andare via, ma continuare ad aggirarti da un punto all'altro alla ricerca di situazioni, di animali in caccia, di mandrie che si spostano lente, di stormi di ali bianche che cercano di alzarsi dalla superficie liquida. Pochi i suoni, qualche grugnito sordo, lo scalpiccio degli zoccoli, lo sbattere di ali frementi, un richiamo lontano di qualche madre in ansia per i suoi cuccioli. un tonfo sordo tra due maschi che frangono le loro corna per far prevalere il diritto del più forte. Poi quando il sole comincia a scendere risali l'erta e raggiungi di nuovo una balconata per goderti gli ultimi raggi del sole che scompare dietro il margine di roccia e rimangono solo i rumori della notte che già immagini più popolata del giorno, movimenti, passi, frusciar di peli e mantelli, soffi e digrignar di denti. E così rimani ad ascoltare mentre il buio si fa più fitto, cercando di indovinare, di assorbire fino all'ultimo tentando inutilmente, ma almeno per un attimo di fare parte di questo mondo. Raramente ho visto tanta bellezza.


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