Vedere gli animali nel loro ambiente è sempre emozione straordinaria e quando capitano casualità difficili da incontrare te li porti con te per sempre, come quando hai l'opportunità di vedere l'opera di un grande artista. Quel giorno c'erano come pennellate di arancio tra i rami bassi. Frusciar leggero di fronde. La jungla scricchiola all'alba forse un rametto spezzato dal passar di una scimmia in cerca di germogli freschi, forse un giovane chital che ancora non ha imparato che il silenzio, nella jungla, ti può salvare la vita. A Bandhavgarh il bosco sale su colline un poco più impervie; le piste faticano a risalirle contorcendosi dietro grandi massi erratici, lasciando in basso gli stagni verdi, penetrando il muro di tronchi in gallerie che nascondono il giorno. Questo parco è ancor più bello di Khana, più mosso e all'apparenza selvatico, sebbene un po' più piccolo. Sono censite un po' meno tigri, ma in proporzione la loro densità sul territorio è maggiore, quindi aumentano le probabilità di un loro avvistamento. Scivoliamo adagio lungo un percorso scelto a caso o forse no; il nostro ranger si guarda intorno più attento ai rumori, agli odori forse, piuttosto che a quello che vede. Anche i sambar stanno più nascosti dietro gli alberi, o forse è soltanto il fatto che qui la foresta è più densa e le radure più piccole e rare. I chital tengono la testa alta al nostro passaggio per assicurarsi forse che non ci fermiamo ad arrecar disturbo, ma non si muovono, anche se passi loro così vicino da vederne con chiarezza le lunghe ciglia che adornano il loro sguardo umido. Il velluto delle giovani corna chiamerebbe ad una carezza, tanto appare tenero e morbido.
A terra, dietro il grande tronco di un neem, giace un enorme trofeo con almeno tre palchi di ramificazioni, forse corna cadute da poco e non ancora raccolte. La bellezza del bosco è così ammaliante da non farti misurare l'ansia che di solito si ha in queste uscite in cui la bramosia di vedere l'animale clou, non ti lascia il tempo di assaporare lo sgranarsi del tempo. Si comprende come possa essere nata da queste parti la voglia di appartarsi sotto qualche banian gigante a meditare sul senso delle reincarnazioni e sulla pervasività del trascendente nelle forze della natura, quella voglia di umanizzare un mondo che ti circonda troppo grande per consentirti di misurarti con lui. E' una dimensione diversa che comprensibilmente ha dato via a filosofie olistiche che hanno tentato in ogni tempo di spiegare quello che non può e probabilmente non deve essere spiegato, ma solo vissuto e dal quale, al più, bisogna lasciarsi permeare senza particolari spiegazioni logiche. Mentre sto elucubrando le mie considerazioni da filosofo de noantri, la macchina si ferma dietro una curva. Già avevamo notato grandi orme nel terreno soffice al fianco della stradina. La foresta è silenziosissima, solo qualche rumore di rami spezzati sulla destra. In un rettangolo di cielo un'aquila crestata prende il volo da un ramo basso e fila via verso l'orizzonte. Poi silenzio assoluto. D'improvviso, proprio dietro a noi i cespugli bassi si aprono ed una grande tigre esce fuori di colpo, si guarda intorno per un attimo, poi con un balzo attraversa la strada e sparisce di nuovo nel fitto. E' una femmina maestosa, regale, con la coda supera sicuramente i tre metri. Appena il tempo di vederla ed è già sparita. Sorpresa, delusione, non c'è tempo per decidere. La macchina corre veloce in marcia indietro e prende un viottolo laterale, arrivando ad una piccola radura dove si ferma in attesa.
Intanto arrivano altre macchine, che non puoi illuderti di essere il solo nel bosco, c'è nell'aria una specie di passaparola automatico. Poi ancora rumore di sfascio che arriva dal fitto degli alberi. Intravedi la sagoma enorme di una poi due, no tre elefanti con uomini in groppa che arrivano di gran carriera alla nostra volta. Infine, questa volta, completamente allo scoperto ecco la tigre di prima che esce fuori con calma nella radura guardandosi intorno come per decidere cosa fare. Ma la meraviglia è che stretto tra le fauci ha il corpo ormai senza vita di un piccolo chital di cui intravedi ancora bene il manto pomellato di piccole macchie bianche. Lo ha appena catturato oppure lo aveva nascosto tra le frasche in attesa di riprenderlo. Lo tiene ben saldo per il collo, mentre la testa rovesciata all'indietro non consente neppure la vista delle piccole corna. Poi, decisa la strada, assolutamente incurante delle auto che si sono radunate intorno, incede lentissima attraversando tutto lo spazio aperto, in decisa direzione del torrente che scorre davanti a noi. Trascina con sé la preda, le cui zampine strisciano la polvere lasciando solo due tracce leggere, Appena superata la polvere della pista, senti soltanto un leggerissimo frusciare di foglie secche che si sbriciolano. L'animale incede con una maestosità incurante e rimane a lungo alla vista fino a che non si ritira nel folto dietro i massi del torrente, scomparendo definitivamente. Uno spettacolo che ha davvero pagato l'attesa. I turisti in elefante la seguono e poi scompaiono anch'essi alla vista. Un'emozione così, paga il viaggio, almeno a me. Proseguiamo appagati. Quasi non mi viene più neppur la voglia di puntare l'obiettivo per inquadrare un monumentale gaur, un bovide selvatico dalla groppa mostruosa, che popola tutti i boschi del subcontinente. Lo lasciamo pascolare tranquillo assieme ad un cinghiale che grufola contento vicino ad un mucchio di foglie secche.
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