Cigno dal collo nero di Chiloè - Patagonia - Cile - novembre 2024 |
Chiloè significa l'isola dei gabbiani, come è giusto che sia in un posto marino di fronte all'Oceano. Però per la verità, in questa parte della costa, lungo il canale che ci separa dal continente, non ce ne sono moltissimi, forse staranno in prevalenza nella parte est, affacciata sulla sconfinata distesa di acque che poi pacifica non lo è quasi mai, ventosa preda delle fredde correnti che salgono dall'Antardide e per questo assai pescosa, almeno un tempo. Dunque proprio il mare è la chiave di vita e di sopravvivenza di queste terre, un tempo così lontane dalle vie commerciali da essere solamente punto di appoggio per le baleniere, poi via via più interessanti proprio per la pesca, oggi principalmente per l'allevamento ittico, discutibile fin che si vuole, ma importantissima fonte di sviluppo che consente a questa parte di paese di essere abitata. Va da sé che qui tutto ruota attorno a questo settore e anche le abitudini alimentari seguono l'onda, è proprio il caso di dirlo. Scendiamo quindi nella zona sul mare della cittadina di Castro e Hector ci porta in un locale di un amico, che ovviamente ci raccomanda assolutamente. E' un ristorantino ricavato da una casetta colorata di blu, su un'alta palafitta. Siamo in bassa marea e sulla terrazza del locale, vetrata ovviamente per non morire di freddo, sembra di essere sui trampoli, appollaiati come uccelli marini sempre timorosi di cascare giù sulla spiaggetta nera e coperta di alghe, forse lasciate dalla Pincoya nel suo ultimo e macabro ballo dell'alba.
L'interno è pieno di richiami all'attività della pesca e il gestore ha davvero l'aria di un pescatore che ha cambiato mestiere, in cucina le donne della famiglia, moglie, nonne chissà. Qui è d'obbligo provare il piatto principe dell'isola, il famoso Curanto, che più che un piatto è un distintivo culturale che risale alla tradizione indigena, mentre l'asado o il cordero patagonigo sono di cultura meticcia. In origine era una sorta di cerimonia delle feste, certo non un cibo di tutti i giorni, dato che la preparazione era piuttosto lunga e partecipativa per l'intera tribù e se vogliamo si tratta più di un metodo di cottura che di un alimento specifico. Dunque tradizione vuole che si preparasse una buca nel terreno profonda una cinquantina di centimetri e larga un metro. Questo sistema, al di là degli ingredienti usati, è un metodo utilizzato in molte culture di tutto il mondo naturalmente, dal montone del mondo arabo, al maiale del sudest asiatico, ai vari cibi interrati del mondo delle isole del Pacifico. Sul fondo della buca vengono disposte un pavimento di pietre basaltiche piatte, sulle quali viene acceso un gran fuoco; quando la legna si è trasformata in brace e le pietre si sono arroventate, si dispone uno spesso strato di ogni genere di molluschi in conchiglia, cozze, vongole e altro, sopra, uno strato di carne di pollo, poi pezzi di maiale.
El Curanto |
Le cozze intanto cominciano a rilasciare acqua e dalla buca si leva così un gran fumo, in cui sono avvolte le donne che stanno montando tutto l'ambaradàn, mentre si dispone uno strato corposo di patate intere, poi ancora maiale e salcicce, poi tortillas e patate schiacciate, una sorta di purea, infine verdure varie mentre il tutto viene ricoperte con gran di foglie di piante locali. La buca da cui ormai non si leva più fumo, viene sigillata con sacchi o terra. Si apre dopo una o due orette e ogni cosa viene estratta man mano e mangiata in comunità. Si tratta in effetto di un gran bollito dai sapori mescolati in cui il condimento è dato soprattutto dai grassi del maiale che colano su tutto il resto, insaporendo il cibo, cui contribuirà anche qualche erba aromatica di cui ogni ricetta ha un suo segreto esclusivo, dettata anche dalla disponibilità locale. Naturalmente è' molto probabile che oggi le cose vadano diversamente e che la buca sia sostituita da un pentolone prosaico e tristanzuolo, ma che ci vogliamo fare, noi non vogliamo andare ad indagare, visto che l'illusione fa parte delle emozioni del viaggio e quando arriva il vassoio in tavola, non possiamo invece che levare espressioni di meraviglia, vista la quantità e la presentazione. Soprattutto il coquillage ha un aspetto mostruoso: Cozze con una valva che da sola riempie il piatto e vongoloni grossi come una mano che nascondono un mollusco di dimensioni mai viste, un vero e proprio blocco di carne, che poi nella realtà si rivela piuttosto coriaceo e gommoso, ma dal sapore magnifico.
S. Francesco |
Decisamente è una esperienza da fare e Octavio, così mi sembra si chiami il nostro anfitrione, se ne sta appollaiato in fondo alla sala per godersi la nostra meraviglia e anche le vecchie ogni tanto fanno capolino dalla cucina, curiose di spiare le nostre reazioni, visto che tra l'altro siamo i soli ospiti della giornata. Tra l'altro con un piccolo antipasto e le bevande ce la caviamo con 52.000 pesos in quattro. Quando è ora di mettere mano al portafoglio, il Pos naturalmente non funziona e noi di pesos non ne abbiamo, quindi ce ne andiamo senza pagare, con la promessa di ritornare appena riusciamo a cambiare qualcosa. Octavio rimane sulla porta con uno sguardo forse dubbioso e non saprei come interpretarlo meglio. Ce ne risaliamo in paese dove per prima cosa visitiamo la bella chiesa in legno di San Francesco sulla piazza des Armas, nel centro, visto che è ancora aperta. La chiesa è molto grande e la struttura lignea all'interno presenta bellissime soluzioni costruttive, forse la più bella che abbiamo visto sull'isola, a partire dalla complessa volta a crociera della grande navata centrale sostenuta da robuste colonne in legno, ognuna delle quali provenienti evidentemente da alberi di notevoli dimensioni. Una serie di belle statue lignee, colorate anch'esse, quasi vestite a festa, sfilano lungo le navate laterali illuminate da un rosone curiosamente posto nell'abside.
Vendita di mariscos |
Usciamo infine mentre il cielo si rischiara un po' e troviamo la banca nazionale subito all'angolo, che ci consente di cambiare un centone, tanto per la sopravvivenza e per pagare i debito contratti. Così possiamo ritornare finalmente al ristorante che forse già ci dava per dispersi e pagare il conto. Lasciamo quindi la baia dove grandi cigni dal collo nero solcano maestosi le acque e facciamo la decina di chilometri che ci separano da Dalcahue. Certo se ci fosse il tempo sarebbe bello prendere il piccolo traghetto che porta fino alla vicina isola di Quilchao, per vedere la chiesa più antica di tutta Chiloè, nel paesino di Achao, costruita come già detto alla fine del 1700, come Santa Maria di Loreto, esempio conclamato appartenente alla scuola Chilota di architettura religiosa in legno, che presenta, come ho potuto vedere dalle foto, una severa facciata grigia ricoperta di scandole in legno occupata interamente da un grande timpano triangolare sostenuto da un portico pentastilo cui fa da corona un proporzionato campanile esagonale. Questo sarebbe un po' l'archetipo di tutte le altre chiese lignee di Chiloè che sono circa una settantina. Noi diamo invece un'occhiata al bel paesino di Dalcahue, un borgo di circa 10.000 abitanti incuneato in una baia della costa di fronte ad un arcipelago di piccole isole. La baia è quasi asciutta dato che evidentemente siamo nel momento di bassa marea che lascia scoperto larghi tratti di fondo marino scuro e coperto di detriti di vario genere.
Nostra Signora de los dolores |
Arriviamo in centro per vedere la sua bella chiesa di Nostra Signora de los dolores, situata nella piazza principale occupata da un bel giardino. Qui la facciata è ancora più complessa e variata con una elegante serie di archi a tutto sesto e a sesto acuto alternati. Le vie del centro, una sfilata di casette colorate, sono piene di negozi con gadget per i turisti, semideserti e altri che vendono ogni sorta di mariscos, conchiglie e conchiglioni inclusi quelli marroni e allungati che mi sembrano datteri di mare, a prezzi davvero modici e che sono invece affollati di compratori. Intanto il cielo comincia a scurirsi e riprendiamo la strada per tornare a Chacao che raggiungiamo in una oretta di guida. Lungo tutto il percorso bancarelle che offrono fragole e ciliegie, evidentemente siamo nel pieno della stagione. Lontani i boschi rimasti, fitti ed oscuri nei quali non ci siamo addentrati per evitare di incontrare la orrida Fiura la strega malefica dell'isola, in cerca di uomini da sedurre, dall'alito mefitico e che pare provochi pure la sciatica! Poi il traghetto ed infine un'altra oretta per ritornare a Puerto Varas. A questo punto ci facciamo lasciare nella piazza principale dal buon Hector, preoccupato solo che la giornata ci abbia soddisfatto e andiamo a mangiare una sontuosa paella al nero di seppia, in un ristorante spagnolo di cui non ricordo più neanche il nome, vicino a quello di ieri sera. Devo dire che non era malvagia assolutamente. Ce la caviamo con 75.000 in quattro, cosa che ci ha alleviato la scarpinata in salita per raggiungere le nostre Cabanas. Domani si parte.
Cozza gigante |
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