La Cordillera andina - Patagonia - novembre 2'24 |
Cerchiamo di posizionarci in una zona più panoramica, anche se i posti migliori sono già opzionati, ma alla fine ci si muoverà parecchio e quindi la disposizione non è poi così essenziale. Certamente il lago, e qui stiamo percorrendo il Nahel Huapi, che si incunea tra le montagne presenta panorami entusiasmanti, che noi abbiamo visto in parte guidando lungo le strade costiere, ma la navigazione ti consente un altro interessante punto di vista. In effetti guardate dall'acqua, le coste ricoperte di foreste sempreverdi, senza praticamente case in vista, danno una sensazione di selvatica solitudine più ammaliatrice, un po' come i boschi delle favole e delle saghe nordiche e non si fa fatica ad immaginarle piene di esseri misteriosi, fate, elfi e e spiritelli vari. Ma il cielo leggermente coperto e bigio, che nasconde in parte le cime, contribuisce a quella atmosfera plumbea che relega i laghi in generale nell'ambito della meditazione triste. Infatti come mi avessero sentito, il battello gira barra a sinistra ed entra in quello che è stato giustamente battezzato Brazo Tristeza, chissà perché, particolarmente scuro e misterioso, che si insinua per una decina di chilometri verso l'area del Cerro Tronador. La nave procede lenta e si può girolare per i vari ponti per continuare ad ammirare la costa che sfila di fronte a te da diversi punti di vista. La vegetazione è come un muro di verde oscuro, appare come assolutamente impenetrabile, eppure indovini sentieri nascosti che partono dalle varie spiaggette e che si insinuano per le balze del bosco.
Di certo questo è un paradiso per trekkers solitari, che difatti accorrono da queste parti anche per questa attività sportiva. Dopo un'oretta sbarchiamo alla fine del braccio a Puerto Blest, dove nascosta tra gli alberi una struttura accoglie chi vuole ristorarsi, lasciando agli altri il tempo per fare un giretto nei dintorni per esplorare le calette nascoste. Basta fare pochi metri e poi si sparisce tra gli alberi, alla ricerca di un mondo perduto di elfi e di troll che potrebbero spuntare da un momento tra gli alberi. In effetti la zona è molto bella e qualcuno termina qui il suo giro e zaino in spalla procede verso il parco alle nostre spalle, prendendo il sentiero che risale il torrentello che gorgoglia prima di finire nel lago. Qui piove comunque parecchio ed infatti i prati sono verde smeraldo e gli anatroccoli dai colori smaglianti che sguazzano lungo le rive, arricchiscono l'ambiente starnazzando, seguiti da file di piccoli gialli nati da poco che sgambettano timorosi di perdere la mamma. Verso l'una saliamo allo spiazzo superiore dove aspetta un pullman che percorre una stradina nella foresta fino a raggiungere un altro laghetto, il Frias che si attraversa con un ulteriore battello in una quindicina di minuti, giusto il tempo per ammirare un bellissimo Caracara, il rapace iconico sudamericano con il becco giallo vivo e il capo appiattito che lo fa sinistramente assomigliare a Trump.
Si è posato sulla balaustra del pontile e si guarda intorno immobile con il corpo ma ruotando il capo all'intorno con uno sguardo minaccioso e severo che sembra dire, occhio che adesso vi metto i dazi! Questo lago ormai prossimo alla frontiera è ancora più solitario, con pareti a picco che si levano lungo la costa per centinaia di metri. In alto dove gli alberi non riescono più ad attecchire, se non per piccoli tronchi ritorti ed abbarbicati alla roccia nuda, nidificano i condor che planano altissimi nel cielo che si sta mutando finalmente in azzurro. Sull'altra sponda compare d'improvviso una baracca malandata, è il posto di frontiera argentino, con la bandiera albiceleste spiegata sull'alto pennone. Sotto un porticato una curiosità, la Poderosa II, una replica, rifatta di tutto punto, della famosa Motocicletta Norton 500 del 1949, con la quale Ernesto Che Guevara, con Alberto Granado, effettuò nel 1952 il mitico viaggio attraverso tutti i paesi dell'Almerica latina, che contribuì in modo essenziale alla formazione del pensiero politico, riportato nei famosi Diari della motocicletta, da quello che divenne successivamente l'icona politica e rivoluzionaria degli anni '60. La motocicletta, un mezzo simbolico che si pone alla base della retorica del Viaggio, inteso come via di crescita e di formazione e che rimarrà fonte completa di ispirazione del suo scritto, trasformando la sua visione della società e della presa di coscienza politica, come una specie di Bibbia rivoluzionaria che contribuì ad infiammare gli aneliti di molta gioventù non solamente del Sudamerica del tempo, ma di tutto il mondo.
In questo crogiolo di nuove idee si è rimescolato un po' tutto, dal concetto di panamericanismo, alla lotta di classe, fino ai concetti di una società nuova, condita dall'odio verso gli Stati Uniti, tanto per buon peso. Questo comunque fu il punto di traversata delle Ande e la moto con i bagagli al seguito legati dietro il sellino, costituisce il monumento a quello che da queste parti viene ancora considerato un eroe nazionale, non so veramente adesso col nuovo governo come la si mette, ma la moto è lì a disposizione di tutti quelli che vanno religiosamente a farsi il selfie di rito. In effetti questo piccolo porticato è l'attrazione di questa minuscola spiaggetta sperduta tra le Ande, con il bosco alle spalle e la stradina sterrata, poco più di un sentiero da cui comincia una discesa vorticosa e appassionata verso il Cile. Il pulmino si muove veloce verso il basso, sembra non aver timore di incrociare altri mezzi in salita, evidentemente sa di avere pochissime probabilità di incontrarne qualcuno e man mano che perde quota, la foresta cambia aspetto, ai sempreverdi si sostituiscono le grandi latifoglie dall'aspetto più rigoglioso e tropicale, l'ambiente tutto pare prendere vita e popolarsi di più quasi fosse terminato l'areale delle solitudini, sostituito infine da una foresta gioiosa di rumori e di vita. Poi in realtà non è che si veda o si senta molto, salvo chiocci stridi di uccelli ben nascosti tra i rami.
Stiamo percorrendo i sentieri della traversata all'interno del Parco Vicente Peres Rosales, si dice una delle più belle delle molte che consentono di passare da uno di questi paesi, per tradizione amici-nemici, all'altro. Da qui, recitano i cartelli, sono passati anche un paio di presidenti americani, tanto per dire, insomma una delle tante strade iconiche anche questa, che si dipanano da nord a sud di questa Patagonia, terra unica che ambì essa stessa a diventare nazione autonoma senza riuscirci e ora è sezionata artificiosamente dalle creste di queste montagne la cui catena segna per migliaia di chilometri una frontiera in fondo incongrua come tutte. Siamo proprio sotto il Cerro Tronador che giganteggia ormai alle nostre spalle visto che ci troviamo ormai sul versante cileno. Oltre 3500 metri di montagna che deve il nome ai sinistri scricchiolii che i ghiacciai provocano durante la loro discesa lungo i fianchi ripidi, con masse di ghiaccio in continuo movimento che si crepano e si frangono nei canaloni rocciosi tra baratri e crepacci profondi. Una piramide molto irregolare, battuta dai venti che arrivano violenti dal Pacifico che vi portano stuoli di nuvole dense, in attesa di scaricare sui sui fianchi nevi spesse e più in basso valanghe di acqua che contribuiranno a rendere la foresta sempre più rigogliosa, irrorando copiosamente il giardino dell'Eden e raccogliendo quello che la terra non ha assorbito in rivoli e torrentelli sempre più grossi che si rafforzano come per fare arrivare a valle le loro schiere rumorose.
Ancora qualche chilometro e si arriva al punto di frontiera cileno, anche questo nascosto nella foresta. Scendiamo e ci mettiamo in fila dopo che ci hanno scaricato le valige per il controllo. Una operazione lenta ma obbligatoria in tutti i passaggi delle frontiere, queste odiose linee tracciate a tavolino, sbarre artificiose poste dagli uomini per fermare merci "pericolose", per prelevare denaro, per arrestare uomini ed idee, maledette ed odiate da migranti, mercanti, turisti. Una invenzione dei poteri costituiti per mantenere potere e imperio a danno delle genti, con le scuse più varie, dalla difesa esasperata della propria terra all'odio verso i supposti nemici che vengono a portarti via le proprietà e naturalmente le donne e figuriamoci. Così da quando la civiltà si è formata i poteri hanno sempre cercato di sbarrare i territori, naturalmente senza riuscirci mai, perché è inutile cercare di arrestare l'acqua che scende con le mani, una fatica di Sisifo, sciocca e controproducente che non ha mai bloccato, né invasori, né malandrini. Il tizio del bus ci ha fatto il lavaggio del cervello per le esasperanti ispezioni doganali che verranno fatte dai Cileni alla caccia di frutta, verdura ed alimentari vari, proibitissimi oltre naturalmente a tutti i classici dei passaggi frontalieri, droghe alcool e quanto più si può. Invece a malapena gli svogliati funzionari danno un'occhiata ai mucchi di masserizie che sono state poste davanti a loro, chiedono se per caso abbiamo qualche cosa da dichiarare e poi fanno un cenno della mano. Passa passa che è tardi e il mate si fredda.
Infine un bel timbro dallo sportello del bugigattolo che funge da ufficio, quello del 118esimo paese, ehehehe, e via sul bus a riprendere la discesa vertiginosa. D'improvviso dopo poco una radura si allarga e tra le piante senti improvviso il rovinare in basso di una cascata, che piomba dalle rocce per precipitarsi in una pozza circondata da massi di ogni dimensione. E' il salto Las Mellizas che si propone imponente quasi in vicinanza della strada, come a volerti dire: è inutile che ti prepari per lunghi e avventurosi trekking nella boscaglia, le sue meraviglie son proprio qui a pochi passi, da godersi senza fatica, basta scendere dal pulmino e ce le hai lì subito davanti agli occhi. Questa strada è una sorpresa continua e fascinosa e a poco a poco la pendenza si acquieta e la valle si allarga; le acque di questo versante idrografico, a poco a poco si raccolgono in torrenti più corposi fino a trasformarsi in vero e proprio fiumiciattolo, il Rio Peulla che formando un largo greto ciottoloso scende lentamente in larghi meandri verso la costa fino a sboccare nel grande lago de Todos lo Santos, detto anche Esmeralda a causa dello spettacolare colore delle sue acque, provocato dai sedimenti trasportati dalla montagna e dalle alghe che lo popolano. Sotto il sole pomeridiano che finalmente si è fatto strada tra le nubi, la superficie dello specchio che va via allargando le sue sponde, esibisce questo verde vivo e quasi trasparente come gli occhi di una bellissima donna che nulla vuole se non farsi ammirare il più a lungo possibile. Che percorso straordinario ed indimenticabile!
SURVIVAL KIT
Nessun commento:
Posta un commento