giovedì 3 ottobre 2024

Come nascono i viaggi.

Patagonia


Il viaggio nasce per caso. Difficilmente comincia con programmi ben definiti, diciamo così razionali. Al contrario spesso si tratta solamente di una scintilla, magari scaturita in un tempo lontano, magari un tizzone rimasto a lungo, molto a lungo sotto la cenere a covare desideri inconsapevoli, sentori esotici, curiosità nemmeno valutate fino in fondo. Un tempo, quando ero piccolo, non riempivo gli album di figurine dei calciatori, per i miei non erano sufficientemente "istruttivi", questa era la parola che usava continuamente mia mamma e tutti i soldi che loro investivano su di me, fossero pure le 10 lire che costava la bustina dal giornalaio, dovevano essere legate a quel miglioramento culturale che ritenevano necessario per quel famoso ascensore sociale che oggi dicono si sia rotto. Per la verità non interessavano neppure a me, invece appassionato di quelli storici, mi ricordo Garibaldi, l'unico che sono riuscito a completare, oppure quelli di natura geografica e naturalistica. Mi ricordo bene ancora adesso, il fascino che mi attirava verso quello di Animali del mondo e Razze umane, che allora evidentemente si poteva dire senza tema di offendere qualcuno. Del primo, ricordo la gioia di quando trovai la figurina della Nasica del Borneo, animale buffo e fantastico, mentre del secondo due erano quelle che più mi intrigavano e continuavo a guardare con grande interesse. Una era quella del Circasso che veniva raffigurato con un costume stretto e nero lungo fino ai piedi con un grande colbacco di astrakan e quella di una donna di etnia Mursi, della valle dell'Omo in Etiopia, con un grande piattello di argilla colorata che le storpiava il labbro inferiore. 

Due terre così lontane di cui neppure riuscivo a trovare la collocazione precisa sulla piccola carta che compitavo sul vocabolario Novissimo Melzi, che mi avevano regalato a Natale, su indicazione della maestra Fracchia in seconda elementare. Pensate che al centro dell'Africa e su quasi tutta l'Antartide c'era uno spazio bianco, con la dicitura: Territori inesplorati, figuriamoci nel 1953! Poi col tempo imparai delle esplorazioni di Bottego e delle avventure di grandi guerrieri nel Caucaso settentrionale e in questo modo quei chiodini rimasero piantati nella mia testa, fino a quando non potei andare a vedere coi miei occhi come erano quei posti, immaginati, sognati, spesso ben diversi delle loro realtà effettive. Così, anni dopo per lavoro finii proprio a calcare i sentieri di quelle repubblichette, sotto le creste dell'Erebus e del Dombai, stupendomi, con una certa delusione, di non trovare nessun cavaliere con le bandoliere sulle vesti nere, anche se ancora qualche vecchio colbacco di pecora girava in testa a vecchi sovietizzati. Ne parlai addirittura, ad una grande cena a cui eravamo stati invitati da un cliente, proprio in quella Circassia che avevo sognato, facendo ridere tutti per le mie ingenue aspettative, mentre al contrario, rimasi morbosamente affascinato durante una notte trascorsa in un villaggio di Mursi, a mangiare ugali, un pastone di mais offerto dal capo tribù, mentre le sue donne, tutte rigorosamente esibenti i grandi piattelli che sformavano loro, le labbra ed i lobi delle orecchie, ci giravano intorno curiose. 

Non parliamo poi delle giornate trascorse a scivolare sui fiumi del Sarawak e di Saba, mentre branchi di nasiche starnazzavano sopra di noi, battendo i palmi sulle pance gonfie di foglie masticate, mentre il maschio sbuffava dal buffo nasone, per manifestare la propria predominanza su tutti e soprattutto su tutte le femmine che lo circondavano con i piccoli. Insomma questo per dirvi che basta poco per piantare un chiodo, lasciare una traccia indelebile che poi a distanza di anni si concretizza, per meglio definire un'idea, che diventa un itinerario e poi finalmente un viaggio. L'ho fatta lunga come mio solito, ma era per farvi capire che, quando mi capitò tra le mani, anni fa, il libro più famoso di Chatwin, In Patagonia, lo lessi con fervore, essendo un classico, ma mi rimase nella mente, più che la storia in sé, che poi nel racconto un po' disordinato dell'autore, vaga, attraverso vicende raccolte nel viaggio, mescolate ai fatti storici riferiti al territorio, un po' come piace fare a me che nei miei racconti tendo a divagare a più non posso mescolando emozioni a fatti raccolti durante la via, ma che soprattutto descrivono, come senza particolare attenzione, la quinta dello straordinario paesaggio che scorre attorno a lui durante la sua lenta discesa al sud, di paesetto in cittadina, da una estancia ad una capanna persa nelle pampas, come se non fosse altro che un fondale necessario al suo vagare necessario, in cerca, come si diceva una volta, di ritrovare se stesso. 

Bene proprio la descrizione di questo spazio vuoto, che in fondo non contiene null'altro se non la sua essenza, la sua non storia, popolata di esseri marginali o selvatici, oppure ancora inselvatichiti proprio dall'avere scelto o dall'essere stati costretti a trascorrere la loro vita in quel nulla, rappresenta il fascino indescrivibile di quella terra lontanissima, come si dice alla fine del mondo, che da allora è sempre rimasta nella mia testa, iconicamente. Certo il desiderio di vederla così come lui l'ha raccontata, a pelle, senza troppe intermediazioni culturali, ma sentendone il respiro e l'odore, è sempre stata lì a covare il suo uovo, un uovo che ci ha messo parecchio a schiudersi. Così quando recentemente ho ripreso in mano il libro, il desiderio, embrionale ed indefinito, si è fatto via via più concreto, con contorni più specifici, ha preso insomma una sua forma di possibilità, anche se non ancora di progetto realistico. Poi la cosa ha preso una piega più insistente, condizionata e motivata giustamente anche dal fatto che gli anni passano e che le cose diventano per questo più difficili da realizzare per motivazioni squisitamente legate alla forma fisica, per esempio, il tutto unito alla coscienza che se lasci passare ancora tempo potresti ritrovarti nell'impossibilità fisica e materiale di percorrere certi sentieri, mi ha spinto definitivamente a pensarci come ad un viaggio programmabile. Così è nata l'idea, riuscire a concretizzarla è tutto un altro paio di maniche. Ma ne parleremo nei prossimi giorni. 




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