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Al bar |
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Il parlamento |
Il volo fino a Dhaka è un breve balzo, meno di un'ora, sufficiente ad evitare la lunga strada attraverso Chittagong, oberata di un traffico infernale che probabilmente necessita di almeno un giorno intero di percorrenza. Così ti rimane ancora tutto il resto della giornata buona per immergerti a capo fitto nel cuore di questa città infernale e sovrappopolata, per tentare di aspirarne l'essenza o se vuoi l'anima, assieme al suo profumo e alla sua puzza. Poche ore per vedere quello che forse non riusciresti ad assimilare in giorni e giorni, perché quando calerà la notte, un altro aereo sarà già là ad aspettarti per andare in un altro luogo, in un'altra avventura. Ecchecavolo, altro che viaggiatore, questo è proprio tutto il contrario. Tutto è corsa angosciante per rispettare orari e scadenze, questo essere condizionati dall'ora precisa, questo dover farti bastare i minuti quando non sarebbero sufficienti i giorni e poi te ne andrai via anche da qua, lasciandoti alle spalle un sacco di altro e di altrove che non hai avuto la possibilità di inserire nel tuo già complicato programma, quell'altra settimana in più che avresti dovuto aggiungere, ma già quattro erano troppe, il rammarico per quello che perdi, sicuramente per sempre, almeno in questa vita. Altro che viaggiatore, quello che si ferma all'ombra di un grande albero al centro del villaggio a pensare, meditando sull'esperienza che sta vivendo. Turista, turista e niente di più, dannazione!
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Verdure |
Meglio che niente direte voi, ma sì mettiamola in questo modo, che almeno ti consoli correndo a perdifiato verso il centro città, passando prima per quelli che ti sembrano i larghi spazi della città nuova, gli immensi prati innaturalmente verdi, che circondano i palazzi del potere, i ministeri, il parlamento, costruiti con pretese di archistar venute da lontano, torri che volevano mostrarsi bianche, candide esternamente per simboleggiare una innocenza che nessuna politica può intrinsecamente avere e invece già sporche di quel grigio marezzato che l'umidità di un clima impietoso impone come castigo implacabile per chi queste pecche vorrebbe nascondere, rifacendosi verginità perdute ad ogni nuova elezione, un karma obbligato che ritorna implacabilmente. E poi, per strade che via via si restringono, trasformandosi nel labirinto di mercati affollati all'inverosimile, straboccanti di merci affastellate, bulimiche e sovraccariche dei cibi più vari, carni, pesci secchi, frutti e verdure così abbondanti che rendono incomprensibili povertà e fame, ma che poi necessitano di denaro per essere comprate. Una superficie sterminata, stomaco immaginifico che questa città mostruosa deve nutrire in qualche modo il suo corpaccio strabordante, dove ogni giorno passa una quantità di derrate inverosimile, che verrà comprata, usata, consumata e trasformata in scorie che andranno ad ammorbare un'altra parte di città, quella delle immondizie, degli scoli, delle fogne a cielo aperto, rivoli merdosi che scivolano tra baracche e tende di fortuna che reggeranno fino al prossimo monsone, forse.
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Venditori di cipolle |
Un organismo gigantesco, un moloch multiforme che ogni giorno deve essere alimentato, facendogli trangugiare montagne di materiali, che vengono tritati nella sua fornace ardente che li restituirà subito dopo, in cartaccia, residui putrefatti, plasticume sporco, merda e vomito. Checché se ne possa pensare questo è l'uomo, che sa solamente moltiplicarsi senza fine, resistendo ad ogni difficoltà, malattia, violenza e carestia. Questa è la sua forza e la sua dannazione; ce ne vorrà molto per fare estinguere questa forma di vita resistentissima dal pianeta e se si tratta di un esperimento alieno, sicuramente darà molti spunti interessanti e forse imprevisti a chi lo sta studiando. Però intanto noi ci aggiriamo in questa confusione come bruchi nella polpa, delibandone tutti gli aspetti più esagerati, i colori e le piramidi di frutta ordinatissima, le montagne di ortaggi che arrivano dalla campagna, le frattaglie sanguinolente esibite come bistecche di prima qualità. Un carrettino è quasi sepolto sotto fasci di canna da zucchero sotto le quali un omino sudato, taglia, spezza, rompe e schiaccia con dedizione, facendole passare attraverso uno spremitore di ghisa che le inghiotte trasformandole in una pasta sfilacciata, che viene subito messa da parte per un uso ulteriore, mentre il succo lurido si raccoglia in un catino di alluminio, acqua grigia a sporca che viene poi distribuita a bicchieri ad una fila di astanti che aspettano golosi, dopo aver buttato una monetina in un cesto.
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Polli |
Poi la fila infinita dei friggitori, pakora grondanti olio, samosa ripieni, poori croccanti e poi bomboloni, pastelle e ogni altra cosa innominabile che si possa buttare in un pentolone nero in cui sfrigola un liquido ancora più nero e innominabile. Il prodotto, dolce o salato si va poi ad accumulare in mucchi disordinati su un bancone a fianco a disposizione degli avventori. Ancora banchi di croccanti dolci, che vengono spianati su superfici di marmo, come alla festa di Santa Lucia nella mia città, le stesse arachidi, lo stesso caramello bruno morbido e appiccicoso che legherà il tutto, solo che a fianco a me non c'è più il mio papà che mi tiene per mano mentre aspettiamo di comprarne una lista da sbocconcellare mentre andiamo verso casa. Poi le viuzze si restringono ancora e diventano ancora se possibile, più contorte e confusionarie. La nostra macchina, che abbiamo trovato ad aspettarci all'aeroporto, il povero Anis ha guidato tutta la notte, mentre noi ronfavamo tranquilli a Cox, vi penetra a fatica, circondata da ogni parte da un esercito in marcia di pedoni, di biciclette, di motorini e risciò a pedali. La confusione è tale che rimaniamo completamente bloccati. Alla fine bisogna decidersi, se vogliamo andare avanti nella città vecchia bisogna abbandonare la macchina e procedere a piedi, facendosi largo tra la folla.
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Venditore di aglio |
Occhio al portafoglio che non si sa mai, ma intanto si procede schiacciati da ogni parte, per assorbire il più possibile questa sensazione di oriente, di profumi di spezia e sudore, di rumore implacabile dei mille clacson e campanelli di bici che suonano tutti assieme, senza uno specifico motivo se non quello di affermare la propria esistenza. Suono quindi ci sono. Ognuno fa quello che deve senza curarsi dei problemi di chi lo circonda. Davanti a noi un baracchino carico di fasci di corde di ogni dimensione, ha bloccato completamente il vicolo. Tutti gli gridano di farsi da parte, di procedere almeno ancora di un paio di metri, dove c'è un piccolo slargo che permetta a chi sta dietro di passare. Ma l'uomo piccolo e sdrucito, non se ne dà per inteso, neppure ascolta, comincia a scaricare tra le grida della gente che, almeno sembra, gliene dice di tutti ii colori. Lui va avanti fino a che non ha portato dentro tutto quello che deve, poi torna al carretto e si guarda intorno con una alzata di spalle prima di ricominciare a tirare il suo fardello e sembra dire: "E cosa devo fare?". Tutto ricomincia allora a muoversi con lentezza biblica. Tanto tutto è bloccato e a piedi non riesci a procedere avanti, puoi quindi guardare con calma gli antri scuri, i negozi che ti sfilano accanto, dove la vita procede invece con lentezza, in contrasto evidente con la frenesia che la circonda. Bisogna uscire in qualche modo da questa impasse. Eusuf si sposta in un punto più libero di folla e si mette a sbracciare in direzione di un parcheggio di ciclorisciò. Bisogna andargli dietro.
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Venditore di patate |
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Trasporti |
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