sabato 16 maggio 2020

Oasi perdute 13: Kharga e la necropoli di el Bagawat

Kharga - el Bagawat - Egitto - agosto 1999


Le rovine dietro al tempio
Abbiamo già detto che le oasi molto spesso sono assai distanti da quel concetto iconografico che le rappresenta con 4 palme di fianco ad un pozzo, anzi nella maggior parte dei casi si tratta invece di vaste zone dove le condizioni pedoclimatiche fanno sì che l'acqua sotterranea si concentri sotto la superficie in avvallamenti del terreno anche molto vasti, dove si accumula e spesso fuoriesce con sorgenti e wadi. Spesso queste zone erano in un passato più clemente, zone fertilissime solo da poco insultate da una meteorologia perfida che le  ha rese sempre più aride e circondate, spesso assediate dal deserto con il quale sono in continua lotta per non essere sopraffatte. Quella di Kharga nell'alto Egitto, è forse una delle più grandi del mondo. Una sterminata distesa di palme con oltre centomila abitanti sparsi in vari insediamenti attorno alla cittadina centrale. Siamo a quasi 200 chilometri dall'attuale valle del Nilo, che però milioni di anni fa passava proprio da qui scavando una larghissima valle che proseguiva verso nord secondo un percorso più rettilineo dell'attuale e forse proprio per questo ha lasciato una collana di perle, una serie di oasi successive che ne segnano il percorso, quello che era anche la cosiddetta pista dei 40 giorni, che scavalcava il Sahara congiungendo il Mediterraneo al Sudan fin dal tempo dei faraoni.

el Bagawat
Venti anni fa era un Egitto diverso, più calmo e tranquillo e almeno allora, meno battuto dalle orde di turisti che invadevano Luxor e la valle dei Re. Potremmo chiamarlo un Egitto di campagna che tuttavia sapeva regalare grandi sensazioni. Noi ci andammo nel 1999 in un torrido agosto, con i suggerimenti e l'aiuto prezioso di un caro amico che era nato proprio da quelle parti e ci aveva suggerito di non perdere l'occasione di percorrere anche quelle vie secondarie ma non per questo meno interessanti. Proprio a Kharga infatti hai l'occasione di misurarti con quel sistema costruttivo, chiamiamolo sahariano-sudanese, che utilizza il fango ed il mattone crudo rinforzato da palificazioni, che si è poi esteso lungo tutta questa fascia desertica. L'architettura del deserto dunque è fascinosa ed emozionante al tempo stesso. Il costruttore, se è anche artista, valuta il materiale di cui dispone e poi crea qualche cosa che va al di là della semplice tecnologia abitativa. Dove hai a disposizione solo la terra, anche con la semplice tecnica del mattone crudo riesci comunque a costruire bellezza. E' proprio un insopprimibile bisogno dell'uomo. Non conta qual è il materiale a tua disposizione. E' il desiderio di aggiungere all'obbligo della tecnica, anche qualche cosa apparentemente inutile e non necessario, che potrebbe essere tranquillamente trascurato, tanto la costruzione starebbe su ugualmente, ma alla fine prevale e aggiunge qualcosa che pur non trascurando la funzionalità, la acquisce e la arricchisce di ornamento, di grazia, di bellezza.

Case di Kharga
Nascono così le città del deserto, capolavori di materia fangosa rappresa e seccata al sole, alla mercé di una pioggia che li scioglierebbe in meno di 24 ore, ma che tanto non viene mai. I legni che servono a mantenere la struttura formano motivo estetico ed il posizionamento delle mattonelle diventa trompe l'oeil. I passaggi che mantengono unite le costruzioni, danno riparo e frescura al sole torrido che vuol bruciare violento chi si ostina a voler vivere in questi luoghi. Ancora più affascinanti quando diventano spazi non abitativi. Poco più infuori dalle palme infatti, in mezzo alle sabbie che continuamente cercano di sopraffarla e di riprendersi il territorio che reputano loro, c'è la grande necropoli cristiana di  el-Bagawat, una vera e propria città dei morti fatta di case-tomba del V secolo d.C., alcune delle quali mostrano ancora all'interno magnifici affreschi copti, altre invece sono ormai in rovina coi muri smozzicati e l'interno invaso dalla sabbia. Camminavamo con fatica affondando i passi nel terreno instabile, per passare da una costruzione all'altra, stupiti di come l'assoluta mancanza di umidità avesse potuto conservare dopo secoli quelle tracce di artisti lontani. D'altra parte cosa sono 15 secoli di fronte ai millenni delle tombe egiziane. Questa è proprio la caratteristica principe dell'Egitto. Un luogo di bellezza assoluta nel quale il silenzio si fa elemento strutturale di significato. L'ingegno umano è bello a vedersi. L'homo faber dà dignità alla specie e riesce a farne dimenticare il lato oscuro, finché non arrivano i bombardieri naturalmente.

L'oasi dalla necropoli

La necropoli
Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:



Tozeur
Chebika

Nessun commento:

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!