lunedì 18 maggio 2020

Oasi perdute 14: L'Egitto di campagna a Dakhla


Cittadella di el  Qasr - Oasi di Dakhla - Egitto - agosto 1999


Ilmercato
Risalendo ancora verso nordovest lungo l'antico corso del Nilo, dopo altri 200 chilometri circa al di là di Kharga, arrivi a Dakhla, un'altra grande oasi tra quelle che compongono una sorta di collana di perle dall'alto fino al basso Egitto e che raccontano la storia di una paese rurale, lontano sia dalla scabra notorietà monumentale faraonica, sia dalla mondanità delle spiagge colme di vacanzieri ansiosi di esplorare le meraviglie delle barriere coralline e di nuotare tra le razze ed i barracuda. Anche questa, lunga quasi 80 chilometri, si differenzia dalle classiche oasi da cartolina, ma è un vasto territorio verdeggiante punteggiato di paesini immersi in una sonnolenta vita di campagna. E' un Egitto molto vero e di grande interesse, così distante dalla confusione della capitale e dalle torme del turismo organizzato. Noi eravamo ospiti nella casa del nostro amico e trattati come si dice a pappa e ciccia, con tutta una serie di donne, mamma, zie, sorelle e altro parentame vario che ci accudivano amorevolmente rivolgendoci ogni genere di consigli e suggerimenti in arabo stretto, ma ci capivamo benissimo. Tra minestre piccanti e stufati di montone, si andava al mattino a fare un giro negli orti di famiglia, su un carretto tirato da un asinello volenteroso, passando da un fontanile ad una sorgente, dato che nell'oasi ce ne sono oltre 600. 

La fabbrica dei tappeti
Naturalmente ci sono un sacco di cose da vedere girando tra i paesetti, oltre alla necropoli di el Muzawaka e alla splendida cittadella di el Qasr che domina tutta un'altura ed è costruita su un precedente accampamento romano, tanto per cambiare e se pensate che questi benedetti Romani, fin qui ci sono arrivati a piedi, direi che l'impero se lo erano meritati davvero. E mi risulta che siano arrivati ancora più a sud al confine con quella Nubia dalla quale già allora i popoli del sud spingevano per entrare in questo territorio che era Terra romana a tutti gli effetti, già allora evidentemente giudicata il paese della cuccagna se si vuol dar credito agli ostracon trovati in zona, cocci di terracotta sui quali gli aspiranti clandestini scrivevano messaggi cercando di corrompere le inflessibili sentinelle a guardia del confine e tentare di acquisire in qualche modo quello status di cives romanus, evidentemente ambitissimo a quei tempi e che i Romani stessi concedevano con larghezza e lungimiranza, avendo ben compreso che assimilare era l'unico modo per legare l'impero in un tutto unico e funzionante, cosa che ha garantito secoli di benessere a tutti. Continuammo a girolare per l'oasi per un paio di giorni, senza trascurare il bel tempio di Bair el Hagar e perdendoci tra le viuzze di Al Balat, un paesino delizioso, dedalo di vicoli da percorrere tra passaggi coperti e zig zag di angoli retti per raggiungere il minareto che indica il centro del paese. 

Case di al Balat
Di nuovo il magnifico stile costruttivo sudanese di terra cruda impastata con la paglia a costruire muri inclinati e tenuti insieme da pali di legno che fuoriescono dalla facciate. E poi il piccolo ma interessante museo etnografico e la fabbrica dei  tappeti con decine di donne al lavoro per i quali l'oasi è famosa. Ci accompagnava un ragazzotto, parente anche lui, che subito mi raccontò di quello che era il suo desiderio più grande, il suo sogno inespresso e cioè quello di avere un telefonino, di qualsiasi tipo, purchessia. Anzi se, quando fossi tornato a casa, potevo spedirgliene uno, anche rotto o malfunzionante che ci avrebbe pensato lui a farlo riparare, sarebbe stato l'uomo più felice della terra. Capite bene quali siano davvero nel nostro mondo i bisogni primari. Certo che era sempre agosto e la temperatura a metà della giornata superava i 42°C, e quando ci fermammo da un vasaio che aveva appena aperto un forno per estrarre una serie di orci e altri recipienti di terracotta, ci parve di essere arrivati all'inferno. Insomma per cercare refrigerio dovevi spostarti nelle zone ombreggiate e protette dove si svolgeva il mercato, che tuttavia anche col caldo era sempre piuttosto popolato. Tra le altre cose mia figlia, che aveva allora 13 anni, aveva una febbre fastidiosa, che, data la temperatura esterna, non riuscivamo neppure a misurare con precisione. Rimase quindi tutto il giorno nella penombra della camera più fresca accudita dalle varie zie che andavano e venivano con succhi di arancia, datteri, carcadé e altre squisitezze varie. D'altra parte l'ospitalità delle oasi è cosa nota.  

Il campo del vasaio


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:





Kharga
Tozeur
Chebika

Nessun commento:

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 114 (a seconda dei calcoli) su 250!