martedì 19 maggio 2020

Oasi perdute 15: Petra a cavallo


Il tesoro di Petra - Giordania - agosto 1977

Mamma mia quanti chili in meno. Io di certo, 30 esattamente, è stato il mio minimo storico alla fine di quel viaggio, tra il caldo assurdo di un agosto mediorientale, che si sa non è il periodo migliore, ma quando lavori o così o pomì. Però che entusiasmo nello scoprire quella civiltà di quell'oasi di pietra, annegata tra le sabbie. Il gruppetto di cavalcanti che stava appena fuori del sif, l'imboccatura del canyon, stretto ed altissimo, che ti porta alla valle segreta, stava lì a sonnecchiare anche se era mattino presto, dato che di turisti ne giravano pochissimi, un po' perché allora era così, un po' perché costava molto più caro di adesso muoversi in giro per il mondo. Però, pensate un po', allora quella era una delle aree più tranquille del mondo. Attraversavamo la Giordania per andare nello Yemen e incrociammo dei ragazzi austriaci che venivano dall'Iraq. Un posto talmente sonnolento da essere quasi noioso, dicevano, non fosse per quelle straordinarie rovine nel deserto. A quel tempo l'area del mondo davvero off-limit era l'estremo oriente, dalla Cina al Vietnam, tutta area interdetta al turismo, con Pol Pot che massacrava la Cambogia e tutta l'area coperta di mine e di bombe inesplose.

Pensavo che laggiù non avrei mai potuto metterci piede. Come cambia in fretta il mondo. In quel deserto di pietra invece, l'Arabia Petrea dei Romani, che fin lì c'erano arrivati a piedi, tanto per cambiare, ma forse allora faceva meno caldo, suppongo, anche i beduini sembravano immobili nel tempo e non ti rincorrevano per convincerti ad affittare il loro ronzino. Io poi, non avevo mai messo le chiappe su un quadrupede che non fosse quello della giostra viennese e pensavo fosse roba semplice. Mi ci issai sopra con una certa agilità, dati anche i trent'anni passati da poco e percorrendo la spaccatura nella roccia, caracollavo sereno. Quando arrivammo alla fine e dallo squarcio spezzato e scuro, comparve all'improvviso la visione abbagliante di quelle colonne dorate che sembravano il set di un film, tanto erano perfette e inverosimili, ne rimasi così stordito da non accorgermi .che il mio tenero fondo schiena, non abituato a quel tipo di stravizi, si era a poco a poco abraso in maniera preoccupante, provocandomi una piaga da decubito di non piccola proporzione. Ma che magico gioco di specchi!


Quando esci da una spaccatura nella roccia e ti si apre uno scenario inaudito seppure così conosciuto. Ci entri e da lì rivedi come in un reload fantasy la stessa ferita nella parete di roccia da cui sei appena uscito. Una serie di sfumature di rosa continue dal pallido velo dei petali al più intenso rosso mattone. Esci da un mistero della natura ed entri in un altro mistero costruito e pensato dall'uomo, entrambi si guardano l'uno di fronte all'altro. Da un lato distingui le tacche dei costruttori issati a forza di braccia sulla parete quando ancora era vergine, dall'altro le corrosioni del vento e di un'acqua antica svanita tra le sabbie. Quale è più vera, quale completa l'altra? E' solo un gioco di pensiero che devi attenuare fino a farlo scomparire. Qui davanti non si deve pensare, soltanto guardare controllando l'emozione e neanche le senti, le chiappe spelate! Feci la strada di ritorno a piedi, mentre il cavallo se ne andò sogghignando al trotto leggero inseguito di corsa dal palafreniere, speranzoso di fare due servizi nella stessa giornata.


Cavalli e cavalieri



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