lunedì 4 maggio 2020

Oasi perdute 3: Le sabbie rosse di Timimoun

Le mura di Timimoun - Algeria - Gennaio 1978


Deserto rosso
Se ci penso adesso, anche se bloccato in casa, assediato dal virus, abbiamo avuto un bel becco ad arrivare fino al centro dall'Algeria con quella minuscola Autobianchi A112, affittata a Djerbah, cercando di seguire la strada fino all'ultimo pezzetto di asfalto. Da Gardaia, lasciata a malincuore in una mattina di inverno, così secco che l'occhio si spingeva per decine di chilometri fino al termine dello M'zab, abbracciando con un sol colpo tutta la pentapoli, la strada continuava verso sud ovest, traversando il paese per 600 chilometri, che ci facemmo tutti d'un fiato, tagliando il deserto in diagonale per raggiungere quella che rimane la seconda direttrice verso sud, la Bidon Cinq, che porta diretta verso il Mali, credo oggi, la via principale per chi tenta il cosiddetto salto. Sono 600 km di nulla assoluto, prima attraverso un pianoro senza fine di roccia ciottolosa, mentre, arrivati più o meno a metà strada, incominciano le sabbie, il Sahara che ti immaginavi nei tuoi sogni. Le dune allineate spinte dal vento, onde infinite che vanno verso una riva così lontana da risultare invisibile, mare in movimento che tu attraversi seguendo la tua rotta solitaria senza più incontrare nessuno. Un sottilissimo nastro d'asfalto, molto malandato che prosegue rettilineo fino all'ultimo orizzonte, con le onde di sabbia che si frangono contro di esso, a volte superandolo e lasciandovi tracce che devi superare con attenzione per non scivolarci fuori. 

Vie di Timimoun
Se ti fermi e cammini appena al di là dell'asperità che costeggia la strada, superi la duna e ne guardi il prosieguo ondulato, ne vieni subito attratto irresistibilmente, cammini avanti, poi ti giri e non vedi più quell'appiglio al mondo conosciuto, la strada, la macchina e ti senti subito perduto nel nulla, senza possibilità di ritorno a guardarti intorno senza riconoscere i confini di quello spazio così aperto e straniante. Bastano dieci metri per tornare indietro e farti riguadagnare la vista del noto, la lamiera bianca dell'auto, il ritorno sulla terra, la tua terra, quella che conosci ed alla quale ti appigli come ad un'ancora di salvamento. Se sei solo, il deserto fa irrimediabilmente paura, è un pianeta incognito e meraviglioso che attrae e respinge a fasi alterne, come le morgane che il calore mostra tremolanti all'orizzonte come fossero laghi infiniti da raggiungere e perdersi definitivamente. Questa traversata è straordinariamente bella e occupandoti quasi una intera giornata, ti mostra in un caleidoscopio continuo tutti i colori del deserto, dal rosa leggero del mattino che va sfumandosi in un giallo carico che diventa sempre più chiaro mentre il sole si alza alto nel cielo, fino a trasformarsi quasi in un bianco abbacinate. Poi mentre l'ombra formata dalla cresta delle dune comincia ad allungarsi, passi attraverso tutta la gamma delle ocre sempre più calde ed aranciate, poi virando verso i marroni più intensi, fino al viola cupo, quando il sole sta per scendere definitivamente davanti a te in quell'ovest lontano dove sta il paese del Magreb.

Bimbi di Timimoun
Il rosso intenso delle sabbie significa anche che stai arrivando a Timimoun,  l'oasi estrema prima del grande balzo finale, gli altri 1500 km di nulla che ti porteranno al di là del vuoto, verso nuove sponde. Timimoun, la città rossa, con le sue case di fango, dai muri inclinati verso l'interno, coi pali di costruzione che ne fuoriescono ordinati, nello stile maliano-sudanese, è di una bellezza commovente; le strade solitarie con vecchi e bambini, seduti sulle soglie delle case, i piedi nella sabbia che cerca di infilarsi in ogni spazio, le mosche fastidiose che non riesci a cacciare in nessun modo, le mura che la difendono dal nulla, al bordo di una depressione enorme, immensa come uno dei grandi laghi italiani, la Gourara, un tempo proprio un grande lago di cui oggi hai solamente la spettacolare visione del mare di dune rosse che ne coprono il fondo. Di certo una delle meraviglie della natura, da godersi al tramonto in tutta la gamma delle sue sfumature di viola carico. Una città che lascia il segno nel ricordo, al centro di questo deserto che risponde in tutto e per tutto al tuo immaginario. Girammo un paio di giorni intorno a questo paesaggio, percorrendo le stradine tra le palme dell'oasi, perdendoci nei vialetti formati dai qanat, la rete semisotterranea che porta l'acqua ad ogni campicello, ad ogni giardino, ad ogni pianta, senza che ne vada perduta una goccia, quasi senza deciderci a lasciarlo. Ma qui l'asfalto finiva definitivamente e per noi, col nostro misero macinino bianco, che non poteva fare di più di quanto aveva fatto, era arrivato il momento di girare il timone e riattraversare quel mare ormai non più estraneo e tornare verso lidi più conosciuti e consolatori.

Sahara



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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Une merveille !

Anonimo ha detto...

Un sogno...chissà un giorno!

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!