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Parga - Grecia - agosto 1976 |
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Parga |
Avevo appena cominciato a mettere il naso fuori dai confini, anche se avevo capito da tempo quale fosse quel fuoco che si agitava dentro di me, ansioso di scoprire cosa ci fosse di là del mare. Così decidemmo di passarlo quel mare misterioso per raggiungere le coste omeriche. Appena passata Corfù e non ancora arrivati ad Itaca, sulla strada che conduceva il Laerziade a casa, non certo definitivamente come vuole la vulgata successiva, si percorreva una costa ancora piuttosto selvatica e poco investigata da un turismo ancora bambino. Così quando si aprì davanti a noi il piccolo golfo di Parga con i suoi tre archi lunati di spiaggia successivi, sottili strisce bianche che scandivano il verde dei pini dal blu scuro del mare, rimanemmo quasi immobilizzati dalla sua bellezza tenera e primitiva. Anche la spiaggetta antistante l'abitato era semi deserta nonostante l'agosto caloroso e potevi starci la mattina, quando ancora il sole non era troppo feroce, per andare a cercare poi tra i vicoli una taverna dove avevano già imparato a servire grandi orate che sapevano di mare pulito, mentre il retsina spargeva profumi di resine antiche nell'aria a mitigare l'odor di fritto ed a pulire la bocca dai lasciti delle mussacà e degli involtini di foglie di vite. Poi ti arrampicavi sui sentieri, appena fuori del paese per arrivare sul punto più alto del promontorio che si allungava sull'acqua dominando da su lo zaffiro scuro che ti circondava. Rimanevi allora a lungo seduto sulle mura dirupate di un antico castello a guardare lo specchio del mare.
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La spiaggia |
In mezzo all'insenatura due piccole isolette, che poi a ben vedere erano una sola, collegata da un basso istmo quasi invisibile dalla riva, coperte di macchia mediterranea fitta, quasi inestricabile. In mezzo una chiesetta bianca con uno puntone di campanile sulla minuscola facciata, solo un sostegno per una campana anch'essa minuscola, che suonava una volta al giorno, forse proprio per ricordare al mondo la sua esistenza. Ci si poteva arrivare facilmente a nuoto, dato che l'isolotto non dista dalla riva che un paio di centinaio di metri, sempre troppi però per il ferro da stiro che è in me, tuttavia ugualmente raggiungibile tramite l'affitto di un pedalò azzurro che un vecchio dalla pelle rugosa , un pescatore prestato temporaneamente a quella attività che sarebbe col tempo diventata primaria, affittava con sussiego al mattino presto. Raggiunta la spiaggetta sassosa e compiuti pochi passi lasciavi alle tue spalle anche quel minimo senso di civiltà che davano le case bianche ammassate dietro il molo e ti perdevi in quel Mediterraneo primordiale cantato dall'Odissea. Procedere oltre la riva non era facile, i sentierini poco o nulla percorsi erano cosparsi di rovo, ma che profumi c'erano nell'aria, di origano selvatico, di lentischi, di resina che colava dai tronchi dei pini che allungavano i rami sull'acqua. Poi si tornava a riva e si stava a lungo in quell'acqua fresca, blu e verde carico, comunque ristoratrice, nonostante ci fosse il caldo agosto della Grecia ad arroventare l'aria. Ci rimanemmo per tre o quattro giorni indimenticabili.
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Dal castello |
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