lunedì 31 agosto 2020

Luoghi del cuore 54: Giorni felici in Crimea

Novyj Sviet - Crimea - maggio 1994

La costa vicino a Yalta
La bellezza di un luogo ha la sua indubbia importanza quando si deve procedere alla lista dei luoghi del cuore, tuttavia, come ho già avuto modo di ricordare; un altro punto dirimente è rappresentato da quella che potremmo definire sindrome dei giorni felici. E' indubbio che più acqua passa sotto i ponti e più un luogo ti appare nella sua temporale lontananza come un luogo indimenticabile, proprio perché vi hai trascorso giorni memorabili e degni di essere impressi nella tua testa e nel tuo cuore. L'amico Zhenja, ad esempio, mi ha mandato questa bella foto di Novyj Sviet, un paesino della costa della Crimea, affacciato su mar Nero e coronato alle spalle da montagne aspre, molto vicine alla struttura morfologica della nostra Liguria e che epidermicamente ha la stessa vocazione turistica e vacanziera. Non è che me la manda, insieme ad altre, di tanto in tanto, perché è un appassionato di fotografia e gli piacciono le belle immagini. Lo fa perché vuole ricordare con me, quelli che lui chiama i giorni felici contrapposti a quelli che invece sono i giorni bui, quelli per cui bisogna mettere da parte qualche cosa per salvarsi dalla catastrofe che sicuramente arriva. Credo che sia una tipica espressione della melanconia russa. Per noi è invece semplicemente quel rimpianto del passato, categoria propria degli anziani per i quali ogni cosa appartenuta al tempo trascorso è bella e desiderabile, mentre il futuro è in ogni caso denso di nubi nere e popolato di ombre paurose. Il presente invece latita, fugace come è giusto che sia, sempre deludente e inferiore alle aspettative.


Un lido della Crimea
E' un nostro brutto vizio quello di identificare a priori la freschezza e la forza nel nostro passato, momento in cui il corpo rispondeva vigorosamente agli stimoli e pareva pronto ad ogni sfida, con la situazione oggettiva di quei momenti. Sono passati quasi trenta anni da quando ero pressappoco nella posizione dell'uomo ritratto nell'immagine a guardare quel piccolo paese dall'alto, che allora viveva di un turismo sovietico poverissimo, con la piccola spiaggia sassosa gremita di lavoratori spaiati, senza il coniuge, perché solo loro avevano avuto dalla fabbrica la putiovka, la vacanza premio per l'operaio meritevole del mese, mentre la moglie invece l'avrebbe avuta magari il prossimo anno e in un sanatorij a Kislovodsk. Guardavo le mura ancora salde della Forteza Genovese, lasciata lì otto secoli prima dalla repubblica marinara al massimo del suo splendore, aggrappate alla roccia della montagna, avamposto di una globalizzazione che il mercante ha sempre voluto con tutte le sue forze, in ogni tempo, possibilità e promessa di crescita e benessere per tutti. Calcavo sentieri percorsi anche dal giovane Marco Polo all'inizio della sua avventura, mercante anch'io come lui alla ricerca di opportunità, ma mai privo della curiosità per quanto si riesce ad abbracciare con lo sguardo. Davanti a noi Valentino, con la sua pensione da colonnello di 20 dollari, che voleva vendere la sua Pobieda a qualche ricco collezionista occidentale di auto. Valeva di certo 50.000 dollari, ne era sicuro, una fortuna, avrebbe presto risolto tutti i suoi problemi. Quelli erano i giorni felici?

Forteza Genovese
Anche se gli scaffali dei negozi erano tristemente vuoti, anche se la colazione era di due fette rinsecchite di kalbasà e agurzy in composta, anche se sui muri scrostati delle piazze di Sebastopol c'erano manifesti che mettevano in guardia dalla peste bubbonica, invitando a bollire l'acqua. L'anziano pensa sempre di sì, perché allora le gambe erano forti e il mondo sembrava tutto da conquistare. Quelli erano giorni felici, passati a bere vodka in un kolkoz sperduto vicino a Mariupol, ad ascoltare un direttore annoiato che raccontava i suoi giorni felici quando faceva il consigliere militare a Cuba al tempo dei missili. Mikele che mi accompagnava pensava ai suo tempi felici quando al tempo delle varie guerre  passava da Cambogia ad Angola dove vendeva non ben precisati abarudovnija (macchinari), guardando gli occhi grigi di Lijuba che ci portava il thé. Il mio amico pensa con nostalgia al tempo in cui arrivava a casa col suo stipendio giunto finalmente a 300 vecchi rubli, gli sembrava di avere il mondo in mano e nulla contava se lo zio che raccontava le barzellette su Stalin un giorno era scomparso, la sedia era restata li vuota e nessuno ne aveva più parlato. Erano giorni felici quando sul treno che andava verso sud la dejurnaja del vagone ti chiedeva se volevi thé indiano o cinese e non pensavi a quei ragazzi che stavano nell'altra camera della komunalka, vicino alla tua, che avevano rubato due sacchi di carbone alla ferrovia e si erano beccati il quartino, 25 anni di campo in Siberia. Certo, quando c'era Lui, le cose funzionavano però. Questo è l'anziano. Davanti solo giorni bui, volgendo lo sguardo indietro solo i giorni felici della giovinezza perduta.


La Pobieda di Valentino


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