giovedì 27 agosto 2020

Luoghi del cuore 53: La neve candida degli Urali


Al confine tra Asia e Europa - Gennaio 1993

In treno verso gli Urali
Gli Urali hanno tutte le caratteristiche per diventare un luogo del cuore in particolare se ci arrivavate nel 1993 nel momento del crollo dell’URSS senza telefonini e privi di quelle connessioni che adesso vi legherebbero indistricabilmente alla globalizzazione benedetta o maledetta a seconda delle convenienze. Ufa, capitale della Bashkiria, i cui abitanti si chiamano Ufimzy, tanto per rispondere alla domanda che di certo vi sorge spontanea e non Ufologi, come suggeriva l’amico Gianni in un anelito di contatto del terzo tipo, è un buon punto di partenza per raggiungerne le aree più solitarie ed affascinanti e aveva anche il vantaggio di essere a quel tempo, una delle città più inquinate dell’impero sovietico. L’aria aveva un perenne sentore di fenolo e Gianni mi raccomandò di usare poco l’acqua del rubinetto, perché sulla pelle rimanevano strani e sospetti rossori. Malelingue affermavano che il numero di nascite con deformazioni, superasse ogni altra zona conosciuta. L’impressione era un po’ quella di una zona un po’ fuori dal controllo centrale, dove le camarille locali facevano un po’ il bello ed il cattivo tempo. Gli incontri con diversi personaggi equivoci, che si spacciavano per i maggiorenti locali ce lo confermò, così come un losco personaggio, tale N. che come credenziali ci assicurò di essere stato in galera cinque anni prima per crimini commerciali. Sembrava questa una specie di medaglia al valore che contraddistingueva chi era in grado di offrire buoni affari. Per fortuna presto arrivò la macchina che ci doveva portare alla paradisiaca Jangantau, dove, essendo arrivata la conferma del pagamento della linea di imbottigliamento dell'acqua minerale, ci attendevano alla fonte per il progetto dell'impianto. 

Alla fonte miracolosa
Ricordo solo il nostro stupore nel trovare nel luogo, dove ci aspettavamo un capannone pronto ad accogliere il nostro impianto, una landa desolata con un tubo di acqua che fuoriusciva da un laghetto ricoperto di spesso ghiaccio verdastro. Era la famosa fonte ricolma di benefiche proprietà minerali radioattive, grazie alle quali, il vicino sanatorij era pieno zeppo di curandi. Non rimase che fare la foto ricordo, davanti al cumulo di neve dove sgorgava l'acqua miracolosa mentre il capo delegazione, si sacrificava a (far finta di) bere un sorso del famoso elisir di lunga vita. Non era chiaro quali fossero i motivi dei benefici effetti dell'acqua stessa e delle cure che venivano lì praticate, ma, come ci spiegò il gran dottore capo del sanatorij, c'erano almeno una trentina di teorie sugli effetti di quello che definì come un reattore naturale sotterraneo, da cui emergevano effluvi vari, tra cui il radon. Tra le altre cure sperimentali, parevano particolarmente efficaci certe sedute di vapori in cui il malcapitato veniva rinchiuso con la testa fuori, in una specie di stufa/bara fatta con dei frigoriferi finlandesi di recupero. Era la genialità russa dell'arrangiarsi e non potemmo esimerci dal sottostare alla cura, su cui però, vorrei soprassedere dato che, nel ruffianesco tentativo di accreditarci le simpatie del direttore che avrebbe avuto una parte essenziale nella firma del contratto, ci sottoponemmo di buon grado ad essere inseriti nella bara, con la testa fuori per subire eventualmente il beneficio della cura, oltre che l’acquisizione della commessa. Nel gran banchetto di benvenuto della sera, capimmo che i responsabili volevano da noi anche un aiuto sottoforma di suggerimenti utili a costruire un capannone degno della tecnologia occidentale che avrebbe ospitato, ma non avendo sottomano strumenti idonei, mentre le bottiglie di vodka vuote si allineavano a terra nella grande dacia di legno nascosta nella foresta di betulle, coperta di neve ma riscaldata all'inverosimile, prendemmo alcuni fogli di carta igienica, gli unici disponibili sul posto, dove fu vergato uno schema di capannone utile alla bisogna.

Tra le betulle
La carta, che era robustissima essendo del famoso tipo chiamato "la vendetta di Stalin", conosciuta per rendere di un bel rosso vivo le parti interessate a causa della sua ruvidezza, funse perfettamente allo scopo e risulta che fosse inserita successivamente tal quale, nel fascicolo descrittivo del progetto. Mentre i convenuti cominciarono a rotolare come previsto dal protocollo, sotto il tavolo ad uno a uno, calò la notte pesante. Tra le montagne di Yangantau, mentre sul fondovalle il nastro d'argento del fiume formava una grande esse prima di scomparire tra le colline, regnava una pace plumbea, ma c'era nell'aria un turbamento profondo. Il giorno prima, erano circolate strane voci provenienti da Mosca. Eravamo riusciti, nel tardo pomeriggio, ad avere la linea telefonica e la moglie di Gianni ci aveva detto con una certa preoccupazione che c'erano i carri armati sulla Kutusovsky che entravano in città e non si capiva cosa stesse succedendo. Al mattino fu sospeso il segnale TV e tutte le linee telefoniche. Dovevamo essere ricevuti dal sindaco in pompa magna, ma ci dissero di rimanere alla dacia, perché il sindaco aveva l'influenza. A questa notizia ferale e sospetta, Gianni cominciò a preoccuparsi, stava succedendo qualcosa di grave. Intorno a noi la coltre di neve avvolgeva la montagna come una coperta funebre, dolce e bellissima. Le betulle bianche si stendevano all’infinito infondendo un senso di pace assolutamente ineguagliabile nel quale nulla poteva interferire. Una calma quasi letargica, dove anche i piccoli problemi del nostro impianto, si discutevano con i tempi biblici delle calde isbe sepolte sotto la neve dell'inverno russo.

Urali
Lontano migliaia di verste, a Mosca era invece in corso una lotta feroce per colmare il vuoto di potere che si era creato, ci si batteva senza esclusione di colpi per chi dovesse prendere in mano la nuova Russia bambina e la sua ricchissima eredità, nata da poco, già così contesa dalle dita adunche dei predatori, che si accalcavano dentro e fuori dalla Duma, la casa bianca russa, antagonista del Kremlino nella battaglia dei nuovi oligarchi. Noi, come ci diceva tranquillizzante il vecchio dottore che dirigeva il sanatorij, eravamo fuori dal mondo, lontano da questi giochi e nulla dovevamo temere. Come in passato, quando avvenivano questi rivolgimenti, la provincia lontana, entrava in un sonno di tipo letargico, aiutata dal clima, e attendeva il trascorrere della nottata per capire chi aveva in mano il bastone del comando e uniformarsi al nuovo corso. Tutti i responsabili politici si davano malati, in attesa delle nuove fotografie da appendere al muro degli uffici. Non rimaneva che chiacchierare di letteratura, senza esporsi troppo e riposare con calma. La banija, la sauna russa con relative vergate di rami di betulla sulle chiappe era il luogo ideale, ma, per amor di patria, trascurerò di scendere nei particolari, tutto sommato inutili al succo del racconto, se non per puntualizzare che qui fu presa la decisione di non interrompere precipitosamente il viaggio e di confermare i biglietti aerei. Rimanemmo ancora un giorno nella pace degli Urali, guardando dall'alto il fiume d'argento, mangiando shashliky tra una interminabile foresta di bottiglie di vodka, nella calda dacia di legno, puntualizzando il progetto che avrebbe preso vita in primavera quando l'acqua mineral-radioattiva della fonte miracolosa, avrebbe finalmente avuto il corretto imballo che si meritava per poter prendere le vie del mondo. 

La valle di Jangantau
All'aeroporto eravamo in pochi, nel cuore della notte gelata. Nella saletta internazionale dove eravamo confinati, trovammo solo un bulgaro dalla faccia da lottatore che pareva uno di quei mediatori da foro boario delle Langhe. Vendeva di tutto e girava le estremità delle Russie cercando piccoli business commerciali, una specie di rigattiere ambulante di prodotti vari, segno dei tempi. Dove te sapere che dappertutto, in ogni tempo, le necessità che nascono, vengono subito riempite da qualcuno, i bisogni vengono coperti, se manca la carta igienica in Chukotka a diecimila chilometri da Mosca, qualcuno sicuramente penserà che conviene andarci e vendergliela. Così dovunque andrete per il mondo, troverete sempre degli uomini, all'apparenza anonimi, con una piccola valigetta in mano, la borsa dei contratti, nera e piena di carte, di foto e di campioni che aspettano un aereo, un treno, un autobus, che attaccano bottone con i vicini, tanto per ingannare le lunghe attese. Vi chiederete cosa ci fanno in quel posto sperduto e apparentemente privo di interessi. Stanno lì, silenziosi o chiacchiericci, pensierosi, a inventarsi qualcosa per portare a casa del lavoro ad altri, che aspettano a casa, con impazienza, di cominciare a fare delle cose, a muovere le macchine, a produrre roba. L'aereo che portava ad oriente, sempre più malandato man mano che ci si allontanava da Mosca, aspettava immobile di partire sulla pista di ghiaccio nel cuore della notte. Anche noi salimmo quella scaletta, silenziosi, verso un'alba gelida, remota, lontanissima da quegli splendidi Urali candidi di neve e coperti delle betulle più bianche che abbia mai visto.

Le bianche betulle di Jangantau



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