Oggi non mi sono sforzato molto, vero?
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Mo Yan, specialmente dopo il conferimento del Nobel nel 2012, è stato spesso criticato, specialmente in Cina, per non avere preso una posizione critica netta nei confronti del regime. Chi afferma queste cose, ha probabilmente letto con superficialità le sue opere. Questo magnifico libro ne è l'esempio. Nel 1950 un proprietario terriero viene giustiziato per crimini contro il popolo. Ritenendo di aver subito una grossa ingiustizia, lui che si ritiene uomo probo e onesto ottiene dal re degli inferi di reincarnarsi per chiedere giustizia. Ma Yama gli gioca un brutto scherzo. Si dovrà reincarnare per almeno 5 volte in veste di animali diversi, un asino, un maiale, un toro, un cane e una scimmia, prima di stemperare il suo odio e la sua animosità e potersi finalmente reincarnare di nuovo nei panni di un uomo. Così la storia degli animali ripercorre 50 anni di vita politica cinese nelle campagne, dall'epoca delle comuni alle guardie rosse, alla morte di Mao e al seguente esplodere dello sviluppo economico così diverso dagli inizi della rivoluzione. Una storia descritta con un sarcasmo ed una raffinatezza smagliante, vista dagli occhi degli animali che via via si succedono. ![]() |
| dal web |
La generosa dose di rum ha subito contribuito a far prendere un certo abbrivio alla serata, con declamazioni di odi, già da subito declinate con voce malferma, ad inneggiare i meriti indiscussi del padrone di casa. Si era detto di far festa esclusivamente alla tenera cerva, che doveva rimanere il piatto unico e centrale della bisboccia, al fine di dare modo a tutti di mangiarne porzioni esagerate e non turbate da altre perverse distrazioni, ma si sa che sembra brutto non presentare almeno qualche stuzzichino come entrée. Dunque, stappato lo champagne, è partita l'ordalia delle tapas, come sempre ricercatissime e dalla presentazione mignon allettante e appagante anche per gli occhi, che ogni cosa deve avere il suo giusto sfogo. Ecco dunque il susseguirsi di uova mimosa ripiene, spiedini fantasia, palline ai formaggi e granelle di noci, deliziose rondelle di zucchine impanate ricoperte di formaggio fresco, tartine al paté, cacciatorini di cinghiale che dicevano mangiami mangiami che siamo così piccolini, che posto vuoi che teniamo nel tuo pancione debordante! E ancora fette di salmone al limone e erbe fini, crostini ricoperte di delizie provenzali di tonno, altri ancora ospitanti una mordentissima composizione a base peperoncino, roba per donne decise e uomini veri che non devono chiedere, mai. Ragazzi, mentre il paiolo della polenta continuava sobbollire lentamente, si ingannava il tempo in chiacchiera piacevole; chi vuole godere deve avere pazienza e sapere aspettare, d'altra parte c'erano i motivi per passare il tempo e si può dire che si è fatto onore alla tavola.
Poi, stappato un congruo vino nobile di Montepulciano, davvero acconcio a far festa all'ungulata, ecco arrivare la massa bruna, opportunamente ripartita in piccoli bocconcini a misura d'uomo (e di donna naturalmente). Che tenerume inarrivabile, ricoperto da una densa, saporosa, speziata al punto giusto, salsa che lo abbracciava in una stretta appassionata, pronto a donare sensazioni di selvatico finalmente domo, dalle fibre ormai vinte, che si aprono al minimo contatto per sciogliersi in bocca, invitando ad un secondo, un terzo assaggio e poi ancora e ancora all'infinito, cullato dal letto di polenta bollente, giustamente ruvida e solida (e in questo caso voglio stendere un lenzuolo silente ai miei accenni riottosi di vecchio polemico e bilioso, subito rintuzzati, trattandosi ahimè, di materiale cosiddetto biologico, anche se buonissimo in verità). Ne abbiamo divorato con lodevole impegno e senza alcuna lamentazione, fino ad esaurimento delle forze fisiche e mentali. Ma poiché come si sa, la boca no xè straca se non sa de vaca, ecco arrivare un plateau de fromage degno della mensa del re.
L'aria è tersa, solo un refolo di vento che non disturba. Alti sbuffi di panna bianca sulla tovaglia azzurro cupo del cielo. Il torrente mormora un unico lungo mantra tranquillo alle nostre spalle. C'è ancora acqua che alimenta i rivi che si fanno strada nelle forre dei boschi vicini; un muro verde cupo di pini dove l'odore di muschio è forte e copre il profumo lieve di qualche fragolina rosso vivo nel sottobosco, ancora privo del sentore forte dei funghi della montagna. Uno spazio piano sulla riva, riparato da un'ombra che protegge dal sole che ancora morde. Che bello fare tai ji all'aperto, tra gli alberi. Ci si sente davvero parte di un sistema complesso e vitale. Provare a lungo il respiro profondo. Ad ogni ciclo respiratorio, il peso del corpo sembra scendere un poco verso terra, sotto l'ombelico, a radicarsi al suolo che senti sotto le piante dei piedi, un contatto forte e vitale. Afferrarsi sempre di più sul terreno vivo, sentirsi parte di esso, inspirare, espirare. Le mani si muovono da sole.
Romanzo di esordio di questa nuova voce indiana, colpisce duro per le situazioni che descrive. Un'India molto poco oleografica che si apre a mostrare i suoi lati più pesanti e dolorosi. Una realtà rurale ben lontana dalla crescita tumultuosa dei BRICS e dalla voglia di diventare un paese moderno. Il titolo originale, ben più calzante, Someone else's garden, Il giardino di qualcun altro, dipinge bene questa parte oscura, intrisa di tradizioni di un maschilismo violento e feroce dove padri, mariti e figli considerano le donne che stanno loro accanto meno di cose. Disgrazie alla nascita, impicci da mantenere e di cui liberarsi in qualunque modo al più presto, indebitandosi anche pur di mettere insieme una qualsiasi misera dote da dare alle mani voraci di chi se le porterà via, ne faccia quel che vuole, le picchi, le venda o le uccida, magari bruciandole se le ritiene ormai inutili. Le femmine sono il giardino di qualcun altro, dunque non ha senso prendersene cura. Una filosofia alla fine condivisa dalle donne stesse, che le donne stesse condividono, condannando senza pietà chi tra di loro non la rispetta. E' la storia di Matma, già vecchia a vent'anni e di tutta la sua odissea di figlia e poi di moglie che riesce infine a sfuggire al suo terrificante destino, pur tra sensi di colpa e difficoltà inaudite, tra le miserie dell'India più profonda e difficile, spietata verso i deboli, che devono scontare evidentemente e giustamente le loro colpe, maturate nelle vite precedenti, che pure esiste ed è così lontana dalla idea della tolleranza ghandiana a cui spesso si indulge, pensando a quel paese. Anche se il finale buonista e carico di quell'happy end caro agli indiani, disturba un po' il rigore del lavoro, il libro è comunque molto interessante per chi ama questo paese e ne ritrova sempre con piacere gli odori e i colori. Le descrizioni attente degli ambienti e dei personaggi, vi faranno precipitare negli abissi più nascosti e dolorosi, per poi lasciare spazio ad una atmosfera alla Bollywood di cui questo paese non riesce a fare più a meno e che ormai sembra rappresentare un vero e proprio marchio di fabbrica. Direi da leggere.