mercoledì 2 maggio 2018

Etiopia 8 - I Surma


Tra i Surma


Partiamo dal villaggio dopo aver mangiato pasta e tonno in un locale in fondo alla strada. Bisogna prendere la pista che dietro le case sale verso le colline, coperte di fitta vegetazione, cespugli spessi, alti un paio di metri e alberi spinosi che non rendono agevole il cammino tra le montagne della Luna, così per lo meno le aveva menzionate Bottego quando arrivò quaggiù, primo europeo nel 1896. Proprio le difficoltà oggettive per raggiungere la zona, basta un poco di pioggia per rendere inagibili le piste e isolare i villaggi, hanno mantenuto alle tribù dei Surma un isolamento che ha fatto loro mantenere le tradizioni ancestrali a cui rimangono profondamente legati. Dopo una quindicina di chilometri si apre tra le colline uno spazio più pianeggiante con alcune larghe radure. Da qui si vede la valle lontana. Ci fermiamo in uno slargo di terra rossa lasciato libero dalla vegetazione. Il paesaggio intorno è davvero primordiale, una vegetazione rigogliosa di cespugli dalle larghe foglie carnose, fiori sconosciuti e bacche gialle. Sembra un set preparato per girare qualche film su un pianeta sconosciuto, una ambientazione alla quale il nostro occhio non è abituato. Poi, improvvisamente qualcosa si muove tra le frasche, si sentono presenze che osservano in silenzio. Mi giro e alle mie spalle sono comparse bianche figure di fantasmi, alti e magri, immobili, presenze inquietanti come manichini esposti in una serra aliena. 

Stanno lì nudi e fermi, col corpo di ebano su cui mani esperte hanno sparso strisce continue di bianco fino a decorarlo completamente. Righe parallele, cerchi, puntini, una ricerca grafica inconsapevole o meglio una tradizione di distinzione fisica in cui ognuno si esprime per esaltare la propria bellezza. Sono giovani Surma, se guardi con attenzione al di là degli alberi vedi le cime coniche di un gruppo di capanne. E' il villaggio di Kibish, uno dei tanti dispersi tra queste alture, ce ne sono almeno una ventina, dove si vive allo stesso modo di cento o duecento anni fa. Solo da qualche anno sono stati convinti a coprirsi alla meglio con un mantello di panno verde o blu che qualcuno porta annodato sulla spalla o attorno alla vita, ma l'evidenza è che si sentono più liberi, soprattutto nelle attività giornaliere nel villaggio o nei pascoli senza questo orpello che non aggiunge, forse toglie qualcosa alla bellezza, alla essenzialità della forma nuda che tanto ha affascinato i più famosi fotografi del mondo. Anche le ragazze hanno il viso coperto di piccole macchie bianche, qualcuna ha copricapi fantasiosi, ornati con fiori o bacche del bosco.  Le spalle o il petto è coperto di scarificazioni rituali che creando piccoli chelomi ravvicinati formano sulla pelle un complesso disegno ornamentale, che spesso copre tutta la schiena.

Tuttavia la caratteristica che li ha resi famosi e che li distingue dalle altre tribù della zona è il piattello di terracotta che le donne si inseriscono nel labbro inferiore oltre a quelli più piccoli che ornano i lobi delle orecchie. Questo disco labiale può arrivare fino a quindici centimetri di diametro e rappresenta il valore maritale della ragazza, che è proporzionale alle dimensioni dello stesso, si dice anche fino a trenta vacche. Le donne lo utilizzano durante le cerimonie e mentre servono il marito, poi se lo tolgono ed il labbro rimane pendulo in basso scoprendo tutti gli incisivi inferiori. Solo in questa tribù la forma del piattello può essere anche trapezoidale anche se pur sempre di grandi dimensioni. Pian piano arrivano altri abitanti del villaggio, molti bambini e ragazze, gli uomini stanno piuttosto alla larga appoggiati al loro lungo bastone, lo stesso che serve durante la lotta. Forse stasera non pioverà. Il capo villaggio ci dà il permesso di mettere la tenda ai margini delle capanne, di fianco alla radura. Lalo qui è di casa e anche noi dopo la prima fase piuttosto rigida, veniamo accettati come suoi amici. Mentre si monta la tenda arrivano un po' tutti, siamo circondati, i bambini sono i più sfacciati e curiosi, vogliono vedere e toccare un po' tutto e si accalcano attorno, le ragazze, un po' più discrete osservano da lontano. Quando calano le ombre, molti proseguono le consuete attività domestiche, soprattutto la preparazione della cena per gli uomini che stanno rientrando. 

Molti di loro hanno il kalashnikov ciondolante su una spalla, ci si appoggiano o lo tengono a tracolla con nonchallace, tuttavia non lo mollano mai. Intanto la curiosità è un po' calata e la gente si disperde tra le capanne, noi rimaniamo a chiacchierare col capo intanto che la prima moglie, esibendo un piattello mostruoso, viene a portargli una scodella con un grosso bolo di polenta bianca morbida, da cui lui stacca piccoli pezzi, mangiando con calma e distribuendone anche a un paio di figli o nipoti che gli stanno attaccati. Intanto è venuto buio. Gli alberi attorno si confondono con la notte. Le nostre torce fanno gola, un po' di gente si avvicina e rimane accovacciata a guardare. Poi una donna comincia a cantare un ritornello ritmato ed il gruppo si anima subito; arrivano anche dei giovani ragazzi con delle taniche vuote su cui si comincia a battere, accorrono anche altri, praticamente tutto il villaggio è davanti alla nostra tenda. Le donne cominciano a ballare cantando. E' una sorta di botta e risposta tra gruppi, evidentemente ci sono prese in giro e motti di spirito perché molti sghignazzano alla fine di ogni strofa. Qualche ragazza spinge uno dei giovanotti più prestanti che si esibisce conscio della sua bellezza, lui fa finta di niente, si ride e tutti si divertono molto. La distanza che ci separava all'inizio cede piano piano, non siamo più noi e loro, ma un gruppo di gente che balla e si diverte assieme. Poi lentamente qualcuno si allontana, i canti si spengono, la gente si ritira nelle capanne avvolgendosi nei mantelli. La notte è fresca, poi è solo buio con i rumori del bosco. Cerco di muovermi lungo il sentiero perché la fisiologia ha le sue necessità, non c'è la luna ed bisogna fare attenzione a dove metti i piedi. Speriamo che non piova se no non ci si muove più di qua.


SURVIVAL KIT

Tribù della Omo Valley - Rappresentano l'interesse maggiore di questa zona e vivendo in un forte isolamento hanno mantenuto aspetto e tradizioni molto interessanti da vedere. Per visitare questa area bisogna forzatamente farsi accompagnare da qualcuno della zona, che ne conosca le piste e la dislocazione dei villaggi e sia accettato (a pagamento naturalmente) in questi. Ovviamente c'è un certo afflusso turistico, ma le popolazioni mantengono una certa genuinità, anche se questa presenza fa ormai parte di un reddito aggiunto che contribuisce all'economia della regione. Per andare nei vari villaggi si paga una sorta di tariffa fissa, così come per fotografare le persone (5 birr per due o tre scatti a persona, se con bambino o con kalashnikov 10 birr, eheheheh) Questo potrebbe sembrare un po' fiera da paese o una cosa studiata o poco genuina, in pratica la cosa va avanti da decenni allo stesso modo, forse da quando gli indigeni si sono resi conto che i loro corpi dipinti o le loro espressioni fisiche interessavano particolarmente i primi fotografi che arrivavano da queste parti, per cui questa è diventata una attività accessoria sulla quale il villaggio fa conto, ma non snatura un gran che le abitudini di tutti i giorni. 

Le varie tribù (almeno una dozzina i gruppi principali) sono in perenne lotta tra di loro per ragioni territoriali e di suddivisioni di pascoli e non si mescolano tra di loro rimanendo piuttosto bellicosi. Evitano l'endogamia sposandosi tra villaggi diversi ma sempre della stessa etnia. Quasi tutte praticano l'arte della pittura del corpo con pasta di argilla bianca conl a quale vengono eseguiti disegni geometrici molto fantasiosi su tutto il corpo. Inoltre sono comuni la scarificazione e le mutilazioni genitali femminili, tutte eseguite con lamette da barba, le prove di coraggio per passare alla maggiore età, il bere il sangue dei bovini prelevato da una vena del collo e la lotta coi bastoni.

La nostra tenda
Surma - E una delle tribù più isolate di provenienza nubiana, nota soprattutto per l'uso da parte delle donne del piattello labiale femminile, circolare o trapezoidale per l'applicazione del quale vengono spesso tolti gli incisivi inferiori. Sono oltre 5000 persone suddivise in 25 villaggi e tre gruppi Chai, Tirmaga e Baale e parlano lingue nilotiche. I loro nemici di sempre con cui sono perennemente in guerra sono i vicini Nyangatom con i quali avvengono continue e sanguinose scaramucce. I piattelli sono in vendita a 50 birr. Il governo ne sconsiglia l'uso ma la tradizione sembra continuare, in quanto le donne hanno meno status sociale senza di questi.




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