giovedì 31 maggio 2018

Moldova 10 - Tiraspol

I love Tiraspol


L'ingresso in città coi simboli sovietici
Basta una decina di chilometri, passato il ponte sul Nistru e gli acquartieramenti dell'esercito russo, per arrivare alla periferia di Tiraspol, la capitale di questa piccola e fantomatica repubblica di poco più di 3.500 km2 e mezzo milione di abitanti. A questo punto è necessario che vi dia conto di alcune cose che giustifichino il mio interesse quasi morboso per questo luogo a cavallo tra due mondi, uno scampolo di passato tenuto in piedi artificiosamente da fragili equilibri geopolitici. Come molti di voi sanno nella mia vita precedente mi interessavo di export e per un paio di decenni ho navigato nel mondo slavo, con molti periodi di permanenza proprio a cavallo della caduta dell'impero sovietico. Ora, il vivere in prima persona questo mondo così lontano e diverso dal nostro e vederne la inevitabile caduta, con tutti i tragici eventi accaduti dopo, le privazioni e gli imprevedibili accadimenti che si sono succeduti per un intero decennio, con conflitti, disastri economici, speranze disilluse, povertà diffusa, è stata una opportunità unica che, avendomi coinvolto soltanto come spettatore mi ha dato modo di vivere un'esperienza piena di insegnamenti e di emozioni. Naturalmente quegli ambienti avevano tutta una serie di abitudini, situazioni e momenti comuni, consolidati in uno stile di vita che 70 anni di regime aveva reso immutabili e con caratteristiche di unicità che non ritrovavi in nessuna altra parte del mondo.

Il memoriale dei morti nella guerra per l'autonomia
Le code, le monete da 3, certi negozi, le insegne, le statue inneggianti al regime, le fotografie dei meritevoli fuori delle fabbriche o dagli uffici pubblici, i fiori che le spose portavano alla tomba del milite ignoto e tantissime altre. Tutto ciò scomparve in un attimo, dopo il '91, spazzato via dal nuovo nulla che avanzando come una corrente impetuosa, voleva omologare ogni cosa e al più presto a quel mondo occidentale, tanto a lungo sognato, invidiato, temuto e desiderato allo stesso tempo. La ipersvalutazione seguita alla frammentazione dell'impero, che aveva perdutola forza della dimensione comune in cambio delle sovranità bramate, distrusse ogni cosa in pochi mesi, azzerando risparmi, stipendi e pensioni ed aumentando ancora di più il caos e l'incertezza, facendo perdere velocemente memoria di quel passato prossimo appena svanito. Come ovvio, essendo stata questa una esperienza importante della mia vita, mi ha lasciato tutta una serie di nostalgie sopite tipiche dell'anziano in disarmo, che confonde luoghi ed eventi identificandoli con la sua età perduta. Dunque ecco che all'improvviso c'è ancora esistente, questo non luogo che conserva, come freezzata in una scatola del tempo, una situazione che ormai non esiste più in nessun altro luogo del mondo; una sorta di parco a tema che racconta un passato prossimo scomparso. 

Distilleria Kvint e moneta da 5 rubli
Tiraspol ti accoglie con la sua aria demodée, i filobus che scivolano silenziosi nei vialoni che tagliano i parchi cittadini, le poche auto che transitano, molte sono ancora i vecchi modelli sovietici, le Zigulì di Togliatti, le Zaporozec della ZAZ ukrain, copia della 600, ho visto anche una Pobieda degli anni '40, come quella che aveva l'amico Valentin quando mi scarrozzava per le strade di Crimea. Qui le insegne sono tutte in russo come ovvio, essendosi il paese adagiato al 100% sulla Russia putiniana, tra l'altro sua unica sostenitrice economica. Si dice che qui l'economia traccheggi, le vecchie fabbriche sovietiche sono tutte in rovina, le centrali, che fornivano energia anche ai paesi vicini, contribuiscono, con la produzione attuale venduta all'estero, a portare qualche soldo in cassa; c'è qualche fabbrichetta tessile che sfrutta il basso costo della mano d'opera, ma ha grandi problemi ad esportare causa il mancato riconoscimento internazionale, come del resto la produzione agricola. Per la verità al di là della facciata vetero comunista, tutta l'economia è in mano al gruppo privato Sheriff, il cui presidente era, almeno fino al 2011, guarda caso, il figlio maggiore del presidente, che possiede catene di ristoranti, pompe di benzina, supermercati, televisione, distillerie e molto altro secondo la nota formazione delle fortune economiche degli oligarchi russi. 

Il visto della Transnistria e la moneta di plastica
Bisogna anche ricordare che un'intero quartiere della città è occupato dalla antica distilleria Kvint, che tra l'altro produce un eccellente brandy, dovreste assaggiare l'invecchiato 25 anni, oltre a tanti altri distillati, la cui sede centrale, credo unico caso la mondo per un edificio privato, fa bella mostra di sé sulle banconote da cinque rubli. Già, la moneta. Ovviamente la repubblica di Transnistria batte orgogliosa la propria moneta, il rublo transnistriano, di cui può ovviamente fissare il cambio a proprio piacimento, tanto appena fuori dal confine è pura carta straccia che nessuno cambierebbe neppure in dollari dello Zimbabwe. Adesso il cambio è stato fissato a qualche centesimo in più del Lei moldavo, per evidenti ragioni propagandistiche, del tipo, noi siamo sempre un po' più avanti. Sempre in tema monetario è divertente ricordare come al momento della scissione per far fronte alla necessità, si usavano le banconote moldave a cui era stata applicato una marca da bollo. Un'altra curiosità davvero unica al mondo è che la Transnistria ha coniato monete di plastica, simili ai gettoni dei giochi da tavolo, tuttora circolanti. Il palazzo del governo sorge in una bella piazzetta piena di aiuole di rose multicolori. E' stato restaurato, ma la parete ad est è stata lasciata al suo stato naturale, butterata dei colpi di mitragliatore e di mortaio, che l'hanno colpita durante l'assedio rivoluzionario, quando dopo qualche giorno, i funzionari assediati si arresero e furono accompagnati ed espulsi in Moldavia, tra il giubilo della folla russofona. 

Mercato colcosiano
Ma il nostro ritorno al passato prosegue nel vicino mercato colcosiano. Ti ricordi Gianni quando ti accompagnavo, in quelle buie mattine domenicali di gelidi gennai, respirando aria puzzolente di benzina mal combusta, a quello fuori Mosca a cercare un pollo da comprare a peso d'oro dalle mastodontiche Tatiane e Ludmille, a cui il gelo imporporava le guance e la punta del naso! Qui quasi tutto è rimasto uguale, i banchi opulenti di carni macellate, monticelli di pollastri e cosce di maiali, i sacchettini confezionati a mano di tisane di erbe del bosco, la frutta di importazione, banane, kiwi, arance vendute a peso d'oro, le montagne di barattoli di tutte le dimensioni di composte, di frutta, di cetrioli (i famigerati agurzì che non ho ancora finito di digerire adesso); i barattoli di smietana e i tanti prodotti che pensavo scomparsi nelle pieghe del tempo. Non manca nella zona articoli per la casa, la famigerata carta igienica detta La vendetta di Stalin, perché rendeva rossa in modo omogeneo la parte interessata, ma in modo equanime a tutti i cittadini. Ma la sorpresa più emozionante mi aspetta fuori del mercato. Vicino ai pali della luce che sostengono i fili del filobus, c'è un banchetto colorato con un'insegna che mi ricaccia indietro di trent'anni. Una babuska bionda appollaiata sul trespolo accanto, aspetta avventori. Dall'unico rubinetto del banco spilla una bevanda ambrata che distribuisce in piccoli bicchieri di plastica a 2,50 rubli l'uno, 10 cent di euro. Si tratta del kvas, una bevanda fermentata a bassa gradazione alcoolica, massimo 1 grado, ottenuta da pressocché qualunque prodotto vegetale, dalla linfa di betulla ai cereali più vari, frutti di bosco e anche addirittura di mollica di pane avanzato, che andava per la maggiore in tutta l'URSS. 

La bancarella del kvas di pane vecchio
Allora era distribuita in dosatori automatici di metallo, posti agli angoli delle strade, a cui era appeso con una catenella un bicchiere di uso comunitario di alluminio, d'altra parte si era o no nel mondo comunista! Costo di una dose, due monetine di tre copechi, circa 2 cent! (mi ricorda in diretta l'amico Eugenio da Mosca, che ho chiamato per confrontarmi con i suoi ricordi, che anche lì lo vendevano le donnine, a bicchiere e anche a litro a 24 copechi, mentre i dosatori davano acqua gassata a 3 copechi o con sciroppo a 5). Il suo sapore acidulo è un sentore umido e denso che stuzzica ricordi, che molcisce melanconie lontane, odori di neve bagnata e vapori che escono dalla metro e dalle griglie lungo il kalzò, allegria triste di gente che cammina veloce su marciapiedi gelati, stringendo le spalle nei cappotti lisi, con le schapke calcate sui riccioli rifatti in casa, la sera, negli spazi ristretti e litigiosi delle comunalke. Quel fermarsi per un attimo all'angolo del corso a spillare un bicchiere da bere in un colpo prima di andare al lavoro. Ebbene qui, per le strade di Tiraspol il kvas vive ancora con la sua presenza discreta, il suo essere storia di un popolo che resiste, attaccandosi disperatamente al passato, anche quando i tempi vorrebbero, disperatamente cambiare. Poco più in la ecco in vendita quei gelati alla panna burrosa nello scodellino di cialda avvolti nella carta. Non pensavo che li avrei mai più rivisti. Mi siedo su una panchina per ripigliare fiato. I miei anni perduti in un bicchiere di kvas.





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