mercoledì 15 aprile 2020

Paesi di montagna


Donne di Shibam


Il mercato del venerdì a Shibam
Incantati dalla città ce la girammo a fondo per un altro paio di giorni, poi ci dedicammo ai dintorni che non sono meno affascinanti. La campagna e le vicine montagne, conservavano una atmosfera di arcaica bellezza, senza strade nel senso da noi comunemente inteso, ma soltanto con piste che raggiungevano i villaggi vicini, isolati in mezzo ad un territorio difficile. Una terra fatta di pietra e di campetti miseri, con una vegetazione che avvertivi in lotta disperata contro la mancanza di acqua fatta di piante ritorte in perenne affanno per sopravvivere. Un'agricoltura primordiale che faticava a strappare qualche frutto, eseguita con strumenti antichi e aratri a chiodo. Poco fuori città, ad una trentina di chilometri si trova un gruppetto di paesini appollaiati sulla cresta di montagne ad oltre 2500 metri. Prendemmo un taxi collettivo ammucchiati gli uni sugli altri per arrivare fino a Shibam, un gruppo di case di pietra incuneate sul fianco della montagna dove il venerdì si svolgeva il mercato di zona. Nel paese, che credo ospitasse soltanto qualche centinaio di abitanti c'era una gran folla che si agitava tra i banchi miseri messi a terra nella via principale davanti a negozietti di fortuna. Poche cose povere, allora non girava ancora la roba cinese che poi ha invaso questi mondi minori, molti i venditori di cibarie, dolciumi, miele. Le donne coperte fino ai piedi da un lungo velo, evidentemente trasparente per consentir di vedere attraverso, ornato da grandi macchie di colore. 

Macellai
La mia attenzione era attirata soprattutto dai macellai che tagliavano grandi pezzi di carne di montone, staccando cosce e altre parti, esponendo trippe e fegati e lasciando in bella vista le teste dalle lunghe corna. Erano i primi mercati di questo tipo che vedevo e, come ovvio ne rimasi piuttosto colpito, in particolare dalla densità di mosche per decimetro quadrato. Poi uscimmo dalla città lungo un sentiero che seguiva la via della montagna, camminando per un'oretta lungo balze scoscese che si aprivano di tanto in tanto sul vuoto della valle, mostrando panorami biblici. Una stretta spaccatura nella roccia conduceva poi sempre più in alto lungo una scalinata scoscesa, fino alle mura di un altro paesino semideserto, Kaukaban. Avevamo incrociato due pastori che conducevano in senso contrario al nostro un gruppetto di capre magre e dal lungo pelo scuro. Si fermarono, in parte stupiti della nostra presenza ma subito disponibili a darci indicazioni; avevano facce cordiali, nonostante il mitra a tracolla. Davanti alla porta della città un piccolo spiazzo aperto dove nella polvere giocavano alcuni bambini che si bloccarono immediatamente alla nostra vista riparandosi nelle case adiacenti e rimanendo a fare babau dietro gli stipiti, impauriti forse, ma irrimediabilmente curiosi. Tra le case bellissime non c'era quasi nessuno, pareva un paese abbandonato, forse gli uomini assenti, nelle campagne e le donne rintanate in casa o al mercato di Shibam. 

Shibam
Qualche vecchia faceva capolino dalle piccole finestre o sugli usci malandati. Pur nella sua povetà assoluta e nella sua assenza di fronzoli, le case del paese, tutte in blocchi di pietra e senza l'uso del mattone crudo, materiale molto più plastico, che costituiva completamente l'architettura della cifra costruttiva della capitale, manteneva però lo stile classicamente yemenita della casa in verticale con gli ambienti sovrapposti e le finestrelle squadrate erano tuttavia ornate di riquadri bianchi che con la semplicità degli abitanti delle montagne voleva tuttavia richiamare la bellezza delle trine di Sana'a. Alcune mostravano una dimensione che dava ben chiara il grado di importanza delle famiglie che un tempo le abitavano. Sull'estremo limite del paese, le mura si affacciavano sulla valle mostrando dall'altra parte un altro sperone di roccia con la sua acropoli indistinguibile per il colore, lo stesso della montagna, quasi ne fosse parte integrante, ma visibile solo per le forme squadrate delle cime delle case. Era l'abitato di Thula raggiungibile con altre 6 ore di marcia. All'opposto, un altro punto distinguibile, anche se più sfumato per la distanza, orgoglioso avamposto su una guglia di roccia, Al Tawilah, per raggiungere la quale ci volevano almeno altre 12 ore su e giù per i sentieri della valle. Uno scenario di bellezza tale da mozzare il fiato. Rimanemmo a lungo a gustarcelo, contenti anche di aver faticato per raggiungerlo. Forse una delle prime scarpinate che il futuro mi avrebbe riservato, nell'ansia costante di arrivare a godere delle tante, imperdibili sfaccettature del mondo. 

Case di Kaukaban
Cominciammo a scendere verso valle con calma, dall'altro versante per raggiungere la strada principale che da Manakha va verso Sana'a. Il sentiero zigzagava attraverso balze successive, una sorta di gradoni e terrazze frutto del lavoro antico dell'uomo dove di tanto in tanto la roccia viva lasciava spazio a piccoli appezzamenti, in qualche caso, orticelli con stentate verdure, ma nella maggior parte dei casi, ricoperte di arbusti dal verde smorto e polveroso. A bordo di uno di questi seduti su un muracciolo di pietre ammonticchiate, due uomini, poco più che ragazzi, stavano seduti, appoggiati alla pietra con un cespo di rametti tra le mani. Questi erano ricoperti di piccole foglie lanceolate di un verde pallido e tenero, come germogliate da poco. Ci sedemmo vicino a loro a riposare, camminavamo da un'oretta e nonostante la quota, faceva piuttosto caldo. I ragazzi, con fare svagato, continuavano a staccare le foglioline ad una ad una, pulendole appena tra pollice ed indice e se le mettevano in bocca, masticandole a lungo come si trattasse di un chewing gum primitivo. Non sputavano mai il grumo di vegetale masticato che rimaneva in bocca fino a formare un bolo, una palla, di dimensioni considerevoli che rimaneva in loco a sformare la guancia. Ricordai allora di avere visto nei mercati, molti venditori di questi fasci di rametti, che venivano acquistati da tutti, dopo averne attentamente valutato la qualità, la freschezza e la dimensione delle foglie ed evidentemente il prezzo. 

Piantagione di qat
Si trattava del qat (Catha edulis), un arbusto di medie dimensioni, può arrivare anche a tre metri, che cresce al di sopra dei 1500 metri, in terreni poverissimi e aridi, quindi in condizioni ideali in questa terra e comune anche sugli altipiani etiopi, dove tuttavia è oggi proibita. Le foglie masticate, come quelle di coca, rilasciano una sostanza anfetaminica con effetti psicotropi e blandamente euforizzante che riduce gli stimoli della fatica e della fame e pare abbia anche effetto analgesico. Il consumo di questa pianta è così generalizzato nel paese, dove tutti la consumano in quantità, che la sua coltivazione ha sostituito, dato il suo alto costo, gran parte delle altre, eliminando quasi del tutto ad esempio quella del caffè, che vi ricordo ha qui proprio la sua origine prima. Praticamente la maggior parte del reddito giornaliero degli yemeniti veniva speso e non credo che le cose siano molto cambiate, nell'acquisto dei questi fasci di ramoscelli fronzuti, la cui masticazione costituisce praticamente l'unica attività, che inizia nel pomeriggio e prosegue fino all'ora di andare a dormire. Gli uomini (ma mi risulta anche le donne) si radunano a gruppetti a masticare, chiacchierando in giro o nel muffredge, la camera più in alto della casa. Questa droga, che alla fine di droga si tratta, condiziona pesantemente la vita sociale e l'economia del paese, ma è comunemente accettata, anche mentre si guida o altro. I due ragazzi che avevano già gli occhi piuttosto rotondi, biascicando qualcosa durante la masticazione continua, ci offrirono subito le foglie più belle e giovani che ornavano la cima dei ramoscelli. Declinammo ringraziando e scendemmo le ultime curve della pista fino a raggiungere la strada.

Finestre di Kaukaban



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