Molto interessante questa raccolta di articoli che Simenon giornalista inviava al suo giornale che lo mandava come inviato negli anni trenta in giro per il mondo a raccogliere racconti esotici che evidentemente appassionavano moltissimo i lettori di quel periodo, che ancora ricordava con nostalgia i fasti perduti della belle epoque. Gli spunti da valutare sono molti a partire dal modo in cui vengono raccontati questi luoghi lontani all'abilità del grande scrittore che traspare subito tra le righe, da cui emergono non solo le descrizioni dei luoghi, ma soprattutto le storie via via raccolte, i caratteri e il vivido tratteggio dei personaggi incontrati. Una frase in particolare mi ha colpito, che mi rappresenta una grande differenza tra i viaggiatori di allora e quelli di oggi: - Viaggiare significa sempre rimanere scottati, si distruggono le proprie illusioni... Forse potremmo dire che si viaggia per compilare l'elenco dei paesi in cui non si avrà piu voglia di mettere piede!- Io, ad esempio oggi non riuscirei a trovare nessun paese da inserire in questo elenco. Molto di più insomma del libro di viaggio di cui pure è piacevolissimo incontrare il pensiero che dominava chi, in quel tempo si muoveva per il mondo in luoghi del tutto lontanissimi e poco conosciuti e di certo così diversi da quelli di oggi anche per il modo in cui venivano affrontati. La ricerca della diversità interpretata con l'atteggiamento razziale del tempo e la fascinazione dell'esotismo che di certo molti andavano allora ricercando. Il libro però ci tratteggia anche il personaggio Simenon, raccntandoci i suoi interessi, le sue predilezioni per i candidi seni delle ragazze tahitiane, che evidentemente muovevano molto le prurigini del tempo, sull'onda dei ricordi di Gauguin e di tutti quanti lo avevano seguito in pellegrinaggio nei mari del sud, indicati al tempo come i posti piu' belli del mondo.
Evidentemente questo aspetto delle isole australi andavano al tempo per la maggiore come raccontano i film e gli scritti di quel periodo in cui molto si raccontava di paradisi perduti e di buoni selvaggi. Di quegli anni trenta e delle nuvole di guerra che si stavano spaventosamente preparando, poco traspare, quasi che nonostante l'orrore che stava per esplodere e che evidentemente covava profondo e non considerato in molti animi, quasi nessuno sembrava avvertire quanto era nell'aria. Anche questo è un monito interessante. La storia, inascoltata Cassandra, lo pone continuamente all'attenzione delle generazioni che si succedono. Il grande viaggio racconta quindi del giro del mondo che durò molti mesi con la traversata del canale di Panama e la lunga sosta in Equador e alle Galapagos inseguendo un caso di cronaca nera che appunto la fascinazione di quei luoghi lontani e sconosciuti, rendeva irresistibile ai lettori parigini. Prosegue poi per tutte le isole del Pacifico, con alcuni mesi trascorsi appunto nella Polinesia francese, isole sognate dallEuropa di allora. E poi Australia, India, Gibuti, il canale di Suez e via fino al ritorno in Europa. Certo affascina il modo di viaggiare di quasi un secolo fa, il piroscafo coi suoi tempi dilatati, il lusso in cui si crogiola l'inviato, la discesa a terra con il consueto ordine al taxista di essere portato nell'albergo migliore e la comunità di europei, fuggiaschi, dandy, ricconi, falsi nobili e avventuriere fascinose che popolavano questi lidi. La sensazione insomma di questa gente e dello stesso autore di essere i veri padroni del mondo. Traspare l'evidente disprezzo dello scrittore per gli americaniarroganti e parvenu e lo stupore che nei vari luoghi in cui si trova come paracadutato, nessuno parli francese, unica lingua che lui conosce, cosa curiosa per un inviato internazionale. Insomma imperdibile per chi anche solo aspira ad essere o diventare un viaggiatore.
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