mercoledì 23 settembre 2020

Recensione: O. Tokarczuk - I vagabondi

 


Un libro interessante per diversi aspetti, in generale perché ci leggi il nerbo della scrittrice vera che ha cose da dire e da raccontare, non per niente le è stato assegnato il Nobel, anche se questa non è una garanzia e per me in particolare, in quanto tratta in modo autobiografico, e quindi in un certo senso, reale, il tema del viaggio, argomento che mi intriga sempre. Come lo fa? In un modo che me l'ha fatta sentire molto vicina, un collage come nelle raccolte di post di un blog, in una serie di pezzi all'apparenza scollegati, nei quali si raccontano storie, raccolte per la via o semplicemente immaginate e soprattutto la vita del viaggiatore attraverso quelli che sono i non luoghi del viaggio stesso. Nella pratica non racconta quasi mai dei posti e delle cose viste. Monumenti, paesaggi, natura e manifestazioni, sono semplici accidenti che attengono alla sfera personale di chi li vede e ne gode in maniera solipsistica che è inutile in fondo condividere e in ogni pezzo, che va dalle poche righe a qualche pagina, non ravvisi quasi mai di quale città o nazione si parli, ma solo delle sensazioni che prova il vero viaggiatore, dei particolari che incontra e sui quali si può ricamare all'infinito. 

Non per niente queste sedute psicoanalitiche avvengono quasi sempre gli spazi anonimi che sono lo stato stesso del viaggio, aeroporti, stazioni, taxi e così via. Ripeto, un libro per me molto intrigante nella cui mentalità mi sono molto ritrovato; una specie di vorrei ma non riesco. Il libro può essere anche una corretta risposta a quanti ti dicono, ma perché la gente viaggia? Domanda a cui, nella maggior parte dei casi è sbagliato tentare di rispondere. Chi fa queste domande, non chiede e non vuole inutili risposte. Particolarmente gustose le parti in cui racconta dei suoi viaggi da bambina al seguito di genitori, sempre in marcia e soprattutto le temute "vacanze" sulla vecchia Skoda di famiglia, quando chiosa: - I miei non erano veri viaggiatori, perché partivano per tornare, e tornavano con un senso di sollievo e la sensazione di aver compiuto il proprio dovere.Tornavano per prendere dalla credenza una pila di lettere e di bollette e fare un grande bucato. Per annoiare a morte gli amici nel mostrare loro le foto, mentre questi sbadigliavano senza farsi notare. - Quanto spesso, purtroppo mi devo riconoscere in questo quadretto. 


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2 commenti:

OLga ha detto...

Una scrittrica che ha il mio nome!Ciao

Enrico Bo ha detto...

Beh in Polonia è un monumento nazionale a quanto mi risulta

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!