martedì 15 novembre 2022

São Tomé 16 - Punta Figo


Fave di cacao a Ponta Figo


Casse di fermentazione

 Il mattino è piacevole da queste parti, la temperatura quasi fresca e gli uccelli nel bosco cessano di cantare non appena il chiarore del cielo è dispiegato e completo. Anche se siamo nella stagione delle piogge inoltre, di mattina il cielo non è particolarmente imbronciato, ma il sole si fa largo tra le nuvole e fa risaltare i fiori. E' un piacere starsene un po' sulla terrazza del Mucumbli a guardare la linea del mare. Ogni tanto l'asinella che stazionava dietro il nostro bungalow dà un piccolo raglio benevolo per richiamare il suo piccolo che le pascola al fianco affinché non si allontani troppo. E' assolutamente delizioso e coccolone e non riesci a passargli accanto senza fare una carezza al suo pelo così morbido e fine da solleticarti la mano. Inevitabilmente la sua vicinanza ti riporta al Platero di Jimenez, forse uno dei più bei libri della letteratura spagnola. Platero es pequeño, peludo, suave, tan blando por fuera que se dirìa todo de algodon... La mamma ti getta uno sguardo con occhio buono se lo accarezzi e poi lascia cadere un ricordo di sé che comunque contribuirà all'arricchimento nutritivo del praticello. Facciamo ancora due passi nell'ampio giardino davanti alla reception mentre aspettiamo Jimbi che ha avvisato di un certo ritardo a causa di non meglio precisati problemi alla macchina. Comunque verso le dieci arriva e prendiamo subito la strada che prosegue lungo la costa dal Mucumbli, questa volta verso sud. Subito verso la montagna comincia la Roça di Ponta Figo, una delle più antiche. Risaliamo una pista verso monte che attraversa tutta la piantagione. 

Nella piantagione

La piante di cacao che circondano la pista ricoprono tutta la valle dando la sensazione di essere in un bosco piuttosto fitto, ma una certa regolarità nella disposizione dei grandi alberi di Eritrina, una fabacea che qui cresce rigogliosa di origine sudamericana, piantati artificialmente per garantire la corretta ombreggiatura alle piante produttive, rivela la natura secondaria di questa foresta verdissima. Di tanto in tanto incrociamo gruppetti di persone, uomini e donne, che vanno evidentemente al lavoro brandendo lunghi machete, lo strumento obbligatorio che tutti portano con sé quando vanno nel bosco. Il cacao è una malvacea alta normalmente più di due metri che porta i suoi grossi frutti appesi ai rami con un corto picciolo. Ogni albero ne produce alcune decine all'anno del peso di oltre mezzo chilo l'uno, per una trentina di anni a partire dal quinto dalla semina. Questi, detti cabosse, dapprima verdi, diventano a poco a poco gialli ed infine rosso prima vivo poi cupo, prima di essere staccati, senza una precisa stagionalità, man mano che vanno a maturazione. Infine il raccolto viene portato ai magazzini dove si estraggono i semi contenuti, fino a una quarantina per frutto disposti in cinque file, che sono a forma di mandorla e stanno immersi in una specie di gelatina. Nella fase successiva i semi disposti su lunghi cassoni di legno subiscono una fase di fermentazione che dura qualche giorno, durante la quale l'esterno gelatinoso viene eliminato e i semi perdono la capacità di germogliare, quindi questi devono essere seccati o al sole, con procedimento tradizionale che sembra dia una migliore qualità oppure con forni che velocizzano il processo a detrimento della qualità stessa. 

Le vecchie case degli schiavi

Naturalmente il metodo antico dà un gran lavoro e lo strato sottile di semi disposto al sole deve essere continuamente smosso e rivoltato per seccare in maniera ottimale ed inoltre per essere immediatamente coperto da teli in caso di pioggia per evitare la formazione di muffe. Quindi i semi vengono torrefatti un po' come quelli di caffè, a temperatura più bassa, sui 100°C se si vuole produrre cioccolato o fino ai 120°C per avere il cacao in polvere. In questo modo avviene anche la decorticazione ed infine il prodotto viene tritato e ridotto in polvere se viene separato il grasso (burro di cacao) o in pasta. Questa, grosso modo, è la lavorazione di questo straordinario prodotto detto anche il cibo degli dei, che oltre ad essere buonissimo per noi che ne siamo dipendenti, è anche ricco di sostanze come la teobromina e la caffeina, alcaloidi euforizzanti, tanto per capirci e ho detto tutto. Intanto che ragioniamo sulla pianta si arriva alla Roça propriamente detta, che ai tempi d'oro occupava oltre 2000 persone. Oggi anche questa è stata trasformata in cooperativa dopo che il governo l'ha suddivisa in lotti da 3 ha a famiglia. Le costruzioni della Roça sono ancora quelle impiantate dai portoghesi che presentano un aspetto quanto mai fatiscente, soprattutto quelle destinate all'ufficio centrale, e l'ospedale oggi trasformato in scuola. Le case che un tempo ospitavano i lavoratori, sono le stesse  baracche di legno di un tempo, fatte sulla misura di una trentina di metri quadri a famiglia e formano il paesotto che oggi è al centro della piantagione, con la sua via principale e qualche spazio più largo dove tra fango e sassi, sguazzano maiali e galline. Dietro adesso c'è anche qualche orto familiare. Tuttavia la vita quassù è davvero misera e disagevole, senza servizi, acqua corrente e bagni, la condizione non è molto dissimile a quella degli schiavi di inizio '800. 

Il vecchio porto

Solamente la presenza della scuola riesce a fornire una speranza di affrancamento a quanti vivono ancora in questa sorta di limbo dove la vita non deve essere facile e le condizioni sanitarie precarie, anche se è presente una specie di dispensario dove vengono prestate di tanto in tanto cure basilari. Più dietro, vedi le lunghe costruzioni con i banchi di fermentazione, che qui fanno in sei giorni e quelle di essiccazione al sole per nove giorni. Adesso comincia la stagione più difficile ed è tutto un tirare teli non appena comincia a gocciolare dal cielo e i banchi sono completamente protetti da una struttura che li rende simile a serre. Tuttavia bisogna constatare che questa, come le altre piantagioni sparse sulle due isole, è una tra le pochissime attività produttive dello stato e al momento non si riesce ad andare al di là di questo, tranne i pochissimi addetti che ruotano attorno alla nascente attività turistica. Riscendiamo verso il mare fino ad una lunga spiaggia di granulato nero, che la lava discesa dal vulcano ha formato tra rocce cupe ed aspre. A lato le costruzioni dell'antico porticciolo con i magazzini oggi in rovina, dove il cacao prodotto prendeva la via dell'Europa. Indovini ancora a terra i binari della piccola ferrovia che portava fin qui i vagoncini carichi di prodotto. Un gruppetto di ragazzini gioca tra i muri disfatti, facendo correre vecchi copertoni di biciclette su tappeti di foglie marcescenti. Forse il loro turno scolastico è quello del pomeriggio oppure è più probabile che non ci vadano affatto. Qualcuno, sotto un grande albero cerca grosse bacche verdi che poi rompe alla ricerca di una mandorla allungata e secca da sgranocchiare. La natura qui fornisce sempre un qualche tipo di cibo, dovunque vedi palme da cocco, banani, alberi del pane, jackfruit, sembra che basti allungare una mano. Ma non c'è altro, i sorrisi dei ragazzini sono allegri, le loro grida di gioia simili a tanti altri nel mondo, ma gli sguardi rimangono un po' vuoti e spenti quando restano seduti a rompere noci per ingannare il tempo. 


Le abitazioni 


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