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Alejandro |
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Carrettini |
Appena prima di Lagoã Azul, c'è un promontorio che si alza sulla costa, un ombra scura sul mare quando il giorno sta quasi per finire. Da Guadalupe c'è un bivio ben riconoscibile e prendiamo la strada che lo raggiunge, più o meno un chilometro di asfalto posticcio che sfila diritto tra bosco e campicelli coltivati fino ad un piccolo agglomerato di baracche di legno su palafitte, il villaggio di pescatori di Morro Peixe. Girando a destra, non appena cominciano le case, la pista prosegue poi volendo, fino a raggiungere diverse spiaggette laterali inclusa la più grande e nota, Praia Tamarindos, semideserta e circondata dal bosco. Nel paesetto invece le baracche arrivano sino a costeggiare una luna di sabbia giallo scuro delimitata da rocce nere. Sulla riva, ben al riparo, sul limitare degli alberi una lunga serie di piccole barche segnalano che questo è un paese di pescatori, attività unica, ma che garantisce cibo sicuro alla piccola comunità, fornendone anche buona quantità per i mercati sulla strada principale. Alla sera la spiaggia è piuttosto popolata e pulsa di vita. E' il momento in cui, quasi finita la giornata, molti scelgono di andare a buttarsi in acqua un po' per mitigare il caldo di un pomeriggio di sole, un po' perché le attività stanno per finire e ci si prende una pausa prima che arrivi il buio. Gruppi di ragazzini si buttano in acqua schiamazzando, alcuni completamente nudi, sguazzano e gridano, altri sulla riva si rincorrono, compaiono anche i carrettini di legno per i quali l'isola è famosa, qualcuno con con un lungo manico per guidarli come fosse un monopattino, altri con l'asse anteriore largo da manovrare coi piedi, come quelli con i quali anche da noi da piccoli ci buttavamo arditamente giù dalle stradine in discesa.
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Sheila |
Le donne scendono verso l'acqua con grandi contenitori in equilibrio sulla testa, montagne di pentole e pentolini, da pulire, da riordinare. E' un modo di camminare molto particolare, il corpo si muove con un suo ritmo che fa ruotare le anche muovendo le gambe senza deviare dalla direzione, mentre la parte superiore del tronco e soprattutto la testa rimane come immobile, sempre alla stessa altezza per non turbare l'equilibrio del carico, nella maggior parte dei casi, neppure assicurato dalla mano, le spalle ondulando attorno al perno del collo, contribuiscono a questa sorta di giroscopio che ritrova naturalmente il suo perfetto funzionamento, allenato di certo fin dalla più tenera età a questa bisogna. Sheila porta un gran carico di masserizie dentro una rossa bacinellona di plastica con su scritto il suo nome e gira la testa curiosa verso gli estranei di questa spiaggia, l'unico elemento anomalo presente, proseguendo poi il suo cammino verso la fontana in fondo alle case. Un gruppo di ragazze con vestiti che si possono definire come eleganti, forse della domenica, arrivate dalla città, magari dalla messa o da qualche altra cerimonia, giungono anche loro, fin sulla riva ed entrano decisamente nell'acqua alzando i volant del tubino nero l'una, le balze della gonna bianca l'altra, l'altra ancora il vestito a colori violenti forse ricavato da una capulana di quelle che il il mercato fa arrivare dal continente. Alla fine il richiamo dell'acqua deve essere troppo forte, le ragazze si tolgono il vestito per non rovinarlo e rimaste in costume da bagno si buttano nell'acqua bagnando le lunghe ed elaborate acconciature di treccine.
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In riva al mare |
Tutti sembrano divertirsi un mondo, mentre tra le barche in secca sulla riva un gruppo di gente si affolla attorno a quelle appena arrivate. Mi avvicino curioso e subito mi fanno spazio per farmi vedere come, sul fondo della barca guizzino, ancora vivi, decine di grossi pesci, tonnetti, aguglie, rossetti, lampughe o almeno simili a questi da me conosciuti. Una grossa cernia, almeno una decina di chili occupa tutta l'estremità dell'imbarcazione. Intanto il barcaiolo, distribuisce il pescato secondo criteri a lui evidentemente noti e giusti, a quanti si accalcano intorno. Ognuno porge un secchio o un altro contenitore e lui vi depone qualche pesce. Il beneficiario se ne va poi, portando a casa quanto ricevuto. Nessuno paga, la sensazione è che sia una sorta di pesca comunitaria che va ad appannaggio di tutti gli abitanti del paese, secondo i vari bisogni, mentre la rimanenza poi, prenderà la via del mercato. Per lo meno così mi sembra di aver capito dallo scambio di parole con Alejandro il pescatore, anche se il suo creolo portoghese-angolano non è chiarissimo, ma chi vuole intendere comunque si fa un suo proprio film come se lo è immaginato e poi lo racconta. Lui ridendo si sposta dietro la visiera del suo berretto mimetico e mi mostra un bambinetto, forse suo figlio che ride come un matto, probabilmente al vedere quelle facce pallide e mi mostra il mare, dove probabilmente è stato tutto il giorno a compiere il proprio destino quotidiano. Quali saranno i sogni di Alejandro, mentre butta esche o tira su il filo dei bolentini lanciati in acqua con grandi esche colorate? Di certo mentre pagaia per aggiustare la direzione della sua piroga secondo la linea delle onde, avrà molto tempo per pensare, forse soltanto coltivando la speranza di acchiappare qualche pesce più grande del solito o magari per prevedere un futuro differente per suo figlio che va a scuola a Guadalupe.
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Piroghe |
Magari un domani, andrà alla superiori nella capitale e sarà maestro o dottore oppure sognerà di andarsene dall'isola, forse addirittura in Gabon dove ci sono città ricche di colori e di merci. Oppure Alejandro, quando è in mare, si fa solamente cullare dalle onde guardando la foresta verde scuro che scende fin sulla riva dove lui approderà tra un poco vicino al grande albero di jackfruit dalla polpa succosa e dolce. Non ho voluto chiederglielo, anche perché forse sarebbe stato difficile spiegarmi e e non solo per un problema di lingua. Ci sono ancora due o tre barchini che stanno arrivando a riva, sono davvero minuscoli e l'uomo a bordo di ciascuno di essi pagaia con una certa forza per spingere lo scafo verso la riva. Queste piroghe sono davvero interessanti, ricavate da un solo albero e quindi senza giunzione alcuna, hanno la dimensione dettata appunto dalla grandezza del tronco utilizzato che viene prima sbozzato dopo l'abbattimento e quindi scavato a colpi di ascia fino a dargli la forma affusolata con la prora tagliente adatta a fendere le onde. Poco più in là sulla riva ce n'è una in in via di finitura dalle dimensione gigantesche; potranno prendervi posto di certo almeno una ventina di uomini. Le fiancate sono ancora sbozzate e noti le unghiate che l'ascia ha lasciato per cavare via il legno in eccesso. Doveva essere di certo un albero colossale, abbattuto specificamente per questa bisogna. Naturalmente questo rappresenta un altro problema, di nessuna importanza quando i pescatori erano pochi al confronto parametrati alle dimensioni della foresta, ma che diventa una devastazione irrecuperabile quando la specie umana si moltiplica e la dimensione del territorio non riesce più naturalmente a tamponarne l'impatto.
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Il Museu do mar |
Come sempre è una questione di numero, la nostra è una specie invasiva che consuma il territorio che abita per poter sopravvivere ed è difficile imporre freni ai suoi bisogni. Attualmente mi dicono che c'è un progetto finanziato da organizzazioni internazionali per abituare gli abitanti alla costruzione di barche di resina, di certo meno distruttive rispetto all'ambiente forestale. Tuttavia poi ci sarà il problema trattandosi di plastiche a loro volta poco rispettose dell'ambiente, mentre il legno si consumerebbe naturalmente. Inoltre l'albero necessario si trova gratuitamente nella foresta, almeno così è stato fino a ieri, mentre una imbarcazione di tal fatta avrà un suo costo da affrontare, una gestione economica da controllare, gente che ci guadagna e che a sua volta ci campa. Insomma non ci sono ricette facili per tutti i problemi e ogni cosa dovrebbe essere sempre valutata nella sua intera complessità. Solo gli sciocchi hanno in tasca le verità certe e spesso le impongono se ne hanno l'opportunità. Intanto l'ombra della sera scende anche su Morro Peixe. La gente indugia ancora sulla riva del mare prima di rientrare nelle baracche. In una, defilata ai bordi dell'abitato compaiono dei boccioni di liquido bianco, vino di palma certamente, per rallegrare la serata. Attorno, qualcuno già si affolla, sedendosi su improvvisati sgabelli, noi risaliamo la strada passando vicino ad un baraccotto che reca l'insegna di Museu do mar, con le assi dei muri colorate di disegni naif, chiuso purtroppo, capirà è domenica. Un'ultima foto dall'alto ai baobab della laguna lontana. Il mare sembra piatto dall'alto della strada e se ci sono delfini che saltano tra le onde, non si vedono più, visto che è quasi buio. Il cortile circondato di fiori del Mucumbli ci riaccoglie mentre è ormai quasi notte. Il rosso scuro delle nubi basse tra gli alberi rischiara ancora la via per ritrovare il nostro bungalow, da destra arriva un sentore delicato e accattivante di polpo alla griglia. Dopo la doccia non sarò difficile trovare la strada.
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Barchini |
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