São Tomé - Lagoa azul |
Esci dalla strada su uno sterrato in discesa molto malandato e sei subito in mezzo a una sorta di giganteschi baobab che ti circondano, come banditi all'assalto del viandante solitario. Il baobab è un albero grasso, teoricamente in contrasto con il concetto di Africa, eppure è proprio l'albero per antonomasia di questo continente, quello che la rappresenta. La sua forma è strana, il tronco enorme, ipertrofico e rigonfio, come se si fosse appena rimpinzato di acqua per farne scorta, come se sapesse che prima o poi verrà a mancare, che ci sarà carestia, che non ci sarà pietà per chi non è stato previdente, i rami dall'apparenza rinsecchita e quasi senza foglie, si dice che gli dei lo abbiano scagliato sulla terra e sia caduto al contrario, con le radici per aria, la corteccia traslucida, il legno troppo tenero che alla fin fine non serve a nulla, se non alla bellezza dell'esistente. Per un continente che apparentemente per lo meno, non bada al pratico, ma sembra adagiarsi sull'esistente e sulla ricerca della serenità di vita piuttosto che sull'assillo della conquista del superfluo, al massimo dell'assicurarsi almeno il necessario, il minimo vitale per poter sopravvivere, è l'albero giusto, capace di crescere vigoroso, anche in ambienti poveri, apparentemente difficili, brutalmente privi di risorse. Eppure è lì pronto a diventare gigantesco e presente. Io ci sono e sono fiero di stare qui. Il piccolo promontorio a cui si accede alla fine della pista piena di sassi spigolosi ed arcigni, circonda una baia dalla spiaggia cosparsa di grandi pietre tondeggianti. Puoi salire sul promontorio che la delimita e sotto si impone subito, se hai la fortuna di essere accompagnato da un raggio di sole, il turchese cristallino dell'acqua che ti spiega immediatamente la ragione del nome: Lagoa azul.
Dall'alto del piccolo faro che delimita la scarpata, scorgi subito l'allungarsi delle scogliere ai lati che la rinchiudono e proteggono dalla violenza dell'oceano e che ne fanno, almeno si dice, un paradiso per le immersioni. Pare che se stai quassù per un po', guardando lontano, senza fretta, al largo passino balene ed altri cetacei, in rotta verso sud; grandi code che scodinzolano in alto come cagnoni da riporto per inabissarsi verso le profondità di un mare sconfinato, naturalmente nella stagione giusta, ma alla fine non è quasi mai la stagione giusta e di balene non se ne vedono e neppure di orche o delfini. Ma se invece guardi sotto, al momento non c'è nessuno, salvo due pescatori che stanno portando in acqua le loro minuscole barchette scavate da un singolo tronco. Noi, seduti su una grande roccia quadrata, quasi un sedile perfetto, ci mangiamo le banane che ho comprato poco prima da una signora lungo la strada. Sono quelle piccoline, dal gusto fresco e profumato, che qui chiamano banana manzana, e se chiudi gli occhi, in effetti lo senti quel sapore finale leggermente acidulo che la fa somigliare alla mela. Loro invece, spinti quei piccoli e macilenti scafi verso l'onda, andranno poco al largo a gettare i loro ami, insidie mortali necessarie a procurare un pasto per la sera e magari un minuscolo reddito che arriverà dal mercato di Guadalupe, il borgo che dista quattro chilometri circa da qui. Sulla spiaggia, calpesti una sabbia ruvida e spessa, con una grana grossa e ambrata che carezza i piedi e si allunga in acqua, più ricca e meno pietrosa, responsabile di certo del colore ammaliante, che tuttavia, non appena il sole scompare dietro le nubi che si fanno via via più spesse, vira al grigio, ma lentamente, come volesse lasciarti a lungo il dispiacere per quella perdita di valore.
Il luogo è bello, reso ancora più intrigante da quella solitudine che l'occidentale cerca ormai come un valore assoluto, che invece spesso i nativi rifuggono, ma che probabilmente presto, non appena avremo completato la loro assimilazione culturale, ricercheranno anch'essi come elemento distintivo, dopo averla perduta. Bisogna dire, ma credo avrò occasione di parlarne successivamente, che ormai anche nei luoghi più remoti si sta facendo strada il leit motif dell'occidente riguardante il valore della difesa della naturalità, dell'attenzione all'ambiente, della preservazione di tutto quanto invece, il nostro sviluppo ha nel tempo distrutto allegramente, mentre adesso tenta di convincere, chi ancora ne ha a disposizione, di non farlo, in modo di poterne disporre, collettivizzando il beneficio e lasciando ai legittimi proprietari, l'onere della riduzione dello sviluppo, colpevolizzandoli se non lo fanno o non ci pensano, magari sviati dal fatto che devono farsi tre o quattro chilometri per andare a prendere una tanica di acqua sporca per fare una zuppa, per lavarsi la faccia invece c'è il torrente vicino. Insomma il grasso europeo che ha ricoperto di asfalto e di cemento ogni centimetro della sua terra e abbattuto ogni albero a sua disposizione, guida due auto a testa e divora il doppio delle calorie che gli sono necessarie, dovendone poi smaltire almeno una parte sudando in palestra, fa la lezione all'indigeno bacchettandolo se si permette di tentare di produrre qualcosa di edibile sulla sua terra, cercando di mettere nel suo piatto il minimo che gli serve per sopravvivere.
Guai se si permette di cercare di coltivare qualche cosa per cercare di migliorare le sue condizioni, intanto non si può più accusarlo di non aver voglia di fare niente e di non avere iniziativa, meglio convincerlo che la strada giusta è quella del biologico, che produce la metà e chi organizza può vendere in Occidente a caro prezzo, con la stessa filosofia dell'economia di piantagione dei colonnizzatori sei secoli passati. Se poi tutto va in malora come è successo in Sri Lanka che ha rovinato la sua economia per seguire dottrine olistiche sponsorizzate da santoni che su questo ci campano e bene, non importa. Certo io che ho divorato tutto il possibile e seduto su una poltrona imbottita, grasso e diabetico, ti spiego che adesso devi risparmiare, non toccare la foresta, il cui ossigeno serve a tutto il mondo e a me in particolare. Ovviamente il concetto di base è giusto, ma il fine, peloso e bene incartato in una bella confezione greenwashed, a mio parere naturalmente, un po' meno. Comunque in generale mi sembra che li abbiamo abbastanza convinti e lo stiamo facendo con sempre maggiore efficacia, almeno dal punto di vista teorico. Ed ecco che al bordo della spiaggetta deserta ci sono contenitori per gettare la spazzatura, ma pieni zeppi, dato che probabilmente nessuno la ritira e alla fine della pista una palina riporta su un bel cartello nei tre colori della bandiera nazionale, una frase iconica del nuovo corso mondiale: Não tire nada alé de fotos, não deixe nada além de pegadas, não leve nada além de saudade. Non penso che serva la traduzione. Bello eh, anche se un po' retorico e melenso, ma noi anziani siamo accidiosi e ci dà fastidio l'entusiasmo del giovane, di cui, alla fine, invidiamo soprattutto l'età. I pescatori rientrano, sul fondo della barca, qualche aguglia, due tonnetti e qualche pesce dalle scaglie rossicce, la giornata è fatta. Ritorniamo alla macchina senza aver fatto il bagno, sarà per un'altra volta, qui sembra che voglia mettersi a piovere.
SURVIVAL KIT
Lagoa azul - Bella baia con spiaggia rocciosa e di sabbia color ocra dalle acque tranquille e dai colori turchesi e blu che le danno il nome. E' nel punto più a nord dell'isola più o meno a metà strada tra la capitale e Neves. Dato che non è segnalata, percorrete la strada lungo il mare da Neves, dopo 10 km (4 prima di Guadalupe), trovate alla sinistra della strada, una pista malandata in discesa che sembra tornare indietro verso un gruppo di baobab e finisce sulla spiaggia dopo qualche centinaio di metri. Se la saltate, considerate che dopo circa 500 metri la strada abbandona il mare e ripiega definitivamente verso l'interno. Il luogo è riconoscibile anche da un promontorio sormontato da un piccolo faro. Si può fare il bagno, ma portatevi cibo e acqua perché non ci sono servizi. Si dice sia un paradiso per lo snorkeling dato che al largo la costa affonda in una sorta di barriera ricchissima di pesci di ogni colore. da Neves ci sono barche che organizzano avvistamenti di cetacei al largo di presto promontorio. Comunque rispetto alle altre spiagge che vedremo, un po' sopravvalutata.
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