São Tomé - Al mercato - Foto T. Sofi |
Dalla laguna alla capitale non restano che una ventina di chilometri di una strada in cui il traffico si infittisce, come è naturale che sia, zigzagando tra piccoli insediamenti e attività varie. Ogni tanto si nota il tentativo di dare una riassestata al manto stradale disastrato, ma il risultato rimane solo quello di un gran polverone che i mezzi pesanti sollevano al passaggio tra monticelli di terra e gruppi di uomini in attesa di cominciare a lavorare. In un'area apparentemente più ordinata delle altre, spicca una bella villetta che appare come quasi nuova. Gilberto ci conferma che è la residenza del ministro dell'economia e strizza l'occhio indicando le due Toyota nuove di zecca che fanno bella mostra di sé nel cortile antistante. Capirà, ci spiega, tutte le ville di nuova costruzione che si vedono in giro sono appannaggio esclusivo di politici, anzi a dir la verità quella è dell'ex-ministro, perché nelle elezioni di un mesetto fa, il suo partito ha perso le elezioni e quindi il governo che sta per insediarsi con il nuovo presidente, avrà nuovi ministri e quindi si possono prevedere, nuove villette da qualche parte nella periferia cittadina. Sembra insomma che populisticamente, ci sia poca fiducia in generale della onestà dei politici di qualunque partito siano. Anzi, nuovi politici, nuovi appetiti da soddisfare. D'altra parte consideriamo che questo piccolo stato sopravvive grazie ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale, che ha già abbuonato negli scorsi anni 200 milioni di dollari, nella logica della cancellazione del debito dei paesi ultrapoveri (qui siamo attorno al 152° gradino nella scala della povertà mondiale, quasi agli ultimi posti insomma) e agli aiuti di progetti di cooperazione europea, oltre che al lavoro di Onlus e realtà religiose di ogni credo, che piantano bandierine ovunque in Africa, terra assai fertile, soprattutto per sette varie di ogni tipo.
Insomma la critica più diffusa tra la gente comune è che i soldi, magari pochi, arrivano, per dare inizio a progetti basici di vario tipo, come risanamento della rete stradale, una fabbrichetta di sapone, lo sfruttamento della produzione di olio di cocco o di altri prodotti agricoli locali, ma poi appena iniziati i lavori, tutto si ferma, i soldi magicamente sono finiti e del progetto rimane qualche fondamenta di cemento che in qualche settimana comincia a coprirsi di muffa nera, mentre di tangibile rimane solo qualche bella auto giapponese nuova arrivata dal continente. Mentre si ragiona di queste cose, traversiamo la periferia della città, dove vive quasi la metà della popolazione dello stato. Il centro è costituito da un paio di quartieri dalle vie squadrate costruiti dai portoghesi e alle quali non è stata fatto più alcun tipo di manutenzione dal momento della liberazione in poi. Così tutto ha un'aria di trasandata rovina, tra le cui macerie ci si adatta, con tutte quelle attività che consentono ad una città di sopravvivere. Pochissime le case nuove o di recente costruzione; tra queste spicca il Centro Commerciale che al piano terra ospita il pomposo Supermercato Continental, dove trovi qualche prodotto di importazione a prezzi europei, sulla piazza davanti alla zona del mercato. Pochi passi e sei subito sul lunghissimo viale che costeggia la Baia Ana Chavez, dove sono ormeggiate al largo alcune carrette del mare, piuttosto male in arnese. Anzi guardandole meglio, qualcuna è probabilmente e definitivamente arenata e finisce di arrugginire del tutto, comodamente adagiata su un fianco. Anche sulla balconata della passeggiata, ci sono un paio di relitti abbandonati, i parapetti in alcuni tratti cadenti o a pezzi sono scivolati sulla spiaggia sottostante; nel marciapiede stesso, di tanto in tanto si apre una voragine provocata o dal lavorio delle radici degli alberi del viale o all'incessante movimento delle onde.
C'è anche qualche panchina in cemento, o meglio i loro resti sparsi in maniera disordinata. Il senso generale è di un decadimento inarrestabile di una civiltà estranea che un tempo ha cercato di impiantarsi in un territorio e che, non appena è stata costretta ad andarsene, non ha lasciato nulla di concreto se non manufatti destinati a consumarsi in tempi più o meno lunghi, perché non capìti o comunque incongrui a quella terra. Avverti il senso del degrado inevitabile di una cultura diversa e poco compatibile, forse inadattabile in quel posto. Di contro ecco la vitalità del mondo africano che fiorisce disordinatamente sui ruderi, con suoni, forme e colori diversi. Sempre la vita riesce comunque ad avere la prevalenza sulla morte e l'adattabilità della nostra specie è capace di farla allignare in qualunque ambiente, per inospitale che sia, a cominciare dai ghiacci dell'Artico, figuriamoci in queste terre dove se pianti un dito per terra ci crescono subito le foglie. Certo è un brodo di coltura per germi e malanni di ogni tipo, ma la specie diventa comunque ancora più adattabile, si rafforza e quelli che sopravvivono aumentano a dismisura il numero dei nuovi nati a compensare i caduti e tutto va avanti, pervicacemente, inarrestabilmente. Qui nel centro è tutto un dispiegarsi di bancarelle, di mercatini improvvisati, di gente che si muove, con le masserizie più varie in equilibrio in testa, e mezzi di ogni tipo che provvedono a spostare in qualche modo tutta questa massa di gente in movimento, pulmini rappezzati, auto che hanno vissuto diverse vite precedenti e ricostruite con ricambi di demolizione, motocarri e carretti, schiere di mototaxi in attesa di clienti e schiere vaganti di bambini e di donne indaffarate nel piccolo commercio.
Insomma tutta la prorompente vitalità di una qualunque città africana, priva di elementi distintivi, che non sia la lingua delle insegne. Ci fermiamo sul lungomare, sulla giunzione della via che va verso l'aeroporto. Qui c'è una serie di banchetti di pesce e di frutta, con una grandissima varietà. Ci trovi quasi tutte le specie che crescono nell'isola, oltre agli ortaggi, dalle rape, ai pomodori, patate dolci, ignami e molte radici ignote, ecco un banco pieno di jackfruit puzzolenti, un altro con piccoli manghi, ma non siamo ancora in stagione e cajamanghe, dal sapore acidulo, ma dal succo delizioso e rinfrescante. Non mancano le stellate carambole ed enormi maracuje, il frutto della passione dal profumo intensissimo. Ananas pochi, che qui si chiama abacaxi e le deliziose papaye che nella versione tondeggiante vengono dette mamão. Ci sono anche delle anone enormi, che qui chiamano sapi sapi e infine una grande varietà di banane, dalle piccoline tipo "manzana", ai grandi "platanos" verdi, ad altre varietà simili a quelle che arrivano da noi; ma finalmente, confinate nell'angolo degli intenditori o quantomeno dei ricchi, le straordinarie banane rosse, grasse, grosse e gustosissime, da noi introvabili, che a mio parere sono le regine assolute tra questi frutti, qui definite come Ouro amarelo, per il colore giallo oro della pasta. Ne compro ovviamente subito una manita di una decina di pezzi per i momenti di carestia. La signora me ne dà una in più come bom preço, ma è poco disposta a trattare. D'altra parte io mi diverto moltissimo a discutere in questa specie di portugnol/italianizzato condito dai gesti di mano, con cui ci si capisce benissimo e la gente non si fa pregare a intavolare chiacchierate. L'atmosfera di questi mercati, con il loro vociare e la confusione della gente che guarda, sceglie, tratta e compra, mi affascina sempre. Ci sarà modo di venirci poi specificatamente alla ricerca di qualche immagine più colorata, adesso bisogna andare, che la nostra meta di oggi è penetrare la montagna, salire più in alto lasciando la confusione cittadina per cercare i boschi e la vegetazione selvatica e spessa che poi è anche la caratteristica di questa isola. Intanto il cielo diventa sempre più bigio, mentre prendiamo la strada per Trinidade, nuvole nere si addensano sopra di noi e comincia a gocciolare.
Sulla passeggiata |
SURVIVAL KIT
São Tomé city - La città ha circa 80.000 abitanti sparsi nella zona nordest dell'isola vicinissima all'aeroporto ed è costituita da un centro coloniale a pianta squadrata di antiche abitazioni fatiscenti e poi di una larga periferia, in massima parte di case di legno di nuova costruzione. Non ci sono pericoli apparenti essendo la popolazione piuttosto tranquilla, ma utilizzate le normali cautele del caso. Nel centro pieno, attorno al mercato e al Supermercado, trovate tutte le possibilità per spostarsi con mezzi collettivi o mototaxi. Qui è pieno di cambisti di strada che vi interpelleranno al passaggio. In ogni caso la città si gira agevolmente a piedi. Se ci passate con una macchina, l'autista provvederà ad indicarvi gli edifici principali, quelli del presidente della repubblica, del governo e dei vari ministeri oltre a quelli delle poche ambasciate presenti. Passeggiando, le cose da vedere sono, vicino alla Praça de Indipendencia, la Cattedrale, la Chiesa de Conceição (di fianco al centro commerciale), il mercato coloratissimo, il vecchio coperto è in ristrutturazione e al momento è ospitato in un'altra costruzione vicina alla piazza. Fate poi una passeggiata sul lungomare dove si respira la vera aria di decadenza della città che ha comunque un suo fascino perverso, lungo la quale ci sono anche i locali del Cacao di Diego Vaz e quelli di Claudio Corallo con annessa fabbrica di cioccolata, dove potrete assaggiarne una tazza o acquistarne una tavoletta, ricordando che 100 gr costano poco meno di una settimana di lavoro di un operaio. All'estremità a est della passeggiata subito dopo il porto container, c'è il forte portoghese con il Museu Nacional che merita una visita. Ingresso 100 Dobra. Una giornata può bastare se avete fretta.
Banane rosse |
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