mercoledì 31 ottobre 2012

Cimiteri.

Piccole strade di campagna che corrono incerte tra colline basse. Verdi rilievi che la bruma densa dell'incipiente novembre, ingrigisce un poco, attutendo i colori, che pur vorrebbero essere più vivi e carichi. Il giallo e rosso delle foglie si sfuma in questo preludio di tardo autunno, confondendosi in una pacatezza attutita priva di rumore ed eccesso. Le prime brine già piegano il grano appena spuntato, nelle semine ottobrine. Chissà come, sono sempre queste le strade che portano ai cimiteri di campagna, tutte uguali nella loro variabilità casuale. E' il tempo ormai; un appuntamento che affronti contrastato, triste ma allo stesso tempo carico del calore del ricordo che cancella l'affanno delle perdite più recenti, quello che ti fa sereno se pur malinconico, come la terra che ti circonda e ti accompagna. Ad ogni curva, che ripercorri ben poche volte ogni anno, ecco qualcosa che ti porta ad un frammento lontano. Qui forse c'era un quadratino di vigna del nonno dove si arrivava solo col carretto che un vecchio cavallo tirava affannato lungo la salita terrosa e piena di pietre, l'unico rimasto dall'attività di cavallante trasportatore del prozio. Forse ero stato portato anch'io quaggiù, ma tanto piccolo da non poterlo ricordare. Forse ero stato messo vicino al tronco di quel grande olmo, mentre i miei aiutavano la vendemmia di quei pochi grappoli. 

Poco più in là, una leggera erta che ti porta a scollinare dall'altra parte della valle, solo un piccolo valico che pareva così duro e impossibile da percorrere con la bicicletta da ragazzino, anche se facevo forza sui pedali senza la speranza di poter percorrere in sella quegli ultimi metri. E tutte quelle vecchie lapidi in fila, antiche, quella dei nonni così in alto che appena appena le vedi; forse costavano meno quei posti scomodi, ma erano così vicini al cielo. Nei paesini di collina i cimiteri sono in discesa e quando giri tra le tombe vedi tutta la valle di fronte. Un senso di aria e di libertà incongruo, perché se vieni qui, non te ne puoi più andare. La strada continua rapida. Eccone un altro. Ma questo in una cittadina, più grande e ricca. Qui vedi più conclamato lo status sociale anche nell'ultima dimora. I fiori più grandi e più esibiti, un senso di maggiore fretta. Non c'è molto tempo per fermarsi ad osservare. Guarda quella ragazza, così giovane, che bella fotografia, uno sguardo sognate ma già triste e consapevole. Lì in basso il mio zio, con l'antica lapide consumata dove forse mia nonna aveva imposto che fosse scritto "reduce dalla Germania e mancato dopo pochi mesi a venti anni". Ci leggi tutto lo strazio di quella perdita insanabile che la piegò precocemente e poco più in là il nonno che pagò questo dolore l'anno successivo. Fuori, quel piccolo banco che vende come allora i torroni, bianchi e dolcissimi ma con la mandorla amara.



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martedì 30 ottobre 2012

Gōng

Il carattere in esame è molto semplice ed estremamente comune nella lingua cinese, sia usato da solo, che nelle moderne parole plurisillabe, sia all'interno di ideogrammi più complessi. Sarà forse perché come in tutte le culture di questo concetto ci si riempie continuamente la bocca, osannandolo purché a farlo siano gli altri. Gōng - 工,  infatti significa Lavoro, tre semplici tratti che simboleggiano l'antica squadra del carpentiere usata nelle costruzioni per ottenere l'angolo retto e così tutte le forme geometriche. Per la verità dalla antica grafia un po' più complessa che prevedeva anche tre trattini a fianco dell'asta centrale a guisa di mano, potrebbe anche rappresentare uno strumento agricolo usato per pestare e rassodare il terreno smosso, operazione faticosa che ben rappresenta la durezza del lavoro. Va da sé che un omino vicino al nostro segno (persona che lavora) 工人 - gōng rèn, non può che significare Operaio. Ma 工艺 - gōng yì, con il carattere di abilità, arte, destrezza, (a sua volta costituito dai due simboli di Erba e Falcetto, perché ci vuole Arte e abilità anche nel lavoro dei campi), vuol dire Artigianato, dove il lavoro deve essere accompagnato da una notevole abilità tecnica. Invece 工会 - gōng huì, con l'unione del segno che vuol dire Saper fare, ma anche riunirsi, associarsi, significa Sindacato. Interessante è l'unione del vocabolo Marea (corrente, movimento, anche sociale per estensione) all'interno del quale si vedono ovviamente i simboli di Acqua e Luna (潮 - cháo) con Lavoro, per dare 工潮 - gōng cháo, una marea di persone che vanno e vengono come la marea per questioni di lavoro, quindi Sciopero, interessante no?

E che dite di 工夫 - gōng fu, dove Fu sta per compagno, dunque il compagno del lavoro? Ma vuol dire Tempo libero, perché non bisogna mai dimenticare l'importanza del godere del riposo se si vuole poter lavorare bene! Ma il nostro carattere è anche molto comune, usato come radice all'interno di altri. Ad esempio  功 - gōng, dove assieme al lavoro si unisce il segno di Forza, significa Merito, Onore, Buon risultato, in quanto chi mette tutto il suo impegno nel lavoro che svolge compie già di per se stesso un opera meritoria. Se sotto il Lavoro mettiamo il segno di Conchiglia che era la moneta usata nell'antichità e che continua a simboleggiare il denaro, abbiamo 贡 - gòng, Tassa, Tributo, in cui il Lavoro è davvero sovrapposto all'altro segno quasi come a spremere il denaro per l'Imposta, sempre vissuta come ingiusta spremitura, che la stessa pronuncia nel quarto tono rende dura e schioccante, definitivamente impossibile ad essere evitata. Vi lascio con 巫 - wū, un'ultima chicca, un ideogramma elegante  in cui noterete due personaggi che ballano racchiusi attorno al segno del lavoro, nel senso che lo fanno come attività. Sono i personaggi che danzavano per ottenere dagli dei, la pioggia nei periodi di siccità, un esercizio lungo e faticoso, un vero e proprio lavoro, quello che deve fare per l'imperatore, l'indovino, il mago, il fattucchiere, il predittore di terremoti. Questo è appunto il significato dell'ideogramma che rappresenta questa importante figura, che comunque, nel caso avesse sbagliato le previsioni, veniva giustiziato col supplizio delle mille morti. Poi sono venuti gli scienziati, ma questa è un'altra storia, roba da paesi civili.




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lunedì 29 ottobre 2012

Cronache di Surakhis 52: Muoia Sansone con tutti i Filistei!

Il Piccolo Imperatore, si passò la mano stanca sul viso terreo facendo bene attenzione a non strappare i punti degli ultimi interventi che gli avevano eliminato le inutili porzioni di pelle che l'età (ormai aveva sorpassato i 500 anni) gli andava accumulando attorno agli occhi. Anche se la mano esperta dei chirurghi imperiali aveva fatto un buon lavoro, gli era rimasto un ché di aria orientale con le estremità dei sopraccigli così tirati indietro, ma che importava, sembrava avere non più di 30 anni ed i boccoli dorati che ornavano la bilia ormai lucida e incartapecorita lo facevano sembrare un giovane ganimede che però pareva aver perduto l'allegria dei bei tempi. Con un gesto nervoso della mano licenziò le ragazze che avevano allietato la sua notte, che uscirono schiamazzando e trattenendo in mano le mazzette di crediti che erano riuscite a mettere insieme nella nottata durante i giochi del Quanto costa questa bella patatina, divertissement che non avevano più, però la freschezza di un tempo. Se ne andarono di malavoglia, portandosi dietro l'orchestrina di flauti da culo che dava un tono di classe a quei ritrovi eleganti. Erano davvero bravi quei ragazzi, i Proctor Sibilantes, anche se, quando se ne andavano bisognava sempre arieggiare la stanza; meritavano almeno qualche posto di riguardo in un consiglio pubblico, tanto lì a certi odori non facevano più caso, impegnati come erano a spartirsi gli ultimi proventi che rimanevano nelle casse prima del liberi tutti. 

Ma non era quello il momento di pensare a quei piccoli problemi. Si preparò per la dichiarazione solenne che avrebbe fatto al popolo festante che rimaneva da giorni sotto il palazzo regale in perenne attesa di novità. Vestì la cappa d'oro e Swarosky, i diamanti se li erano già fumati tutti le sue disastrate società, messe insieme con tanti anni di fatica e collaborazione con schiere di politici sempre diversi, ma tutti voraci allo stesso modo, che bisognava pur nutrire, blandire, dotare di harem personali e mandare in vacanza sulle più belle astronavi di lusso nei pianeti più esotici della galassia. Altro che corrompere, era un lavoro a tempo pieno per il quale occorreva una azienda apposita, la Mentula satisfacta S.p.A. con sede legale alle isole Alligator, tutto regolare naturalmente, si era addirittura dovuto fare una legge apposita per rendere lecita l'operazione, la famosa e contestata Lex Magnatoria. Aveva pensato alla dichiarazione tutta la notte, sempre al lavoro anche quando le sacerdotesse della camera rossa esercitavano il loro officio. Avevano deciso di farlo fuori, avevano pensato per lui ad un esilio dorato con chirughi plastici, con il meglio delle Multisessuate galattiche a disposizione? Ebbene se ne sarebbe andato, ma nella caduta avrebbe portato con sé tutto il pianeta. Una distruzione globale a cui nessuno di quei furbacchioni che, anche nelle sue stesse stanze, avevano tramato contro di lui sarebbe sopravvisuuto, per non parlare della canea degli Oppositores, sempre pronti a rompere le scatole sul pur minimo scarto da leggi e regolamenti. 

Eccheccavolo, mica si poteva emanare una apposita grida per cambiare i codici, ogni volta che emergesse la necessità di corrompere qualcuno; era una perenne rincorsa contro il tempo, non si sarebbe potuto pensare ad altro. Aveva deciso. Partito lui, avrebbe con discrezione, ma sulla pubblica piazza della capitale di Surakhis, fatto decapitare tutto il governo a cui aveva passato l'incarico di sistemare le piccole difficoltà insorte nell'impero, quando tutto il resto della galassia aveva cominciato a reclamare indietro i propri soldi e, allo stesso tempo, avrebbe dichiarato guerra a tutti i pianeti, abbandonando il sistema del Credito Galattico e sostituendolo con una nuova moneta, la Meretrix, che poteva essere compensata anche da prestazioni in natura. Intanto ci sarebbe stato il vantaggio di poter pagare i lavoratori (questa era la nuova denominazione che per legge era stata attribuita agli schiavi, tanto per contentarli) con una sodomizzazione unica eseguita a fine mese in ogni azienda dai pagatori macropenici, così l'avrebbero di certo smessa di chiedere l'aumento.  Fuori della sala lo aspettava Paularius, nella sua veste di Gran Leguleio Imperiale per assisterlo durante il discorso. All'esterno, nella grande piazza, una folla immensa lo aspettava festante. Avevano tutti grandi forconi in mano e quando apparve sul balcone col viso tirato, invece di rimanere in religioso silenzio come di solito, cominciarono a batterli sulla nuda terra tutti insieme, facendo un rumore cupo, come un tuono lontano che andava crescendo sempre di più. Nella mano, nascosta sotto la veste nera, Paularius teneva stretto un pugnale sodomizzante di grandi dimensioni, pronto alla bisogna. E sorrideva sereno sentendo che il ricambio era alle porte.



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Civiltà perdute.

domenica 28 ottobre 2012

Senza parole.

Sono basito.
Sono esterrefatto!
Sono senza parole.


sabato 27 ottobre 2012

Acciughe e bagnetto.


Il tempo uggioso e le probabilità che si scateni la tempesta meteorologica perfetta (ormai i previsori si dovranno pure parare il c*** considerata la galera prevista per le previsioni sbagliate), giusto in tempo per il 21 dicembre, Maya docent, mi spingono lontano nel tempo, quello cosiddetto felice, alla rimembranza dei gusti dell'infanzia, per permettere anche a me di sparare un po' di banalità in coincidenza con la kermesse marketinghettara di Terra madre. Nelle mie estati di ragazzo a Valle San Bartolomeo, c'era un rito abbastanza frequente per riempire i lunghi pomeriggi assolati, resi più pesanti dall'afa che arrivava dalla bassa. Inforcate le biciclette ci si spingeva lungo la salitella della Falamera, fino ad arrivare ad una cascinotta riadattata ad osteria che stava assonnata alla base del Bricco dell'Olio. Mai saputo la motivazione di questo nome, non vorrei che fosse Bricco dal Loglio, ma non credo, dato che in dialetto locale suonava Bric dl'oli. Qui c'era una fantastica pergola di vite americana, dalle foglie fittissime che ricoprivano non solo la parte superiore, ma che la saggezza del proprietario aveva fatto correre lungo tutta la parete esposta a sud, impedendo ai raggi feroci di penetrare quell'opera mirabile di arte topiaria, (curiosamente il nostro dialetto definisce questi pergolati come topie). 
dal web

Ci stravaccavamo stanchi sulle sedie di ferro, all'ombra fresca, occupando ogni tavolo, che al pomeriggio era deserto di clienti. Quelli che mi sembravano vecchissimi 50/60enni venivano più tardi a bersi un bicchiere di vino, mentre solo dopocena si aveva il vero affollamento per lo spettacolo televisivo offerto al popolo in quei tardi anni '50, solo da alcuni locali pubblici. Il parterre era dunque completamente in nostra balia e lì potevamo passare anche l'intero pomeriggio. Il fatto è che come in ogni locale pubblico, bisognava consumare e qui veniva a galla l'apoteosi dell'osteria di campagna, il panino con le acciughe e bagnetto. Non so se la carta prevedesse anche qualche cosa di altro, non certo più sofisticato, ma quella era l'unica scelta che facevamo sempre. I panini erano grandi e rotondi, col piccolo bozzo in testa e gli spicchi che scendevano ai lati. La più comune pezzatura di queste parti detta vianeisa, forse un lascito lombardo-veneto; benché piemontesi infatti, la nostra natura di abitanti del confine, ci ha sempre spinto verso il milanese. 

Chissà come, me li ricordo freschi e croccanti quei grandi panini, anche se eravamo verso la metà del pomeriggio. Tagliatili in due, l'oste astuto (tale Pidrinu, che però non aveva niente a che fare con la Sardegna), li riempiva generosamente di quell'impasto aggressivo e sapidissimo (al fine di invogliare al consumo abbondante di bevande) costituito dalle acciughe intere lasciate a macerare per giorni in uno spesso bagnetto di prezzemolo, aglio e olio, fino a che i sapori si amalgamassero completamente in una sinfonia di cui potevi apprezzare appieno la complessità pur senza riconoscerne il suono isolato dei singoli strumenti. Una poesia di sapori che non facevano caso al fatto che le gocce di unto potessero macchiare i pantaloncini corti. Alle ciabattate punitive ci si sarebbe pensato dopo, al ritorno a casa. In quel momento potevi solo godere di quell'effondersi morbido e salato nella bocca ancora bambina e non usa ai sapori ricercati ed esotici. Oltre al sapore, poi, anche la sete indotta ti rimaneva fino a sera. Il ricordo è nitido, il gusto ineguagliato anche, non mi è più chiara invece la possibilità tecnica del fatto in sé. Non riesco infatti a focalizzare il mistero di come mi ritrovassi i soldi necessari, dato che a quel tempo nessuno usciva di casa con una, se pur minima dotazione monetaria. L'unica spiegazione è che fosse prevista una merenda da acquistare o al negozio tuttofare della piazza o appunto alla Villetta. 
dal web

Il panino, mi sembra costasse o 70 o forse 100 lire (chissà se qualche compagno di allora mi sa aiutare), come la moneta che serviva per suonare 3 canzoni nel rutilante jukebox che faceva mostra di sé sul fondo. Le ragazzine propendevano ovviamente per quello, per me non ci fu mai scelta, neanche mi passava per la mente; sarà stato proprio questo il motivo per cui non avevo alcuna speranza presso l'altra metà del cielo. Certo, ero tra i più piccoli e meno interessanti del gruppo, ma anche le potenti zaffate di aglio che rimanevano come danni collaterali, non aiutavano di sicuro, ma pazienza ci sarebbe stato un altro tempo. A qualcuno poi rimanevano anche i soldi per le canzoni, i più grandi ovviamente, che poi agguantavano le ragazzine bramose di ballare la bamba e il rock. La Villetta la chiusero qualche tempo dopo; sembra che alla sera tardi, dopo che il monoscopio della TV, un vecchio mobilone in legno di radica, veniva spento e gli anziani se ne erano andati a casa, circolassero delle "ragazze" piuttosto spigliate che non avevo capito bene cosa facessero in giro a quell'ora. Ma certe case erano state appena chiuse per legge e in qualche modo bisognava pur fare.


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venerdì 26 ottobre 2012

Il mio nuovo libro - Profumo di Senegal.



Ebbene ci sono cascato di nuovo. Sebbene possa invocare a mia discolpa le pressioni di alcuni amici (saranno poi amici davvero?), non ho saputo resistere e, nonostante le promesse incautamente fatte a suo tempo, è uscito il mio nuovo libro Profumo di Senegal, presso Lulu.com. Il lavoretto raccoglie le impressioni a caldo di quel viaggio, su un paese che, devo dire mi è rimasto nel cuore, unitamente alle storie di uomini e di donne che quel paese mi ha regalato e che mi sono portato a casa. Assieme, ho voluto inserire una serie di immagini (una pagina sì e una no) che mi sono parse significative, volendo commercialmente strizzare l'occhio a quei lettori, diciamo così, pigri, che al testo preferiscono le figure, che tanto si capisce lo stesso. Ovviamente da tuttologo quale mi vanto di essere, il marketing per me non ha segreti. Siccome sono anche molto moderno ed aggiornato, onde, se possibile, superare lo strepitoso successo editoriale della mia precedente fatica, ho provveduto ad offrire nella vetrina di Lulù anche la versione e-book, in modo che non si dica che non sono sul pezzo. Per chi è interessato può cliccare qui per avere il volume cartaceo oppure qui per quello digitale. E guardate che non finisce mica ancora. Sono in programma presentazioni al riguardo e c'è addirittura altra roba in cantiere. Un vero e proprio furor letterario! Abbiate tanta pazienza. (E se qualcuno vorrà darmi una mano condividendo sui vari social, ecc, ecc, gli sarò grato).


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giovedì 25 ottobre 2012

Degas a Torino


Piccola danzatrice di quattordici anni
Suggerirei a tutti gli interessati di non perdersi assolutamente la mostra che raccoglie a Torino, alla Società Promotrice delle Belle arti nel Valentino, una serie di opere di Degas provenienti dal Museo D'Orsay. La sequenza dei pezzi esposta è davvero completa e presenta tutti gli aspetti di questo artista unico, incontestabilmente tra i più grandi della fine '800, cominciando dai ritratti, decisamente includenti le problematiche psicologiche del tempo, ai primi capolavori con i quadri di soggetto storico in cui traspare già bene la sua lontananza dall'Accademia e proseguendo con la serie dei cavalli che comprende il famoso Défilè davanti alla tribuna, quasi un manifesto del suo futuro lavoro. Grande spazio ai bronzi che illustrano bene la sua attenzione allo studio della scomposizione del movimento che si compiva in quei tempi attraverso la cosiddetta cronofotografia. Infine le ballerine a cui il suo nome rimane indissolubilmente legato, con capolavori come Prove di balletto in scena e Fin d'arabesque in cui traspare il suo progressivo e totale distacco da una vicinanza affettiva ai suoi soggetti, visti sempre di più come corpi da scomporre e da trattare come veri e propri manichini di studio da disarticolare nelle giunture, con i loro sguardi assenti a rappresentare un ambiente grigio e triste, sottolineato dalla tecnica dell'olio diluito che ingrigisce ed opacizza la scena. 

Bagnanti sull'erba
La serie finale dei nudi, così lontani dalla carica sensualità di Renoir, ancora una volta pezzi di carne ripresi nella loro più banale realtà, che procede via via verso uno schematismo riduttivo che si allontana sempre di più dal realismo, indicando con chiarezza la strada che porta a Matisse e a Picasso, con le Bagnanti sull'erba del '06, ormai pure forme racchiuse da una linea. Sono certo che rimarrete impressionati, se non addirittura sgomenti dal bronzo, l'unico esposto durante la sua vita (tutti gli altri sono stati fusi postumi dalle cere ritrovati nel suo studio), della Piccola danzatrice di quattordici anni, opera inquietante che raffigura nello sguardo quasi scimmiesco, tutto quello che l'autore pensa di questo mondo, il condizionamento assoluto, il disprezzo per le origini popolane di chi apparteneva allo spettacolo ed in generale verso tutti coloro che riteneva inferiori. Ricordo per chi non lo sapesse che Degas fu un antisemita arrabbiato e tra i più accaniti accusatori di Dreyfus nel famoso caso che divise la Francia e che dimostra bene quali fossero le radici che generarono il nazismo e i suoi simpatizzanti in Europa. Così le origini umili e i tratti antropologici (le teorie di Gall e di Lombroso erano molto popolari nella follia razzistica di fine '800) condannano già la ballerina bambina alla depravazione o alla prostituzione futura, legate come sono indissolubilmente secondo l'autore, alle caratteristiche biologiche e sociali. Come spesso accade, non sempre il sommo artista coincide con un grande uomo. Anche questo un altro motivo di riflessione molto interessante a cui porta questo appuntamento. Avete tempo fino al 27 gennaio.

mercoledì 24 ottobre 2012

Nel regno della magia nera.

Non riesco a descrivere la serie di sensazioni che mi hanno assalito ieri, quando ho letto sul giornale che nel mio paese, la terra di Galileo, sono stati condannati a sei anni di galera, i più importanti scienziati italiani nel campo della sismologia perché non hanno previsto il terremoto dell'Aquila (gli stessi tra l'altro, colmo della beffa, denunciati per procurato allarme per opposte dichiarazioni nei giorni successivi al terremoto in Emilia). Disperazione, rabbia cieca, indignazione; no, non riesco a definire meglio. Sta di fatto che il fondo è stato davvero toccato. Dopo che la politica si è uccisa con le sue mani, dobbiamo vedere anche questo scempio. Ma non basta, a corollario del rogo delle streghe, bisogna sentire i commenti della folla debitamente registrati sui giornali, dei politicastri che le vanno dietro, dei fattucchieri che gongolano, certi così di richiamare nei loro antri, stuoli di creduli nuovi fedeli, tutti uniti nel blaterare che sono troppo pochi, che così finalmente giustizia è fatta e compagnia bella. Così, mentre quelli che sghignazzavano dopo le scosse contenti degli affaroni alla porta, mentre quelli che avevano messo la sabbia al posto del cemento, mentre quelli che hanno rubato a man bassa nel business che si è creato, mentre quelli che ci hanno marciato politicamente sono in giro, liberi, intonsi, ben pasciuti e contenti a far nuovi danni, il becerume cieco e  i suoi pifferai godono di una porcheria tale che ha lasciato basito tutto il mondo civile. Una operazione degna di un imperatore barbaro che giustiziava i suoi indovini che non avessero previsto il futuro nefasto. Ora il mondo che ci sbertucciava giustamente per i guitti che mandavamo in giro a farsi deridere, avrà di che parlare a lungo di una nazione in cui una scossetta, che in qualunque paese civile avrebbe al massimo fatto cadere un paio di cornicioni, è stata la scusa per la crocifissione della scienza e del via libero definitivo a maghe e fattucchieri. Non siamo forse il paese che impone cure fasulle a furor di popolo, che vuol fondare le sue politiche agricole sulle nuove religioni bio-fanta-dinamico-noogiemmiste? A presto, ragazzi, con rimedi omeo-olistico-pranoterapici prescritti gratuitamente dall'esangue servizio sanitario nazionale e col servizio delle previsioni metereologiche in mano ad un pool di aruspici ed esaminatori dei fondi di caffè, antica pratica scientifica napoletana riportata alla sua giusta attualità. 


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lunedì 22 ottobre 2012

Un brodo primordiale.



Scommetto che pochi sapranno individuare che frutti sono quelli mostrati nella foto. Sono piuttosto inusuali e vi assicuro che anche io non li avevo mai visti. Eppure nella campagna alessandrina, nel paesotto dove trascorrevo le estati della mia infanzia, ce n'è un albero solitario che in questa stagione si carica di queste drupe verdi, che dopo qualche giorno si colorano di un bel marroncino che, da lontano, le fa sembrare simili alle castagne d'India. Me le hanno regalate i cari amici che tale albero accudiscono. Va bene ve lo dico perché sono tanto buono. Si tratta di un  frutto medioevaleggiante che, tanto per cambiare arriva dall'oriente, il zǎo - 枣 , giuntoci attraverso la Siria e l'Africa settentrionale durante l'impero romano, la Ziziphus jujuba conosciuta da noi come giuggiola, ma sì proprio quella del brodo, che poi in realtà non sarebbe altro che un liquore piuttosto dolciastro ma assai ricco di vitamina C. Un sapore di antico che non per questo deve essere buono per forza, come insinuerebbe la tradizione e l'Accademia della Crusca, che registra il Lemma già nel 1600. Qualcuno afferma che potrebbe essere proprio questo liquore, la causa dello straniamento dei compari di Ulisse nel paese dei Lotofagi, individuati nel Nordafrica dove di certo del loto non c'erano tracce, mentre le giuggiole allignavano prepotentemente. Se si mangia fresca la polpa verdastra sa un poco di mela, mentre se la si lascia appassire e raggrinzire assume un sapore simile al dattero. Qualche furbacchione, qualche anno fa, ha cercato di utilizzarne la sofisticazione esotica, usando il nome appunto di Jojoba per preparazioni di prodotti per la cura del corpo (giuggiola sarebbe stato meno credibile e avrebbe fatto ridere, potenza del marketing). Ma siccome sono davvero moooolto buono e ogni tanto faccio comunella con delle blogger cuciniere, vi passo anche la ricetta del brodo di giuggiole tratta da wikipedia:

Brodo di giuggiole.

1 kg di giuggiole
1 kg di zucchero
2 grappoli di uva tipo zibibbo
2 bicchieri di vino rosso
2 mele cotogne
1 limone

Raccogliere le giuggiole quando sono ben mature e lasciarle raggrinzire completamente, ricopritele di acqua (senza sbucciarle assieme all'uva zibibbo e allo zucchero cuocendo per un'ora, poi aggiungere le mele e il vino rosso (a bassa acidità fissa, va bene un vino da sangria). al termine della cottura grattuggiare la buccia di un limone. Fare bollire, quindi sterilizzare il liquore denso e piuttosto cremoso nelle bottiglie, da conservare al buio e al fresco. 


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sabato 20 ottobre 2012

Haiku assonnato.

Occhio cisposo.
Con mente ancora chiusa
tasto i tasti.



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Tarda primavera.

venerdì 19 ottobre 2012

Tai Ji e Alzheimer.

La mia maestra Kinué Ohashi in una forma di Tai Ji.

Non mi sovviene più bene di cosa vi volevo parlare oggi. Ah, sì! Adesso mi sembra di ricordare che qualche mio amico mi ha fatto notare che i miei post che riguardano il Tai Ji sono pallosi e troppo specifici per un blog generalista e che alla fin fine interessano a pochi. Voglio invece farvi notare come questo argomento possa essere di interesse generale specialmente per coloro, e credo che siano in maggioranza, che vedono l'implacabile clessidra del tempo che sta tirando gli ultimi. Per non fare chiacchiera da bar, voglio quindi porre la vostra attenzione su un articolo delle pagine scientifiche della Stampa di mercoledì scorso che riporta uno studio pubblicato dal Journal of Alzheimer's disease di luglio (pag. 757-766 -vol. 30-4). Il lavoro si è svolto su un gruppo di persone in età compresa tra i 60 e gli 80 anni, suddivisi in quattro gruppi: praticanti il Tai Ji, dediti alle passeggiate, con attività sociali di interazione e gruppo di controllo nullafacente. I risultati sono stati inequivocabili. I controlli, eseguiti tramite test classici e risonanza magnetica in fase iniziale, dopo 20 e dopo 40 settimane, hanno dato valutazioni molto interessanti. 

Il gruppo che praticava Tai Ji ha mostrato un aumento significativo della massa cerebrale e migliori prestazioni nei test cognitivi come il Mattis Dementia Rating Scale score o l'Auditory Verbal Learning Test e altri che potete vedervi meglio nell'articolo originale. Un netto calo dei parametri sopradescritti, così come nella soluzione di problemi di logica, si è invece notato in chi non pratica nulla. Uno degli autori della ricerca J. Mortimer, conclude che, "se è certamente vero che l'attività fisica ritarda l'insorgenza dei problemi cognitivi tipica dell'anziano, il Tai Ji si rivela come esercizio particolarmente adatto fino alla tarda età, in quanto pratica quasi non aerobica estremamente efficace per essere praticata a tutti i livelli". Inutile ricordate i molti studi (seri) precedenti in cui sono state dimostrate l'efficacia di questa antica arte cinese nel migliorare la capacità di equilibrio fisico (nell'insorgenza di alcuni tipi di Parkinson) e mentale, la postura generale, la diminuzione dei livelli di colesterolo, la prevenzione dell'insonnia e addirittura dell'osteoporosi. Ma cosa aspettate ad iscrivervi ad una delle molte associazioni in cui si pratica il Tai Ji. Guardate che se lo faccio io, lo possono davvero fare proprio tutti!

Refoli spiranti da:
 La Stampa - Tuttoscienze - 17 ott 2012
Journal of Alzheimer's disease - n. 30-4 - June 2012 


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giovedì 18 ottobre 2012

Balli da acchiappo.

C'è un'età particolare, un momento in cui le attenzioni di ogni povero adolescente si focalizzano quasi automaticamente, forse per obbligo genetico verso l'altro sesso. E' una calamita allo stesso tempo dolce ed affannata che ti costringe a mollare tutto e ad avere un solo chiodo fisso in testa. Finito il tempo delle collezioni di figurine, della voglia di giocare a pallone, dei pomeriggi passati a pescare arborelle vicino alle acque morte del canale. Una sorta di inspiegabile brama ti porta a pensare solo a quella roba lì in una indistinta e confusa melassa di torbidi pensieri uniti a voli poetici e trascendenti che non capisci bene dove vogliano andare a parare. Quando toccò a me il momento, il campo di battaglia dove scendevano le schiere in cerca di gloria era la sala da ballo estiva. Luogo neutrale per eccellenza, una arena in cui si calava per combattere la dura battaglia, muniti solo dell'arma spuntata dell'inesperienza. Avevo purtroppo la ventura di essere uno dei più piccoli del mio nutrito gruppetto che trascorreva l'estate in Valle San Bartolomeo e come tale, le mie possibilità di presentare un'offerta appetibile alle componenti delle schiere avversarie erano scarsissime, considerata anche la mia goffaggine di ragazzotto già allora tendente al pingue. 

Uno dei momenti topici in cui sfoderare le armi erano i cosiddetti matinée che verso le tre del pomeriggio radunavano i più giovani il sabato o la domenica con la colonna sonora di complessini locali. Nessuno pensava ancora che un locale potesse offrire balli al suono esclusivo dei dischi, una cosa talmente miserabile da essere relegata alle festicciole invernali in casa. Eccoci dunque, quella volta, inforcate le biciclette, pedalare faticosamente sotto il sole delle due del pomeriggio verso le Fonti di Valmadonna, noto luogo di perdizione, tra l'altro pronubo già tanti anni prima dell'incontro fatale tra mio padre e mia madre. Avevo una magnifica bicicletta gialla con cambio Campagnolo a 5 rapporti di cui vi ho già parlato che esibivo con nonchalance, sugli altri rapporti invece calava la nebbia più assoluta. Anche se cercavo di sopperire con la chiacchiera, che già allora non mi faceva difetto, i miei punti di forza erano davvero esili e la mia credibilità nel campo praticamente nulla. Tuttavia al momento della partenza la strategia di attacco per ottenere qualche risultato concreto, veniva meticolosamente pensata e preparata, anche se l'oggetto nel mirino era stupidamente indistinto, guai a voi se mi dite subito"basta che respirasse". 

Quello non era il punto, forse solo una conseguenza di quel complesso insieme di sentimento confuso, di desiderio generico, di scoperta di un mondo sconosciuto e contemporaneamente pieno di allettante mistero  e difficoltà apparentemente insormontabili. In sostanza ci mancava la corda e gli scarponi per cominciare la scalata e da lontano le montagne, si sa, sono un po' tutte uguali; pericolose ma bellissime mete da raggiungere e conquistare anche se non conosci  quali siano i sentieri da percorrere che conducono fino all'agognata vetta. Quindi, date queste premesse, ancora più impossibile era, vista adesso, la possibilità di un sia pur minimo successo, specie per chi come me, era nelle condizioni peggiori per affrontare la lotta. Arrivati alla pista da ballo, una rotonda in cemento circondata dai tavolini, mentre il complesso in questione, mettiamo i Quattro Assi (il cantante era una copia esatta di Arturo Testa), cominciava le danze, le ragazze facevano gruppetto ridacchiando e lanciando occhiate assassine verso i personaggi più appetibili e ricercati, i grandi ballerini della compagnia. 

Questi senza difficoltà invadevano la pista subito e quasi senza bisogno di chiedere si prendevano le più sveglie lanciandosi nel rock frenetico, il ballo che maggiormente permetteva di mettere in mostra le doti tersicoree delle femmine e che fungeva da acchiappo sicuro per il maschio più scafato. Molleggiamenti sinuosi e anche sciolte, lancio controllato di piedi e giravolte veloci, una malia irresistibile per la maggior parte delle fanciulle. Subito dopo, implacabile, l'orchestra attaccava una serie di lenti che da Sapore di sale ad Una rotonda sul mare, davano ampia possibilità di godere del frutto della fatica. Io e qualche altro disgraziato invece, rosi dall'accidia, si rimaneva al bordo della pista con aria noncurante a invidiare le altrui conquiste e a meditare inutili strategie. Alle sette il mesto ritorno a casa, macerandosi nell'amaro sapore dell'insuccesso, come quei giocatori che persa la partita ripensano compulsivamente agli errori commessi e vorrebbero ritornare indietro per cambiare l'ordine delle carte che avrebbe dato loro la vittoria. 

Così il corteo di biciclette rifece lentamente la strada degli Autén per tornare a casa e qui, un po' per le delusioni assommate, un po' per le energie non spese, tentai un affondo per staccare il gruppo e superare la sommità della collinetta per mostrare almeno lì un minimo di superiorità. I più prestanti, che mi avrebbero facilmente superato intanto, erano intenti a completare l'opera di corteggiamento iniziata durante le danze e non si mettevano certo in competizione muscolare. Staccai così facilmente il gruppo dando sfogo alla rabbia repressa, gettandomi a capofitto nella leggera discesa della strada che procede sinuosa nella valletta. Quando arrivò il gruppo festante, mi trovarono in fondo all'ultima curva, indecentemente caduto su un mucchio di terra vicino al fosso, dove la ghiaietta sottile ed infida del bordo e la mia incauta furia avevano fatto scivolare le ruote della mia bella bicicletta, precipitandomi a faccia avanti nel pietrisco. Fui soccorso e naturalmente sbertucciato quanto basta, mentre risalivo distrutto e dolorante sul mio mezzo tutto sfregiato, le ginocchia sbucciate e col manubrio storto per tornare a casa mesto e sconfitto. Niente di rotto fortunatamente, salvo il mio orgoglio.


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mercoledì 17 ottobre 2012

Pietà filiale.

Il contrasto tra Taotisti e Confuciani è sempre stato molto sentito in Cina. Tuttavia non si può dire che questa dicotomia funzioni come da noi per l'appartenenza ad un credo di vita, come potrebbe essere il sentirsi intimamente di destra e di sinistra. La mentalità cinese è sempre stata sincretica e pratica e anche se ci sono posizioni opposte si può benissimo aderire ad entrambe, tenere per Milan e Inter, apprezzare Vendola e Maroni. Il Tao è sempre stato libertario e in un certo senso gaudente, se pur moderato nelle sue manifestazioni, considerando l'eccesso sempre in maniera negativa, mentre quella vera palla di Confucio era un moralizzatore ossessivo che tendeva a pianificare tutto con una precisione insopportabile, considerando il rispetto della regola imprescindibile, al di là del fatto che la norma stessa fosse giusta o sbagliata. Così questo ha sempre trionfato nel governo del paese e lo stesso potere attuale è intriso profondamente del concetto confuciano dell'armonia che non deve essere turbata. 

Così si riesce a meglio comprendere fatti come la dura repressione di proteste, che in fondo gli stessi poteri potrebbero giudicare giustamente motivate, ma che devono essere stroncate per evitare i dannosi effetti che avrebbero nell'ordine della società se si lasciasse libero spazio a queste istanze. Poi nel segreto delle stanze si può pragmaticamente dare spazio alle soluzione alternative. Dunque assai spesso il nostro cinese tipo è confuciano di giorno e taotista di notte, specialmente in campo sessuale. Per quanto riguarda poi il concetto della famiglia, non parliamone neppure. Il rispetto per l'anziano ed i genitori in particolare non viene neanche lontanamente messo in discussione neppure oggi. Nelle Biografie degli uomini meritevoli, viene citato un certo Lao Lai il cui merito principale è consistito, avendo lui 70 anni coi genitori ancora viventi, nel comportarsi con loro come se fosse ancora un bimbo, "vestendosi con costumini infantili e giocando ai loro piedi con sassolini colorati e divertendosi con i pulcini per ore, emettendo i buffi gemiti dei fanciulli". Questo mentecatto, ammirato ed onorato, in nome della pietà filiale per non far sentire il peso degli anni a padre e madre, che da parte loro erano ben contenti, non aveva neppure voluto correre il rischio di dare a loro dei nipoti, evitando accuratamente di accoppiarsi con quella povera donna che per cinquanta anni aveva avuto la disgrazia di essere sua moglie. E non venitemi a dire che noi italiani alleviamo i bamboccioni.


Refoli spiranti da:  C. Leed - Storia dell'amore in Cina - SEA -1966


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Fedeltà e correttezza.

martedì 16 ottobre 2012

Considerazioni sul Tai Ji Quan 12: Gāo Tàn Mǎ

Siamo arrivati alla metà della forma 24 yang e se avete avuto la pazienza di seguirmi fino a qua, significa che potremo arrivare assieme fino alla fine. Il movimento 12 è molto breve e viene denominato Gāo Tàn Mǎ - 高探马, che significa Sporgersi alto sul cavallo (come per accarezzarne il muso levato verso l'alto). Mantenendo la stessa direzione (ovest - 90° alla sinistra della posizione iniziale), dalla precedente posizione 9 o 11 Dan Bian, portare il piede dx avanti di mezzo passo, dietro al piede sx, spostandovi al termine il 100% del peso del corpo, quindi portare in avanti dx appoggiando solo a terra la sua parte anteriore (come in Bao hao liang chi, mov. 3) ma senza peso del corpo, quindi con il cosiddetto Passo vuoto. Nello stesso tempo in cui si fa il mezzo passo avanti la mano dx si cambia da uncino a volgere il palmo verso l'alto e anche la sx passa da palmo verso nord- dita in alto a palmo verso l'alto. Ci si troverà quindi a metà del movimento con le braccia opposte e quasi distese (direzione est-ovest) e entrambi i palmi verso l'alto. Durante questa fase (inspiratoria),  il torso ben eretto ruota verso dx e lo sguardo ruota dalla mano sx fino a quella dx. Quindi mentre si compie il passo vuoto con la sx, la mano dx inizia una spinta col palmo in direzione ovest, passando accanto all'orecchio dx , mentre il torso, sempre ben eretto, compie una rotazione a sx fino alla direzione ovest. Allo stesso tempo la mano sx si abbassa passando sotto la mano dx che spinge, ritirandosi, col palmo verso l'alto fino all'altezza delle costole sx. (fase di espirazione). 

Per eseguire bene la tecnica è necessario tenere durante la rotazione una posizione del torso ben eretta e naturale, senza gonfiare il petto o arcuare la schiena, mantenendo la mano dx all'altezza dello sguardo e coordinando bene lo spostamento delle gambe con la spinta ed il ritiro delle braccia. In questo movimento la forza si concentra nel palmo dx. Infatti la spiegazione marziale del movimento è la liberazione da una presa (o una deviazione di un attacco alto) da parte del braccio sx, mentre il palmo dx colpisce violentemente il viso dell'avversario, pestandogli il piede dx. Proprio la posizione della parte superiore del corpo ed il suo movimento alternato e rotatorio attorno ad un immaginaria linea verticale passante per la sommità del capo, ha ottimi effetti sulla postura e lo sviluppo della muscolatura del petto. L'insieme del movimento unito alla respirazione stimola fortemente l'energia delle braccia e la coordinazione dell'equilibrio generale. Aiuta anche pensare alla bellezza del movimento stesso, in cui dovete immaginarvi mentre vi guardate dal nemico che vi insegue, in sella ad un cavallo che, arrestatosi improvvisamente inquieto, alza il muso verso l'alto allungando il collo e voi, per calmarlo, ergendovi sulle staffe, gli accarezzate dolcemente, con movimento contrapposto il muso e la gola. Il corpo si nutre anche di poesia.



Refoli spiranti da: Fundamental of Tai Ji Quan - Wen Shan Huang - S.Sky Book Co - Honk Kong -1973
Moiraghi : Tai Ji Quan - geo S.p.A. 1995
Kung Fu and Tai Ji  Bruce Tegner -Bantam book - USA - 1968
www.taiji.de
Huard - Wong . Tecniche del corpo - Mondadori Ed. 1971

lunedì 15 ottobre 2012

Piccoli piaceri.


 

Volete un posto dove condurre la fanciulla dei vostri sogni che stenta a cedere e stupirla con effetti speciali e che contemporaneamente non vi spiumi, ma abbia ancora un costo ragionevole, anche se proporzionato a quanto vi offre? Non dite che non sono un amico, ma questa segnalazione è d'obbligo. Segnate dunque e andate a vedervi il sito, elegante almeno quanto troverete in questo bel ristorantino a due passi dalla nebbiosa Alessandria. Ristorante Donatella - Via Umberto I 1 - Oviglio (AL) - 0131.776907. Lo stile e l'eleganza, non sono contorno secondario, quando la cucina vuole essere anche un piacere e quindi, una tantum, concedetevi un piccolo lusso che vi aiuterà a stare un po' meglio, se siete un poco intristiti. Verrete accolti in una sala ben arredata nella pace di una casa che affaccia sulla piazzetta al centro del paese. 

Solo pochi tavoli ben spaziati per non essere infastiditi dai vicini, elegantemente apparecchiati per offrire su grandi piatti una serie di squisitezze in cui, anche la curata presentazione fa parte della soddisfazione finale. Intanto, assieme ad un vassoio di molte varietà di pane fatto in casa da sbocconcellare nell'attesa,  aprirete le danze con una croccante triglietta impanata su salsa di porro delicatissima, gentilmente offerta come pre-antipasto. Poi, io ho avuto un trionfale uovo poché con fonduta di Roccaverano e porcini. Che delizia quando la forchetta affonda la bianca superficie e il rosso sembra scoppiar fuori effondendosi sulla sapida crema avvolta dal profumo di sottobosco! Un'emozione, che chi vi accompagna, apprezzerà sicuramente predisponendolo/a a pensieri positivi verso di voi. 

Al primo non ho voluto staccarmi dalla tradizione del tipico agnolotto alessandrino ai tre stufati, armonioso e completo connubio di  sapori (lasciando con dispiacere le tagliatelle ai porcini, come la stagione avrebbe consigliato). Per il secondo mi sono fatto tentare dalla assoluta morbidezza dello stinco di fassone piemontese, in teneri blocchetti che si scioglievano al contatto col palato ingordo che a fatica poteva trattenerli un poco per assaporarne il gusto pieno e senza asperità. Chi era con me ha optato per  una succulenta pancetta di maialino da latte dalla pelle croccantissima e golosa accompagnata da una giusta purée di mele e confettura di cipolla di Tropea. Un calice di un'ottima barbera in omaggio a questa terra, non ci è stata male. 

Come resistere poi al trionfo dei dolci la cui sola presentazione vale l'ordinazione. Scelta difficile tra il semifreddo al cioccolato con rum e vaniglia o tra una bavarese ai marroni con crema di caki a cui ho ceduto definitivamente. Abbiamo invece dovuto abbandonare sul campo con dispiacere il cannolo ripieno al gianduia e mascarpone o i molti gelati fatti in casa che invitano al ritorno, magari per provare l'interessante menù di mare. Anche il vassoio finale di piccola pasticceria si distacca dalla consuetudine, accompagnando ai mini dolcetti, bicchierini di crema al frutto della passione, palline di sorbetto alla menta con l'anice e altre squisitezze che vi faranno chiudere in bellezza la giornata. Suvvia uno strappo si può fare, soprattutto se volete festeggiare qualcosa di importante a cui tenete molto. La stella Michelin che Donatella può vantare da qualche anno, non conterà molto, ma vorrà pure dire qualcosa.




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