Sui gath |
Il Kaliadeh Mahal |
Ujjain è una delle sette città sacre dell'India, quindi non appare strano che in giro per la strade, nei vicoli e nelle piazze e soprattutto nelle vicinanze dei moltissimi templi si notino gruppi di gente che si recano alle varie finzioni, con offerte tra le mani e la fronte coperta dai segni della devozione, il bianco tridente shivaitico o le strisce gialle orizzontali. Molti cantano inni sacri, altri semplicemente camminano verso la meta. Forse sono arrivati a piedi dai villaggi vicini, oppure in bus o con uno dei tanti mezzi di trasporto improbabili che vedi avvicinarsi alla città, anche da molto lontano, perché il pellegrinaggio è insito nella mentalità dell'uomo, percorrere una via, materiale ma spirituale allo stesso tempo, perché la fatica e la sofferenza, offerta alla divinità, rappresentano comunque un percorso di redenzione, per migliorare se stessi. Gruppi di uomini e donne, forse dello stesso villaggio marciano sereni, poi arrivati vicino al tempio del loro dio favorito si fermeranno intorno a riposare prima di entrare a svolgere le preghiere di rito, a ringraziare per quello che si ha avuto o a chiedere quello che si desidera. Tutto intorno è la sagra del mercante nel tempio, file di venditori, di fiori, di frutta, di altre simbologie divine da riportare poi a casa a ricordo dell'esperienza vissuta. Così tutte le città sante hanno questa economia fondata sul business del sacro, una sorta di vendita di indulgenze che si moltiplica all'infinito e fa campare la gente.
Il tempio al sole |
Alla periferia della città, sempre sul fiume, ci sono i ruderi di un palazzo costruito alla fine del 1400 dal sultano di Mandu, il Kaliadeh Mahal. Dopo un tentato restauro all'inizio del secolo scorso il palazzo è stato nuovamente abbandonato a se stesso e ora ne rimangono solo le massicce strutture che sostengono la cupola centrale di disegno persiano, davanti ai resti di un antico tempio dedicato al sole, circondati da grandi serbatoi per la raccolta dell'acqua. Come tante altre rovine della campagna indiana, qui si respira il consueto senso del libro della jungla, tra scimmie che fanno capolino tra i muri rovinati e vacche smagrite che si aggirano in cerca di qualche cumulo di immondizia da investigare. Entrare sotto gli archi pericolanti ti mette all'interno di larghe camere vuote, dove non riesci a ravvisare la grandezza di quel passato lontano. Gli echi dei passi smuovono al massimo qualche pipistrello che vola via, disturbato dalla tua presenza. Lontano nei campi vicini una figurina con un bacile di ottone in testa, colmo di acqua, sta tornando al villaggio; il vento le gonfia di lato il sari rosso che spicca come una fiamma sul sentiero tra il verde. Davanti a quello che era un ingresso fastoso, invece, due cani gialli e magrissimi, randagi dall'occhio triste ed acquoso che si tengono alla larga timorosi forse di qualche bastonata in arrivo.
Un ingresso ai gath |
Nall'acqua stagnante e verdastra dei serbatoi ancora colmi di acqua, qualche paperotta nuota tranquilla, una si affanna a far risalire sul ciglio del fossato una fila di piccoli batuffoli gialli, poi scompare tra le foglie basse. Si sente solo il gracidio di ranocchie nascoste. Le rovine dei tempietti si specchiano nell'acqua immobile. Non sarebbe strano se dietro quell'arco caduto comparissero le sfumature azzurre del dio Khrishna e il suo flauto, mentre le sue Gopi sedute nell'erba lo ascoltano rapite. L'India ha questo sapore di fondo che ti accompagna sempre come gusto spiccato del suo curry, sia che tu ti trovi nella campagna solitaria, sia che tu stia camminando pressato tra la folla invasata. Un sapore che ti impasta la bocca, un odore che ti stordisce i sensi, dandoti la sensazione di avere sempre quel lotano sottofondo di note del sitar, delle sue corde di metallo appena sfiorate che persiste nell'aria e si srotola sulle gradinate dei gath che scendono lungo le rive del fiume. Lo Shipra scorre lento attraverso la città e i suoi gath imponenti destinati a popolarsi di decine di migliaia di persone durante le grandi festività, adesso sono quasi deserte e si allungano per chilometri lungo la riva costellati di piccoli tempietti, di edicole, di altarini e piattaforme destinate ad ospitare la preghiera dei sadhu che volesse fermarsi lì ad onorare la divinità. Figure solitarie li popolano. Qualche vecchio seduto davanti ad un piccolo lingam di pietra, con gli occhi semichiusi. Un gruppetto di donne si è appena bagnato tra le acque. Sono emerse con i sari colorati che grondano ancora il liquido gelido del fiume.
Aspettando la sera |
Si asciugano il capo mentre il lembo estremo della veste rimane incollata alla fronte. Le lunghe trecce rimangono giù pendule e pesanti. Un paio stanno raccogliendo un poco di acqua in un pentolino, liquido prezioso e santo da riportare a casa con attenzione senza versarne una goccia. Ridono tra loro, felici della devozione compiuta e risalgono la gradinata completamente bagnate nell'aria fredda della sera. Il sole ancora si scorge dietro le alture della riva opposta. Nell'aria, quella luce magica che eccita i fotografi e che illumina i visi delle donne, accentua i colori, fa risplendere i riflessi. Forse qui intorno c'è davvero qualche cosa di speciale, di transnaturale, almeno molti sembrano crederlo. Camminiamo lungo i gath, per godere di questo paesaggio speciale, diverso ad ogni passo, con le guglie che fanno a nascondino tra di loro, con il mosso movimento delle gradinate che si alternano ad angoli svasati in diverse direzioni, seguendo l'andamento della riva. Anche qui un gran senso di pace. Ecco un tocco acuto di una campana. E' una donna che al tempietto in alto sopra di me ha battuto i tre colpi che segnalano la richiesta di una grazia col bastone di legno, poi lo appoggia allo stipite e rimane un attimo con la testa bassa a formulare il suo sogno. Chissà quale è la sua storia. Un bimbo malato, il marito che beve, un figlio lontano che non dà notizie, un matrimonio da combinare. Poi se ne va leggera, risalendole scale, il lembo viola acceso del sari striscia i gradini di marmo, poi scompare dietro un arco di mattoni rossi.
Le torri |
Questo luogo mi affascina, rimarrei ancora lì a lungo a spiare i pochi che lo abitano, che li rendono vivi con la loro fede. La luce scende e c'è ancora un luogo da vedere, proprio dietro questi gath: il tempio Harsiddhi Mandir, costruito nel punto dove, secondo la leggenda, è caduto uno dei 51 pezzi del corpo di Parvati, la moglie di Shiva, sparsi per tutta l'India da Visnù che aveva sottratto il suo cadavere dalla macabra danza che stava effettuando il marito, reso folle dalla sua morte e che si sarebbe conclusa con la distruzione del mondo. Qui sembra che sia caduto un gomito, ben nascosto sotto questo piccolo tempio di pietra scura sormontato da un rosso vimana che punta al cielo. Davanti al portale, protetto da un leone giallo, due alte torri coniche nere, completamente ricoperte da centinaia di escrescenze che nascondono lampade ad olio. Appena scesa la sera, i sacerdoti si arrampicano fino alla cima, riempiono d'olio le lampade che vengono poi accese per rischiarare la notte di mille tremolanti fiammelle che segnano ai fedeli la strada per venire ad onorare il sacrificio della dea. Piccoli gruppi di uomini e donne, individui solitari con in mano corone di fiori, vecchi coperti per difendersi dal freddo, ragazzi con le magliette e gli occhiali a specchio, salgono la scalinata per arrivare all'ingresso del tempio. Sorpassano la soglia scavalcando il gradino di pietra e rimangono un poco davanti al simulacro, qualcuno si corica a terra in un estremo segno di devozione. Fuori, le prime fiammelle si accendono. Un'altra notte comincia ad Ujjain, per gli altri 84 Mahadev, piccoli templi sparsi per la città non c'è più tempo.
I gath |
SURVIVAL KIT
Ingresso all' Harsiddhi |
Kaliadeh palace - Rovine di un palazzo moghul a 8 km dalla città, situato sul fiume davanti alla sede di un tempio a Surya. Completamente abbandonato,sarebbe vietato entrare, in quanto classificato come pericolante, ma non è sorvegliato da nessuno. Atmosfera molto particolare.
Harsiddhi mandir - Tempio dedicato a Parvati/Sati alle spalle dei gath, famoso per le sue torri illuminate alla sera. Cercate di andarci dopo il tramonto. Teoricamente non si possono fare foto all'interno. Ma la zona delle torri delle lampade è "esterna".
Gath di Ujjain - Sono disposti per qualche chilometro lungo il fiume Shipra e quando non ci sono festività particolari sono abbastanza spopolati evi si respira un'atmosfera particolare,così come quando invece vengono invasi dalle folle del Mela. Comunque troverete sempre qualcuno che effettua le abluzioni sacre.
Shipra Residency Hotel- Vicino Madhav Club - Ujjain - 3 stelle statale abbastanza nuovo. Arredamento essenziale. Doppia sulle 2000 Rp. Bagni puliti. Frigo, AC, stufetta, TV, acqua calda funzionante. Free wifi. Personale molto gentile. Ristorante nella norma. Discreto il pollo fritto.
Tempietto a Shiva |
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