lunedì 8 luglio 2019

Central India 20 - Gli stupa di Sanchi


Uno dei quattro archi di ingresso allo stupa 1


Stupa 2
La collina di Sanchi, la indovini da lontano, un poco predominante sulle altre vicine che se ne discostano come per riverente timore. La strada che conduce alla sommità, gira tra i campi verdi e poi si alza dolcemente verso la parte alta, fermandosi al vasto parcheggio. Si vede che qui arriva molta gente. La strada che dopo l'ingresso attraversa il grande giardino in direzione della sommità è una sorta di via sacra dove procedi guidato dalle sagome tondeggianti degli stupa maggiori. Va subito detto che tutte le costruzioni di questo parco archeologico, quasi una cinquantina, erette in un arco di quasi 1500 anni, sono state fatte oggetto di un pesante restauro "ricostruttivo", per cui molti templi appaiono quasi nuovi alla vista e, seppure la ricostruzione sia stata filologicamente corretta, tolgono un poco del fascino della rovina antica che di solito questi siti emanano. Rimane tuttavia la sensazione di passeggiare nella storia, tra queste grandi costruzione religiose per la maggior parte buddiste, solo al termine sono stati infatti eretti templi induisti, che emanano sempre un messaggio chiaro, quello della forza del pensiero religioso nella storia umana, che ha sempre condotto ad erigere testimonianze il più possibile grandiose al fine di rappresentare con questo sfoggio di potenza, il pieno diritto per coloro che di questo credo si trovano al vertice, di esercitare un potere non solo morale, ma anche negli effetti pratici, politico e secolare. 

Pilastro scolpito
Tutto questo, mantra comune, mi sembra, a tutte le religioni del globo, ha prodotto l'effetto collaterale, questa volta assolutamente benefico, di lasciare dietro di sé per i secoli successivi, una produzione di manufatti artistici ed architettonici che possono essere goduti ben al di là della loro valenza religiosa. E questa serie di templi dimostra l'assunto nel migliore dei modi. Il grande stupa, la cosiddetta costruzione numero 1, che sorge, con successivi rimaneggiamenti ed ampliamenti, dove l'imperatore Ashoka il Grande cominciò l'edificazione del primo tempio buddista nel III secolo a.C., domina la cima della collina, relegando ogni altra costruzione ad assumere ruoli secondari. La grande struttura emisferica ricoperta di pietra grigia si erge nella classica sagoma simbolica che questa religione pretende per le sue costruzioni, dove ogni parte ricorda la figura del Buddha ed a sua volta le basi filosofiche di questo modo di intendere l'esistenza. Tuttavia le parti che più attirano l'attenzione sono i quattro portali di accesso, sorta di archi di pietra completamente ricoperti di sculture a tutto tondo, minute e perfettissime, che si accalcano le une sulle altre a raccontare storie, in una sorta di horror vacui, così simile a quello di certi sarcofaghi tardo romani. Muniti di una attenta guida descrittiva potreste passare ore a ricercare e a ricostruire i racconti delle storie del Buddha, riconoscendo i personaggi raffigurati in pose e con vesti iconiche e identificative, quasi come i nostri santi nelle serie infinite degli affreschi medioevali delle nostre chiese. 

Testa di Buddha
Anche qui come nei nostri edifici religiosi, queste storie raccontavano e spiegavano ad un popolo di fedeli i pilastri della dottrina, i comportamenti corretti da adottare nella vita di ogni giorno, gli ammonimenti e le giuste punizioni per chi non vi si adeguava, insomma gli insegnamenti a chi non sapeva leggere, in tempi in cui non c'era neppure nulla da leggere. Ma oggi, nelle tante scene di vita comune, puoi leggere molto delle abitudini e dei costumi del tempo e da queste si possono trarre così molte indicazioni storiche. A guardar bene in alcuni punti si scoprono anche figure di devoti che rendono omaggio alla divinità con vesti e strumenti musicali chiaramente greci, segno evidente dei contatti e degli sviluppi artistici avvenuti dopo l'avventura di Alessandro Magno, giunto fino alle porte dell'India. Ti fermeresti a lungo qui, aggirandoti tra queste pietre, che dietro ogni angolo, sopra ogni pilastro, mostra sculture di divinità dimenticate, di animali fantastici, di fregi complicati e ridondanti. Qui la pietra parla la sua lingua impressa dai colpi di scalpello di artigiani antichi, certamente consci della loro arte, ma che non hanno potuto lasciare i loro nomi a tramandarne la memoria, soltanto in qualche angolo nascosto, trovi il nome del devoto committente che ha pagato quella parte di lavoro, a testimonianza che la colossale costruzione è avvenuta attraverso il sacrificio ed il pagamento di migliaia di piccole e grandi offerte, per chiedere grazie, ottenere favori oppure soltanto a dimostrazione della propria fede, forse con lo scopo recondito di migliorare la propria condizione dopo la morte.

Udayagiri - Una delle caverne col toro Nandi
Le statue più belle le trovi però nel piccolo museo alla base della collina, tolte giustamente all'insulto delle intemperie, capitelli complessi, leoni, figure ieratiche del Buddha, ammantate da quel sorriso immateriale che può essere proprio soltanto dell'Illuminato, dei e dee avviluppati nelle forme contorte che vogliono esprimere la spessa carnalità del desiderio umano e che trova una sua coerente giustificazione se viene espressa anche dal divino. Ce ne andiamo via soddisfatti da questa teatrale monumentalità, d'altra parte un luogo che ha attirato fedeli per oltre un millennio non si può certo liquidare con sufficienza. Intanto a pochi chilometri da qui, affacciate sul pigro corso del fiume Betwa si raggiunge un altro sito di grande interesse, le due colline di pietra nelle quali sono scavate le venti caverne completamente ricoperte di sculture di Udayagiri. Scavate in una nera roccia basaltica, queste caverne abbracciano circa tre secoli di storia del periodo Gupta, dal III al V secolo d.C, appartenendo quasi tutte alla cultura induista tranne le ultime, Giainiste. Le sculture nella maggior parte a tutto tondo, che ricoprono le pareti, raccontano anche qui storie sacre della mitologia dei Veda, a partire da quella grandiosa e che occupa interamente tutta una grande parete della grotta 5, che si incontra subito dopo l'ingresso, dove si vede la enorme figura di Varaha, il cinghiale, terzo avatar in cui Vishnu è arrivato sulla terra per salvare la madre terra Bhudevi dalle profondità degli oceani che a quei tempi ricoprivano tutto il pianeta.

Il cinghiale Vahara
La figura è potente nella sua plasticità e campeggia con forte personalità sull'esercito delle altre figurine di dei minori, ninfe e semidei che lo circondano e ti introduce bene al sito. Ci si infila a testa bassa nelle caverne più piccole per ammirarne le curiosità più minute, i pilastri interni, le volte scolpite in grandi ed eleganti rosoni. Poi una scalinata che si inerpica in una spaccatura tra i due massi di pietra ti porta fino al pianoro superiore da cui puoi vedere le ultime caverne, quelle più nascoste e soprattutto il panorama delle pianura oltre al fiume che si congiunge all'orizzonte lontano. Sorpassi qualche gruppo di studenti, rigorosamente nelle divisa della scuola, che si aggirano in gruppetti rigorosamente suddivisi per sesso, sotto la stretta sorveglianza di anziani professori, anche se le occhiate in  tralice tra i gruppi non mancano. Questa delle scolaresche in visita è una costante in tutti i siti storici che abbiamo visto nel territorio indiano, anche in tutti i nostri viaggi precedenti. Evidentemente a queste visite viene data una certa importanza, anche se poi l'atteggiamento degli studenti, di rilassato disinteresse, è comune a quello di tutti gli altri loro colleghi delle altre parti del mondo. Schivato con destrezza il guardiano che si aggira roteandole chiavi delle grotte chiuse in cerca di mancificazione, riprendiamo la via per Bhopal in un bel pomeriggio fresco ma soleggiato. Un baraccotto lungo la strada che offre broda fumante, dal spesso e giallo e un thali di verdurine varie, poco invitanti. Meglio accontentarsi dei biscottini da 5 cent di rupia al pacchetto, che alla fin fine sembrano saper di  burro anche se sappiamo che è tutto olio di palma.

Panorama da Udayagiri


SURVIVAL KIT

Tracce del Monastero
Sanchi - A circa 50 km a nordest di Bhopal, raggiungibile con una bella strada. Complesso templare disposto su una collina che comprende circa 50 costruzioni tra il III sec. a.C e il XII sec. d.C. con stupa buddhisti dall'era di Ashoka a quelli induisti costruiti in epoca Satavahana. Successivamente il sito fu abbandonato col decadere del Buddismo. Ingresso 300 R, incluso il museo che contiene la parte statuaria rinvenuta nel sito. Se trovate una descrizione delle sculture dei portali dello stupa di Ashoka, li potrete osservare con più cognizione di causa, apprezzandoli meglio nel loro significato. Molto ben tenuto e di grande interesse, tanto da essere stato insignito come sito Unesco. Imperdibile. Sosta di almeno un paio di ore.

Udayagiri - A 11 km da Sanchi appartiene alla tipologia dei siti religiosi scavati in grotte nella roccia. In due colline che si elevano sulla pianura comprende 20 grotte tra grandi e piccole alcune chiuse, (ma il guardiano adeguatamente mancificato ve le aprirà), che contengono esempi di scultura di grande qualità appartenenti al periodo Gupta (dal III al V sec. d.C). Ingresso 50 Rp. Dedicategli almeno 1/2 ore, magari leggendo su wiki i significati delle sculture nelle varie grotte.


Uno stupa "restaurato"




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