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Jami Mashid |
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Jahaz Mahal |
Ora di colazione, ho ancora tra le mani le palline bianche che una ragazzina mi ha regalato ieri dentro al tempio. Se sono le stesse che tre anni fa ci regalò una famiglia di sigh in un tempio dell'Assam, un'altro dei 51 dove era caduto dal cielo un pezzo del cadavere di Parvati (là però era caduta la sua
yoni, cercate su wiki cosa è), potrebbe trattarsi di un dolcino di una pasta formata da
ghee, burro chiarificato, zucchero e farina, naturalmente benedetto, che fa bene al corpo e all'anima. Tuttavia non ho cuore di mangiarli e li regaliamo a nostra volta ad una signora delle pulizie, che ringrazia con un cenno della testa, mentre aspettiamo il cambista in doppio petto azzimato coi fasci di banconote da 100 rupie che escono dalle tasche. Poi è ora di andare, tra Ujjain e Mandu ci sono quasi 150 km, il ché significa almeno tre ore buone di viaggio e quando risaliamo le colline che circondano questa area straordinaria, penetrandovi attraverso una delle sue antiche porte di accesso, mi rendo conto di essere già stato in questo luogo. E' un po' la sensazione del déjà vu, un poco quell'aprirsi dei cassetti della memoria che si aprono all'improvviso riportando alla luce un vecchio documento che pur avevi presente per la sua incontrovertibile bellezza, ma che non riuscivi più a catalogare con un nome ed un luogo preciso. Sono passati 33 anni da allora, ma quando ci arrivi di nuovo tutto si riavvia nella memoria, come in quelle astronavi che vagano nell'universo spente e nelle quali, all'improvviso si accendono le luci.
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Lo stesso posto 33 anni fa |
Allora percorrevo queste vie in un'altra direzione, intento ad altri più importanti interessi, ma chi allora mi conduceva, un autista simpatico, anche se un po' troppo amante della bottiglia, non mi aveva di certo fatto perdere questo luogo, non troppo noto e, per la sua posizione, tagliato fuori dalle normali rotte turistiche. Mandu era una grande città fiorita sotto la dinastia Paramara nel IX secolo d.C. che vide però la sua massima potenza attorno al 1400 sotto l'impero Moghul, che ci ha lasciato i monumenti ancora visibili, sparsi in un area di oltre trenta chilometri di diametro, alcuni dei quali mostrano ancora ben chiari i segni dell'antico splendore, altri invece quasi in rovina e sperduti nella boscaglia, altri ancora che si indovinano sparsi all'interno dei paesini, cannibalizzati completamente o che forniscono parti, muri, cupole di altri e più moderni edifici e case di abitazione. Quando ci arrivai la prima volta tutto ciò era in stato di totale abbandono, oggi alcune di queste costruzioni, le più importanti, sono state parzialmente restaurate e costituiscono un punto di partenza per rendersi conto della grandezza di questa antica capitale. Di certo l'area del Palazzo reale circondato da mura è quella in cui ti puoi rendere conto della qualità artistica di questa città morta. La grande costruzione che si incontra per prima è oggi in buone condizioni, con grandi giardini che ne ravvivano l'immagine regale davanti agli immensi serbatoi che lo circondano, dando l'impressione che galleggi sulle acque, da cui il nome di Jahaz Mahal, il palazzo a Barca e la sua grande terrazza a cui si accede tramite imponenti scalinate appare proprio come una tolda di nave da cui ammirare le acque che ti circondano.
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Una finestra |
Si dice che il sultano che lo fece costruire lo chiamasse il palazzo delle 15.000 vergini, avendovi situato il suo harem, anche se direi che il numero potrebbe apparire francamente esagerato. Subito dietro, l'Hindola Mahal, un palazzo dedicato alle feste e poi molte altre costruzioni, una moschea, un profondo pozzo, il bagno turco e tanto e tanto altro che è davvero inutile ridurre ad un lungo e tedioso elenco. Bisogna passeggiare, perdersi tra queste antiche mura, in cui massimamente sarete soli con voi stessi, senza il disturbo di alcuno. Svoltare da un arco e trovarsi in una grande sala, dove forse le famose vergini del sultano danzavano in veli trasparenti o scendere nelle piccole piscine lobate nascoste tra alti muri dove si bagnavano. Scendere gli scalini oscuri del profondo Baoli, quasi accompagnando una ancella a prendere l'acqua o incantarsi davanti al
mirhab scortecciato della moschea. Percorrere gli spalti, guardare lontano un
sari giallo che sventola alle folate di vento senza rivelare il volto della donna che ricopre, gruppi di vacche magre che brucano in un angolo dell'immenso serbatoio ormai in secca, sul suo fondo ormai fangoso. Passeggiare in questa reggia solitaria dove senti solo i sospiri del vento che sibila attraverso gli archi e le finestre ti allontana dal tempo presente, i giardini invece ancora ben curati vorrebbero raccontarti di una realtà ancora viva e reale, principi e bajadere che al momento dormono in qualche camera segreta, ma che da un momento all'altro potrebbero affacciarsi con grida argentine in cerca di giochi d'acqua. Il luogo è assolutamente unico, per la sua imponenza e per le visioni oniriche che produce.
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Hoshang tomb |
Appena fuori, la vita di un villaggio che forse, anche sullo scarso afflusso, comunque vive, con le sue bancarelle di frutta e di gadget per un turismo interno che comunque deve essere presente. Ma questo è soltanto uno dei punti focali dell'immensa area. Al centro, il paese principale, circonda e ingloba tre monumenti molto ben conservati, la Jami Mashid, con il suo bel giardino circondato da un bianco colonnato che ricorda i chiostri di tanti nostri monasteri e la vicina tomba di Hoshang, il primo Shah dei Moghul che costruirono la città ancora sotto i nostri occhi, un vero gioiello architettonico, ispirazione per il ben più famoso Taj Mahal di Agra. Appena di fronte i resti del palazzo Ashrafi, una residenza lussuosa di cui rimane una torre e la grande terrazza da cui ammirare il panorama circostante. Intorno la vita del paese, coi suoi negozietti ed i venditori di frutta e di dolcetti. I banchi di cianfrusaglie ed i loro gestori cercano di non perdere una delle poche occasioni della giornata e di non lasciarsi scappare i pochi turisti, per di più stranieri che passano a tiro e cercano di convincerti con i modi più affabili ed insistenti che gioielli, anche se di vile metallo, ma di quella qualità non avrai più occasione di trovarli, a questi prezzi soprattutto. Anche loro devono pur vivere tuttavia. Poi ancora stradine e sentieri per attraversare la valle che un tempo doveva essere popolata completamente dalle costruzioni della immensa città e dove adesso ci sono solo nella boscaglia capanne di paglia e legname della tribù Ghond.
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Rupmati pavillion |
In un punto lungo la strada c'è una pietra che pare come un piedistallo per esibire attività oratorie difronte alla foresta muta. Tra gli alberi qualche rudere, un paio di cappelle che mostrano cupole scrostate dal tempo e dal sole, sul bordo della strada, una tenda sotto la quale una vecchia offre frutti di baobab, questo sembra sia l'unico luogo dell'India dove crescono questi alberi africani. Siamo all'Eco point e da qui potrete urlare alla valle di fronte a voi, che amplificherà la vostra voce all'infinito rimbalzandola tra antichi muri e pareti di roccia. Ma la strada prosegue ancora verso sud, fino al punto estremo e più alto dove forse finiva la cerchia di mura e ancora ben conservatosi eleva il Rupmati's Pavillion, una sorta di padiglione, in realtà torre di osservazione, visto che da qui si vede quello che era la piana antistante le mura estreme della città, di certo da dove sarebbe arrivato il nemico, dopo aver attraversato in armi il nastro d'argento del fiume Narmada che si scorge lontano. E qui nasce la leggenda che ha dato il nome alla costruzione, quello della poetessa hindù Rupmati, donna di bellezza e capacità artistiche straordinarie che accettò di convertirsi all'Islam per sposare un principe, pazzo per la sua bellezza e l'armonia delle sue poesie, solo a patto che le fosse stato costruito questo sito dal quale potesse ammirare l'amatissimo fiume presso il quale aveva vissuto da ragazza. Mentre il vento scivola sotto gli archi delle volte, alla balconata opposta indovini una sagoma scura, completamente avvolta in un velo nero, sotto il quale traspare una figura snella che guarda verso l'orizzonte.
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Costruzioni nel bosco |
Stai un poco quassù tra le esili colonne del padiglione, anche tu ad ammirare il panorama e non fai fatica a credere alla leggenda e quasi ti pare di ascoltarli quei versi leggeri e suadenti. Nella corte un folto gruppo di studenti e studentesse nella divisa blu scura del loro college, stanno attorno al professore che racconta loro la storia, anche loro rapiti e silenziosi. La strada scende più in basso verso il bacino del Rewa Kund, dove qualcuno, nonostante la temperatura piuttosto rigida si bagna e puoi vedere ancora il bellissimo palazzo di Baz Bahadur, dove viveva il sultano, che lo aveva scelto come sua dimora perché proprio qui aveva conosciuto la bella poetessa che scendeva a prendere l'acqua e a bagnarsi. E poi ancora palazzi e tempietti, qualcuno perso nella foresta altri da raggiungere in forre attraverso ripide scale. Te ne vai da questa grande città ormai morta, occupata oltre che dalle vestigia del passato, soltanto più da villaggi di capanne e dal bosco che si è reimpadronito del territorio, attraversando il perimetro dove ancora scorgi le tracce delle antiche mura, da cui la strada precipita violenta più in basso.Alle tue spalle lasci i fantasmi di un passato di bellezza, di arte, di storia che a poco a poco la natura, insensibile all'uomo, incidente insignificante nella spirale del tempo, riconquista a poco a poco, cancellando tracce e nascondendo quel poco che cerca di resistere alla furia del tempo, trasformando pietre squadrate ed eleganti, capitelli scolpiti in leganti volute, colonne tornite e sottili, in rocce senza nome.
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Il Baoli |
SURVIVAL KIT
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Palazzi |
Mandu - Città capitale di questa area sorta oltre 1000 anni fa e poi passata all'impero Moghul. Delle centinaia di costruzioni che sorsero all'interno del perimetro di colossali mura che cingevano una altura larga nel punto massimo circa 35 km, rimangono oggi tre raggruppamenti principali, mentre tutte le altre sono disperse nella foresta a volte poco riconoscibili, altre volte riferimenti ben visibili che emergono tra gli alberi. E' una zona poco visitata dagli stranieri, molto dal turismo locale, per cui ci troverete atmosfere molto genuine ed apprezzabili. Si può dormire anche all'interno dell'area, ci sono diversi alberghi anche discreti. L'ideale è spostarsi col proprio mezzo perché l'area è molto vasta e dovrete percorrere decine di chilometri per visitarla tutta, anche se vi limiterete ai punti principali. Diversamente potrete affittare un tuk tuk per tutta la giornata, specificando bene cosa volete vedere (calcolate almeno 500/800 Rp più mancia). Comunque bisogna dedicare al sito almeno un giorno completo.
1 - Royal complex (ingr. 300 Rp.) - All'ingresso il Taveli Mahal che ospita un piccolo museo statuario, davanti il Kaptur tank, il grande serbatoio circondato dal giardino antistante al Jahaz Mahal. Poi l'Hindola Mahal circondato alte mura che ospitano anche la Moschea di Dilwar Khan, l'Hammam e il Champa Baoli, un profondo pozzo, poi un altro grande serbatoio e altri palazzi e costruzioni.
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Baz Bahadur Mahal |
2 - Gruppo centrale (ingr. 300 Rp.) comprendente la Jami Mashid, bella ed elegante moschea, la Hoshang's Tomb con la cupola centrale e l'Hasrafi Mahal dalla cui terrazza potrete ammirare un bel paesaggio. Intorno banchetti di street food dove ristorarsi o bere qualcosa.
3 - Zona attorno al Rewa Kund, (ingr. 300 Rp.) comprendente l'osservatorio del Rupmati Pavillon, il sottostante Baz Bahadur Mahal, con il serbatoio e poco più lontano il Nilakanth Mahal, un tempo palazzo oggi tempio di Shiva. A metà strada l'Eco point, dove c'è sempre qualche baracchetta di venditori di frutta in attesa dei turisti che si fermano.
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