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Femmine di Barasinga e cinghiale |
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Maschio di Barasinga |
All'ingresso del parco c'è un certo affollamento. Inutile farsi illusioni, la cosa è ormai dappertutto gestita secondo i canoni del turismo moderno, devi far lavorare il maggior numero di persone possibile, gestire la folla dei turisti che cresce sempre di più e far sì che il tutto renda al massimo in termini economici. Quindi niente illusioni di romantiche esplorazioni nella jungla, ma un gran numero di auto dipinte come da programma a colori mimetici, che scorrazzano in lungo ed in largo sui sentieri previsti. Niente di male naturalmente, anche perché la superficie interessata è molto vasta e ci si perde subito quasi tutti di vista, non appena si prende qualcuna delle tante stradine laterali che si infilano tra gli alberi. Intanto si fa una bella mezz'oretta di attesa al punto dove vengono distribuiti i permessi di entrata e ti viene affidata una guida che, conoscendo tutti i segreti del parco a menadito, saprà bene mostrarti il massimo possibile, poi ti viene lasciata l'opportunità di dare un'occhiata allo shop pieno di gadget che riproducono in ogni modo il felino oggetto del desiderio di ognuno, infine viene alzata la famosa sbarra che ti consente di entrare nel folto della boscaglia. La nostra è una bella ragazza dal piglio deciso, la faccia dell'India moderna e sviluppata. Appollaiati sul retro scoperto del fuoristrada, fa un freddo cane, comunque.
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Zona umida |
E' vero che questo è il periodo migliore dell'anno per visitare il parco, dato che non piove e ti risparmi una fangata esagerata che credo costringa addirittura alla chiusura delle visite stesse durante i mesi del monsone forte, ma la temperatura è piuttosto bassa e dato che quando vieni in India è ovvio che di default farà un caldo becco, non sei mai abbastanza attrezzato di coperture confortevoli. Per fortuna tutto è previsto, incluse grandi coperte militari con le quali avvolgersi completamente, come profughi appena tratti in salvo. Bisogna comunque dire che il luogo ha il suo bel fascino naturale, non volevo usare questo aggettivo, da me odiato e filosoficamente fuorviante, ma non ne trovo altre. Appena il tuo mezzo si ritrova da solo tra gli alberi più fitti, hai la tua bella sensazione di essere in un luogo intoccato dall'uomo, denso di quella selvatica bellezza che ti fa dimenticare l'organizzazione e tutto il resto. Una jungla fatta di alberi fitti con liane penzolanti, tronchi caduti e marcescenti, sottobosco spesso, composto di cespugli fogliosi ed epifite che crescono sui rami parassitando i loro ospiti e ricoprendoli di ulteriore bellezza, che forse, quando la pioggia arriverà generosa, esploderanno in una fioritura violenta e pervasiva a vestire di colore quello che adesso è soltanto verde intenso.
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Pavoni |
Quando il bosco si dirada, si aprono piccole radure e poi più ampi spazi di brughiera, fatti di erbe alte e arbusti isolati, alternati a stagni e pozze di acqua di più grandi dimensioni. Un ambiente naturale perfetto, dove in effetti la vita si sviluppa con ricchezza notevole. Il bosco risuona di rumori, lievi ma presenti dappertutto che segnalano l'esistenza di molte specie di animali. L'avifauna è ricchissima, a partire da una serie multiforme di piccoli uccellini dai colori violenti e dai cinguettii variamente modulati. Li vedi con facilità, proprio grazie alla loro livrea così accesa, sui rami bassi degli alberi o appollaiati su pali e spuntoni rivolti verso l'alto. Nelle zone più umide invece è tutto un rincorrersi di palmipedi che navigano sulle superfici a specchio in cui si riflette la foresta circostante o che zampettano sulle rive fangose becchettando qua e là alla ricerca di cibo sepolto. Poi, di frequente, tra i cespugli bassi o sui prati più verdeggianti, vedi enormi pavoni di un verde blu brillantissimo in cerca di cibo tra l'erba. I maschi che si trascinano la lunga coda richiusa come uno strascico da sposa transessuale, volgono la testa intorno a scatti, mostrando le creste coronate, orgogliose della propria bellezza, forse in attenzione ai pericoli della jungla, forse solo per esibirsi sessualmente di fronte all'altro sesso. Le femmine, più piccole e grigie, se ne vanno per conto loro, senza dare nell'occhio, tanto quando sarà ora di scegliere, sapranno bene come fare.
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Entello maschio |
Ogni tanto, seminascosto tra i cespugli, ma senza troppe preoccupazioni di non farsi notare, qualche piccolo cinghiale grufola, scavando nel terreno morbido in cerca di cibo, senza guardarsi attorno, come per dare soddisfazione ad una fame atavica che non si sazia mai. Gruppi di scimmie di diverse specie, dai piccoli macachi alle più grandi e timide, gli entelli comuni del genere Semnopithecus che mostrano i minuscoli musi neri incorniciati di folto pelo bianco tra i rami alti, compaiono si tanto in tanto sui bordi della strada. I maschi di vedetta, più in vista, intenti a mangiare germogli con aria noncurante, in realtà vigili con la coda dell'occhio a dare l'allarme se arrivasse qualche pericolo inatteso. I fuoristrada anche se talvolta rumorosi, ormai non fanno loro né caldo, né freddo, si sa bene che non rappresentano il gruppo dei predatori affamati. Ma le presenze più frequenti e numerose sono le diverse specie di erbivori ungulati che popolano la boscaglia a gruppi numerosi o a piccoli nuclei separati. Il più grande tra questi è il maestoso sambar, un cervide dal mantello grigio davvero imponente, i cui maschi esibiscono palchi di corna dalle ricche ramificazioni. Li vedi aggirarsi tra gli alberi, spesso solitari, alzando la testa al tuo passaggio, con lo sguardo che ti segue adagio quasi sentisse il peso dell'imponente trofeo che portano al di sopra. Le femmine più timide, sono in questa stagione per lo più accompagnate da un piccolo che le segue da vicino senza perderle di vista.
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Femmina di Sambar |
Generalmente vicini o immersi nelle pozze di acqua sono invece i barasinga o cervi di palude, di dimensioni inferiori, dal mantello dorato, la cui rarissima sottospecie Rucervus duvancelii branderi è presente solo in questo parco, mentre anche la specie principale è comunque estinta nella maggior parte del subcontinente. Sguazza in gruppi numerosi negli stagni, i maschi giovani separati dalle femmine, che fanno branco coi piccoli, controllate da un maschio dominante, di guardia sull'argine. I più comuni invece, nel parco se ne contano oltre 20.000 capi, sono i chital o cervi pomellati (Axis axis) molto simili ai nostri daini e riconoscibilissimi soprattutto per il mantello cosparso di piccoli ciuffi di peli bianchi. Chital è infatti una parola bengali che significa macchiato. Anche queste mandrie, che contano spesso decine e decine di individui, sono sparse nelle radure e rappresentano alla fine, assieme ai più grandi sambar la preda fondamentale, per le oltre cento tigri presenti nel parco. Intanto chiacchierando chiacchierando, delle tigri non si vede neppure l'ombra, solamente qualche gigantesca orma lasciata nel terreno molle ai margini della pista. Un po' poco, accidenti; che anche questa volta dovremo subire la delusione dell'essere arrivati fino a Roma senza vedere il papa? Intanto si è fatto sera e pur contenti del giro ce ne torniamo in albergo con la bocca un po'storta, completamente avvolti nelle coperte per ripararci dal freddo e pronti ad accendere in camera le stufette di fortuna. Speriamo bene per domani.
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Mandria di Chital |
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Ibis neri |
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