giovedì 15 ottobre 2020

Luoghi del cuore 71: Comprare souvenir a Pechino

La città proibita - Beijing - Cina - maggio 1998


Alacremente al lavoro in fiera
Pechino, anzi Beijing, come avevo imparato a chiamarla. Ci sono stato così tante volte che è diventata, come Mosca, un poco parte di me, come tutti quei luoghi dove puoi considerare di avere realmente abitato. Considerato che per ogni appuntamento ci sono stato almeno una settimana, possiamo pure dire che ho vissuto da pechinese almeno per mezzo anno o più. Certo, in un albergo non è la stessa cosa che vivere in una casa tua, ma l'abitudine ad un luogo, il ritrovare, ogni volta che ci ritorni, i tuoi angoli preferiti, l'abitudinarietà a frequentare ambienti dove ormai ti senti come a casa, ti fanno considerare una città in modo diverso da quando ci passi una volta con la obbligatoria fretta del turista che deve spuntare un certo numero di luoghi topici. Andare in un paese per lavoro, oltre al privilegio di farti conoscere il posto sotto altri non meno interessanti aspetti, ti dà anche questo vantaggio, quello di farti conoscere, anzi di ricercare luoghi comuni, privi del cosiddetto interesse turistico, che alla fine ti danno l'impressione di essere davvero un abitante di quella città. Non parliamo poi dei punti fissi che ogni volta non potevo evitare, come il Lufthansa centre e il quartierino dei ristoranti al suo fianco, il mercato della domenica delle cose vecchie, con le sue interminabili file di banchetti e le straordinarie viuzze dei tarocchi di Xui shui, dove mi perdevo per ore e venivo via con sacchi neri pieni di roba da stipare nelle valigie. 
I lavori per lo stadio delle Olimpiadi

L'ultima volta che ci sono stato, nel 2005, mi ha stretto il cuore trovare il piccolo quartiere di viuzze circondate da banchetti microscopici che vendevano ogni tipo di falso immaginabile al mondo, sostituito da un palazzone di sei o sette piani, pieno a sua volta di negozietti, che tenevano ugualmente i tarocchi sotto il bancone, dato che ufficialmente erano proibiti, ma senza più l'appeal del mercatino orientale. L'arte del tarocco era straordinaria nella Cina di quegli anni e accanto a quelli perfetti, che anzi, non erano neppure imitazioni dato che arrivavano dalla stessa fabbrica che faceva gli originali da mandare in Europa, fatti uscire per così dire, sottobanco, c'erano delle cose di una ingenuità commovente. La più bella che vidi, era una maglietta con la scritta Lentino Garava, evidentemente era stata copiata da una foto in cui si vedeva solo la parte anteriore del capo e non si riusciva a leggere l'intera scritta (Valentino Garavani)! Già è proprio così, ogni volta che tornavo in queste città dell'Asia dove la crescita economica è stata travolgente e rapidissima, sentivo un moto di deprivazione, un senso di perdita per un passato che scompariva. Certo una idiozia assoluta per gli abitanti della città, che di certo stavano sempre meglio, ma questa nostalgia del tempo che fu, insensata di certo, è propria dell'uomo occidentale e ogni volta, mi trovavo a pensare con dispiacere a quell'oceano di biciclette che transitava nella Chang An, sostituita da rumoroso flusso di auto che transitavano a passo d'uomo davanti alla Tien An Men. 

La città proibita

Mi rimanevano però sempre i miei quadri preferiti, ammirare la Città proibita dalla Collina del carbone leggendomi la citazione di Marco Polo dello stesso sito per poi andare a mangiare un'anatra laccata nelle viuzze dietro il mausoleo di Mao, le domeniche pomeriggio davanti agli specchi d'acqua del Palazzo d'estate, quel ristorante in stile vecchia Cina dove si esibivano i cantanti dell'opera di Pechino e i parchi dove all'alba qualche anziano faceva Tai Ji e i gruppi di donne si esercitavano nelle forme della spada dal fiocco rosso. Passavo ore, la domenica mattina al mercatino delle cose vecchie, un enorme spazio all'aperto circondato da un muretto che lo separava dalle altre case del quartiere e da immensi parcheggi di biciclette; mi sono sempre chiesto come fosse possibile ritrovare la propria dopo averla parcheggiata in un mucchio di almeno 10.000 altre tutte uguali, ma tanto lì nessuno le rubava, così era quanto meno la vulgata, anche se il mio amico Ping mi diceva che gliene avevano fregate già due. Poi camminavo avanti ed indietro sotto le tettoie dove c'erano, a terra, gli stalli delle cose più interessante e vecchie, pietre, giade, dipinti, scodelle, sculture in legno, parti intagliate di vecchi letti, vasi, tappeti, vecchi ricami, cose semplicemente vecchie e anche un sacco di ciarpame per turisti, ma sempre una gioia per gli occhi. Magari mi prendevo una mezz'ora a guardare un calligrafo che riempiva con tocchi delicati grandi fogli di carta leggera, oppure con grandi pennelli tracciandoli con l'acqua sul cemento iscurito, dove gli ideogrammi nascevano come per magia per scomparire subito dopo man mano che l'acqua evaporava sotto il sole gentile della primavera incombente. 

Trattativa in corso

Una straordinaria similitudine della vanità e della lieve inconsistenza della vita umana. Ammirare un piccolo oggetto, che fossero vecchie bacchette, una campanella tibetana o una piccola scodella sbrecciata con leggeri disegni blu, i cosiddetto Ming di campagna, prenderle in mano e rigirarsele con attenzione sotto l'occhio indagatore della venditrice, spesso più interessante dell'oggetto stesso, chiedere il prezzo, trattare se la cosa ti interessava, cercando di far subito capire che eri sì un Gua Lo, ma non un turista qualunque, buttando casualmente lì l'offerta con i numeri in cinese o facendoli con le dita alla moda locale o proseguendo la trattativa facendo finire la cifra con 8 o 88, cosa che cambiava subito l'atteggiamento del venditore, che proponeva subito un prezzo più "cinese", valutandoti come scafato conoscitore del posto. L'unico problema era che subito venivi identificato anche come conoscitore della lingua, cosicché il tipo o la tipa, continuava bellamente la chiacchierata in mandarino fluente e la comprensione si ingarbugliava subito, anche se a quel punto cercavo di barare, ridacchiando e continuando a scaricare cifre o le poche altre parole a mia conoscenza, sulle quali dominava sempre il classico Tai Kuei La (troppo caro) per trarmi d'impaccio. Che bello alla sera camminare nei quartieri di cibo di strada, circondati da colori e profumi a mangiare qualche specialità famosa. 

Attore dell'opera di Pechino al trucco

Inutile pensare alle solite orribili cose, vermi, scarafaggi, scorpioni e ovviamente cani, gatti e altra fauna selvatica, dai famigerati pangolini, a topi, pipistrelli e chi più ne ha più ne metta. Quella roba lì devi andartela a cercare apposta, se no manco la vedi. Mi ricordo invece, una deliziosa testa di maiale marinata con 15 diversi trattamenti, mi sembra si chiamasse Pa Chu Lie, si scioglieva in bocca e il proprietario, dopo aver spiegato con accuratezza il modo in cui si mangiava, scalcandone con cura i deliziosi pezzetti da  bagnare con le varie salsine, voleva brevettarne la ricetta e aprire una catena di ristoranti con quel nome in tutta la Cina, ma poi mi sembra, gli distrussero il ristorante attraverso una finta protesta di dipendenti, perché pare non volesse pagare il pizzo. Tutto il mondo è paese, ehehehe. Una sera l'amico mi portò in un palazzo del benessere, non pensate subito male, dove in due settori rigorosamente separati, maschile e femminile, passavi due o tre ore a fare bagni, sauna, pulizia accurata del naso e delle orecchie, pelatura del corpo con apposite striglie durissime, massaggi ai piedi ed alla schiena o ogni altro genere di delizie, operate esclusivamente da uomini nerboruti per finire con un rilassante spuntino. Insomma tutte quelle piccole cose che mi facevano sentire un residente e non un visitatore di sfuggita che appena firmato il contratto se ne sarebbe scappato il giorno dopo col valigione, la borsa nera dei contratti in mano ed un vaso cinese ben imballato in una scatola di cartone, per non tornare più. 

Il mausoleodi Mao e la piazza Tien An Men

Congratularsi col cantante
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