domenica 25 ottobre 2020

Luoghi del cuore 75: Sulle sponde del Nilo

Tramonto sul Nilo - Egitto - agosto1999


Le sorgenti del Nilo Azzurro
Forse il Nilo è il fiume più lungo del mondo, dipende da come si fanno i conti, strano che ci sia sempre da discutere, ma l'uomo è fatto così. Di certo è molto diverso dai suoi concorrenti, così scontroso e solitario per la maggior parte del suo corso, tranne nel tratto finale dove ha cercato di ostacolare in ogni modo l'uomo con le sue piene continue, quasi volesse scrollarselo di torno, cacciarlo lontano dalle sue rive, come lo avesse in odio, infastidito dalla sua presenza insistente e pervasiva, sfruttatrice di ogni opportunità, per rimanere solo come quando si è scavato il suo lungo cammino negli altipiani spopolati dell'Etiopia e quando ha segnato la sua linea decisa nella sabbia del deserto, di cataratta in cataratta lungo tutto il Sudan fino a giungere alla piana dell'Egitto. Ma l'uomo, che è un furbacchione lo ha fregato lo stesso e delle piene che per tutti gli altri fiumi sono il segnale del disastro imprevedibile ed inarrestabile, ne ha fatto uso e vantaggio per creare un sistema agricolo artificiale, anzi artificioso, che non appena un altro artificio, la grande diga, lo ha reso asfittico, è entrato a sua volta in crisi. L'artefatto rovinato da un altro artefatto suo concorrente insomma. Pure il grande fiume continua la sua corsa verso il mare a nord, unico in Africa a prendere questa direzione e a vedere lungo le sue rive fiorire una serie inaspettata di civiltà straordinarie, pure in un ecoambiente piuttosto ostile per l'uomo. Non ci sono dubbi che queste sue caratteristiche lo rendano morbosamente interessante. Ne ho percorso la via in molti punti diversi che tuttavia ne mantengono sempre la sua anima solitaria. 

Agricoltura

Dalle piane del delta dove sembra perdere il suo orgoglio unitario per dilatare la sua presenza in mille rivoli meno forti, quasi avesse deciso, non potendo vincere con la potenza del suo forte corpo eretto, di espandersi al massimo, suddividendo la sua forza per permeare ogni possibile zolla di terra, abbracciarla per farla sua diventandone un tutt'uno, fango non più controllabile da irreggimentare in campi da squadrare e coltivare, fattosi umile per prevalere, abbandonata la maestosità con cui attraversa il Cairo, irreggimentato a fatica, dovendo combattere una battaglia persa in partenza con i milioni di esseri che come le formiche si accalcano attorno alle sponde diritte e definite, da moli, barriere, case, unite da ponti e da mille e mille barche e navi di ogni dimensione. E poi il deserto infinito orlato da quella minuscola striscia di verde chiaro nutrita dalla sua linfa, che gli viene rubata ad ogni passo, da altri piccoli uomini con uno straccio bianco attorno alla vita, simbionti inestricabili da millenni. Ne ho risalito la corrente fermandomi spesso di fronte alle pietre erette millenni addietro da contadini che il credo ha mutato in costruttori di meraviglie avvincenti. Ne ho traversato la corrente su feluche dalle grandi vele triangolari, le stesse che ne fendono le acque da millenni, con ritmo lento, guidate da uomini dai volti rugosi. Sono risalito sulle acque ferme e piatte come specchi, oltre la grande diga, dove il lago diventa mare, dove l'uomo scompare e le grandi onde di sabbia arrivano fino all'acqua, nascondendo dietro i colmi altre pietre mirabili e solitarie; dove puoi fermarti a guardare quella superficie blu, ascoltando solamente il soffio del vento, mentre i tuoi piedi affondano e di fronte a quello che rimane di grande opere che celebrano la morte in ogni suo aspetto, quasi che questo ambiente severissimo non potesse che suscitare pensieri riferiti alla vita che viene dopo ed al modo di renderla piacevole. 

La sera

L'ho visto ancora più a sud quando nella solitudine più assoluta si scava nella roccia delle montagne un canyon profondo in cui scorre in anse talmente grandi da valutarne appena la curvatura, traversandolo su un ponte bianco, una struttura aliena in quel paesaggio primordiale dove l'uomo è estraneo totalmente e della sua presenza, non c'è traccia, al di là proprio di quel ponte che collega il nulla al nulla. Qui il fiume è così alieno e ostile che cambia addirittura nome, da Nilo diventa Abbay e prosegue ancora verso i misteri del grande sud fino a quelle che possiamo interpretare come le sue sorgenti, quando rivolo già prepotente e riottoso esce dal lago Tana creandosi la sua strada nella roccia nera. Strano ed affascinante corso d'acqua, così maestoso, pur avendo pochissimi affluenti, cosa unica per i grandi fiumi, oltre all'apporto essenziale del fratello Nilo Bianco che lo raggiunge a Kartoum, così pochi uomini che ne popolano le rive, pur avendone usufruito per fondare civiltà fondamentali nella storia dell'uomo. Il fiume convive in modo innaturale in questo immenso areale condizionandolo completamente, una sorta di campo di battaglia tra vita e morte che ha influenzato certamente lo svilupparsi delle culture rivierasche proprio a partire da questo contrasto. Dalle chiese cristiane ricoperte di affreschi naif sulle isole del lago, ai piccoli villaggi di capanne del suo esordio, alle pareti a picco dell'altopiano, alle linee sinuose del mare di sabbia, ai templi semisepolti, ai tesori di File, la cesura della grande diga, la vita contadina dei campi verdissimi e la confusione irreggimentata della capitale, tutto si è sviluppato nel modo in cui il fiume lo ha consentito e voluto. Io, devo dire ne sono rimasto abbacinato. 

L'Abbay


File
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