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Bambini di Chamula - Chapas - Messico - agosto 1997 |
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S. Juan de Chamula
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La donna era piccola ed avvolta in uno scialle liso. Portava in mano una bottiglia di liquore, una grande candela blu e, tenendolo fermo sotto il braccio sinistro un galletto nero, che quasi non si muoveva, come conscio del proprio destino. L'uomo la seguiva, un passo indietro, gli occhi bassi, come se la sua presenza fosse inutile ma obbligata dalle circostanze. La coppia proseguì silenziosamente lungo il muro laterale fino ad arrivare vicino all'altare, facendo frusciare appena gli aghi di pino che ricoprivano il pavimento. Poi la donna si inginocchiò a terra posando le offerte, accese la candela e poi cominciò a pregare silenziosamente inchinandosi più volte in avanti in un movimento ossessivo e inquietante, quasi una trance autistica; lui la guardava, lo sguardo vitreo nella penombra, immobile quasi senza respirare, le braccia nascoste sotto lo huipiles fittamente ricamato che la moglie gli aveva donato per le nozze. Infine lei si alzò e assieme ripercorsero il cammino verso l'uscita, sfiorando con la mano le statue dei santi lungo la parete, il gallo stretto sotto il braccio, verso il locale, dietro la chiesa dove stava il Majordomo, per concludere l'ultimo atto di quella supplica. La chiesa, scura rimase così quasi deserta e muta, senza neppure avvertire la nostra presenza, in modo da non renderla disturbante. Rimaneva solo il grande cero blu, con la fiamma che tremolava fumando verso l'alto ad omaggiare il dio e ad implorare la grazia, per un figlio malato o per un fratello, una madre, un padre.
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Il cimitero di Chamula
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L’auto che ci avrebbe portato poi fino a Zinacantan sulla montagna, ci aspettava fuori in fondo alla piazza. Miguel dai grandi baffi spioventi si stringeva le spalle nella giacchetta leggera, silenzioso. L’umidità e la temperatura pungente delle prime ore del mattino avevano reso gradevole il percorso tortuoso, anche in quell’agosto torrido. Eravamo arrivati a Chamula dopo una sosta ad un cimitero cosparso di piccole croci di legno colorate. Ogni tomba, appena rigonfia di terra nera, conteneva diversi defunti della stessa famiglia, sepolti uno sopra all’altro, in tempi diversi. Nomi e date successive che si sovrapponevano negli anni, in un abbraccio di eternità. La piazza del paese era semideserta, solo pochi ragazzini curiosi che facevano la posta ai nuovi arrivati, ma quando sei in tre, difficilmente dai troppo fastidio. Per questo entrammo nella chiesetta bianca con le profilature blu e verdi, che chiudeva la piazza, di soppiatto, quasi non visti. Questo è veramente un luogo magico, dove, a patto di stare acquattati e silenziosi nella penombra del fondo senza disturbare nessuno, si può assistere ai riti cristiano-maya in una atmosfera pagana ed allo stesso tempo di rara intensità. Si dice che il solo sciocco mostrare una macchina fotografica, abbia provocato talvolta violentissime reazioni, ma nessuno fa caso a chi si mescola ai fedeli con rispetto. Tutto il pavimento della chiesa, completamente vuota era cosparso di aghi di pini che riempivano l’aria di odore di resina, mescolato ad uno spesso fumo di incenso che rendeva l’ambiente ancora più oscuro, appena scandito dalle lame di luce che entravano dalle alte finestre. |
Le camicie a fiori
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Le pareti erano circondate da piccoli altari con statue di legno di santi vestiti di stoffe colorate, croci e simboli diversi. Qualche gruppetto di due o tre persone, famigliole o singoli, entrò ancora a chiedere grazie, erano passati prima dal negozio del Majordomo, dietro la chiesa. Lui, dopo aver sentito il caso, aveva prescritto la tipologia dell’offerta, il colore delle candele, il rituale da compiere e il Santo a cui fare riferimento. Le persone allora sono entrate e, dopo essersi fatte il loro spazio nel luogo indicato, scostano gli aghi di pino per mettere le candele, rosse per i soldi, blu per la salute e così via, tanto che tutto il pavimento della chiesa è pieno della cera sciolta, poi hanno deposto le offerte, un uovo, una lattina di Coca Cola, una bottiglia di Tequila con cui viene irrorato il gallo da sacrificare per ottenere la grazia richiesta, con una lunga preghiera, in ginocchio davanti al Santo specializzato nel settore. Segni di croci e prostrazioni pongono fine al rito, poi la gente se ne va in silenzio e lascia il posto ad altri. Si sente solo un brusio nell’aria pesante di odori forti e densa di fumo che ha annerito quasi completamente il soffitto. Una volta o due all’anno compare un prete, che fa finta di non accorgersi di quanto è successo nella chiesa e tiene una funzione a cui gli abitanti del villaggio e tutti quelli che abitano la selva degli Altos del Chapas partecipano, mostrando grande devozione e facendo finta per un giorno che i loro dei si chiamino San Juan, San Francisco, San Antonio, San Miguel. Uscimmo dalla chiesetta quasi intontiti, la nostra bambina era molto colpita soprattutto dal silenzio che sembrava avvolgere tutto. In fondo alla piazza la macchina di Miguel, anche lui silenzioso, ci aspettava.
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Toeletta a Chamula
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La chiesa di Zinacantan
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Il negozio
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Imputato alzatevi
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