giovedì 10 settembre 2020

Luoghi del cuore 58: Il Giappone degli stereotipi

Tokio - giardini - settembre  '94


Saké
Sono sempre stato morbosamente attratto dal Giappone e dalla sua cultura, non per niente ho calcato per decenni i tatami di infinite palestre nel tentativi, certamente vani di afferrare l'inafferrabile significato che sta dietro al concetto di arte marziale orientale, argomento tra l'altro, dibattuto in questo giorni a causa dei noti fatti di cronaca, da gente che non ha neppure idea di cosa stia parlando. Eppure nonostante abbia percorso a lungo ed anche in maniera piuttosto approfondita le vie dell'Oriente, questo blog ne è testimonianza, ho trascorso nel paese del sole nascente (Ci pan go, lo chiamava già Marco Polo, nel cinese moderno Ri Ben Guo) soltanto una decina di giorni e lavorandoci sodo, quindi la mia conoscenza si è limitata davvero ad un fugace contatto che tuttavia mi è stata sufficiente a farmelo amare molto ed a sperare, chissà se mai potrò, di vederne gli aspetti più accattivanti, dalla fioritura deli ciliegi in poi. Il mio contatto invece è riuscito a farmi assaporare aspetti meno oleografici, ma forse più vicini al Giappone vero, se pur mediato dall'accoglienza riservata agli ospiti graditi (i clienti in verità), piuttosto che ad un anonimo straniero. Sono stato infatti invitato ad una serie di banchetti in cui si voleva mostrare la bellezza e l'eleganza di quel mondo nelle occasioni conviviali e devo dire che essere amorevolmente serviti da signorine truccate da gheishe che quasi ti imboccano i pezzi migliori dei crudi di pesce migliori che io abbia mangiato, seguiti da una piccola tazza di saké tiepido, è davvero piacevole. 

Omaggio al fondatore
Così ho avuto l'opportunità di gustare lo shabu shabu, in un locale della Ghinza, il famoso vitello allevato a massaggi amorevoli e tuorli d'uovo e infine ho cercato di intavolare argomentazioni con quante più persone possibili con le quali sono riuscito a venire in contatto, da operai ed impiegati delle fabbriche visitate, ad accompagnatori e persone casualmente incontrate, per capire se la cortesia imbarazzante alla quale sono stato sottoposto era solo superficie, e forse in parte è così, oppure se è ormai così completamente connaturata con la mentalità dei giapponesi da essere comunque vera anche se in un certo senso obbligatoria. Ho gustato la precisione delle stazioni ferroviarie giapponesi, con le fermate davanti al passeggero e lo scivolare silenzioso dello Shinkanzen a 300 all'ora, quando l'alta velocità era da noi ancora un sogno suggestivo ed ho discusso di tappi di alluminio nella più grande fabbrica di whisky del paese, liquore del quale mi risulta i giapponesi siano i maggiori consumatori mondiali. La gentile interprete che mi assisteva si prodigava con commovente dedizione a raccontare i pregi del nostro prodotto, una capsula così perfetta e dedicata appositamente come certamente si meritava alla alta qualità della Suntory. I buyer dell'azienda ascoltavano con compita serietà, dimostrando grande attenzione alla convincente esposizione del vantaggi del nostro prodotto anche se poi non comprarono un piffero, preferendo una scadente offerta di tappacci coreani che avevano il solo pregio di costare di meno.

Il castello
Per la verità anche noi non comprammo mai le macchine soffiatrici che eravamo appositamente stati invitati a vedere, ma si sa, gli affari sono affari, anche se gli inchini, in questa fase,  non si poterono mai effettivamente contare. Mi sono poi crogiolato negli chalet di una stazione termale di montagna con i più classici bagni nelle sorgenti in compagnia ed ho visto qualcuno dei famosi castelli medioevali dell'epoca dei samurai, contenenti armi ed armature d'epoca che mi hanno molto emozionato. Se esiste in qualche modo il ciclo delle infinite rinascite, di certo in una mia vita precedente sono stato samurai, come ho già raccontato qui, un samurai dimezza tacca certo, prematuramente scomparso, perché nella mia prima battaglia, la famosa di Sekigahara, la tsuba della mia katana si impigliò nei lacci dell'armatura, maldestramente calzata nella fretta, mentre la estraevo e fui ucciso subito. Comunque la mia frequentazione decennale del kendo e la conoscenza quantomeno teorica dei suoi segreti, mi misero subito in grande sintonia con il tecnco che mi prese in carico per mostrarmi il funzionamento della macchina soffiatrice di bottiglie in PET e finimmo per mimare molte tecniche di spada, anziché penetrare i vantaggi della macchina. Non vorrei che il ragazzo avesse dovuto subire rimproveri per quel cedimento ad argomenti extra lavorativi, per i quali si sarà di certo premurosamente autodenunciato. Comunque questo breve contatto con le isole di Nihon, mi scaldò di molto il cuore e mi ripromisi di tornarci con a disposizione il tempo della riflessione personale, come dice Matsuo Basho, forse il più grande poeta giapponese del XVII secolo, in un suo famoso haiku, una delle forme di poesia che prediligo, perché così apparentemente facile:

Vai o lumaca
sali sul monte Fuji
ma piano, piano

Attacco Men - risposta Do



Sotto a chi tocca
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Imputato alzatevi

3 commenti:

Anonimo ha detto...

--per capire se la cortesia imbarazzante alla quale sono stato sottoposto era solo superficie.

io piu' li conosco e piu' mi sembrano una banda di nazisti repressi...

sarà che avuto sfiga come al solito.

Enrico Bo ha detto...

ma non saprei, secondo me è proprio questione di cultura e chi non riesce ad adeguarsi è fuori dal gruppo.

Anonimo ha detto...

la pensa come te anche mia moglie.
Lei é cinese , e quindi di parte, ma imputa il tutto alla tradizione feudale che secondo lei non é mai finita da quelle parti.
io purtroppo ora ci lavoro in un azienda giapponese........vedremo

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